Definire Sergio Citti semplicemente un regista è semplicemente riduttivo. A modo suo Citti è stato un intellettuale in un momento storico in cui gli intellettuali erano borghesi o addirittura aristocratici, basti pensare a Luchino Visconti, ma mai proletari o “borgatari”. Ma Sergio Citti, “l’imbianchino che permise a Pier Paolo Pasolini di conoscere quel mondo ed il gergo romanesco che gli sono serviti per scrivere prima il romanzo Ragazzi di vita e poi dirigere film come Accattone e Mamma Roma, come scrive Paolo Micalizzi nella prefazione del volume Storie scellerate. Il cinema di Sergio Citti di Roberto Baldassarre, un intellettuale lo è stato eccome.
Un mondo filmico senza eguali
Non esistono molte monografie dedicate al regista di Casotto e di Mortacci e questo rende il libro di Baldassarre ancora più prezioso. L’autore si concentra soprattutto sul film che dà il titolo al suo libro, ossia Storie scellerate del 1973, la seconda opera di Citti, venuta dopo l’altrettanto fondamentale Ostia del 1970, utilizzandolo come film guida per addentrarci nel mondo cittiano.
Mondo che viene sviscerato anche attraverso una sezione dedicata alla sua filmografia, i riferimenti bibliografici, fondamentali, i soggetti e le sceneggiature a cui ha collaborato, dichiarazioni, lettere, stralci d’interviste, fotografie, saggi e recensioni su ogni film del nostro. Particolarmente interessante l’analisi, attraverso le pellicole più importanti del periodo in cui si formava la poetica di Citti: da La notte brava di Bolognini ai film di Pier Paolo Pasolini fino a Ultimo tango a Parigi di Bertolucci.
Sergio Citti, un regista contro
In merito al volume Storie scellerate, Roberto Baldassarre ci propone uno studio approfondito della sceneggiatura con un confronto con lo script, racconta una scena inedita importante realizzata da Gideon Bachman e contenuta nel DVD del film, ci propone una serie di scatti dal set di Angelo Pennoni, analizza il “lavoro” particolarmente minuzioso della censura (sia Ostia che Storie scellerate furono bollati con un “Vietato ai minori di 18 anni”) ed infine ci riporta una serie di recensioni dell’epoca e non solo. Ovviamente le più attente sono state quelle francesi.
Sergio Citti non amava la critica. Infatti, riporta sempre Baldassarre:
“I critichi sono come i preservativi che parlano del piacere dell’amplesso. Certi critichi. Poi ci sono anche i critici seri.”
Personaggio di un’intelligenza irriverente.
Sergio Citti muore nel 2005; sulla lapide del fornetto funebre che ospita le spoglie insieme a quelle del padre, insieme al nome del genitore, al posto del nome di poeta della borgata c’è solo una parola: “Niente”. Roberto Baldassarre, con questo suo Storie scellerate. Il cinema di Sergio Citti, è riuscito a dimostrare che quel niente significa tutto e molto di più.
* La foto di copertina è uno scatto di Angelo Pennoni sul set del film. Nello specifico è il secondo episodio, con protagonisti i personaggi di Cacchione e Chiavone.