‘Black Snow’: un incubo a corto d’aria

La Russia ha un rapporto primigenio con la natura e i prodotti della terra. La piccola cittadina di Kiselyovsk, in Siberia, è uno di quei posti in cui la vita dei cittadini è strettamente connessa alla produzione primaria. Le case sono tramandate di generazione in generazione e vantano orti e giardini rigogliosi. C’è solo un grande nemico che minaccia il terreno e la comunità: una gigantesca industria di carbone, divisa in 9 miniere, che rende lo spazio abitato un villaggio relegato a margine.
Natalia Zubkova, giornalista ed eco-attivista, moglie e madre di tre figli, è la vera protagonista di questo tesissimo documentario. Non immagineremmo, senza il suo lavoro, la pericolosità di quel carbone. La miniera infatti causa gravi problemi respiratori ai cittadini, e si rivela la causa di molte delle malattie infantili di cui soffrono anche i suoi figli.

La lotta di Natalia

L’11 febbraio del 2019, qualcosa spezza per sempre la quotidianità semplice e rudimentale di intere famiglie. Cade carbone sui prati, sulle strade, sull’intera popolazione.
Decide così di aprire un blog per raccontare al mondo intero, cosa stia accadendo in città. Nel frattempo Natalia studia e si documenta, cercando di venire a capo di una situazione insostenibile per tutti. Questo la porta a scoprire i cosiddetti “endogenic fires” gas tossici, di carbone e ossigeno, che dal sottosuolo risalgono e infestano i cittadini.
Mentre la situazione degenera e l’aria si fa sempre più irrespirabile, la giornalista cerca di fare il possibile per combattere il nemico più pericoloso: il silenzio dei media russi. Tra negazionismi istituzionali e disinformazione, il disastro ambientale non sembra trovare sostegno da chi governa. Natalia affida a pochissimi veri sostenitori la speranza di un riscatto.

Link al trailer

Un documentario claustrofobico e un futuro a rischio

Il documentario di giornalismo investigativo di Alina Simone arriva in concorso alla 10º edizione del festival di documentari “Visioni dal mondo” di Milano. La regista statunitense lascia un ampio spazio ai video girati in prima persona da Natalia tra il 2019 e il 2022 e li alterna al suo personalissimo occhio sulle cose, seguendo la giornalista russa nella sua vita privata, di madre attenta e premurosa, non esente da paure e fragilità personali. Il mosaico estetico è torbido e trasmette fino all’ultima scena il senso di oppressione, il desiderio di vedere nitidi e chiari i contorni delle cose.
Il ritmo è rapido e concitato, rendendo questo racconto un vero incubo a corto d’aria.
Le mire espansionistiche ed economiche dei governi sono sempre in linea con ciò che possa realmente migliorare la vita dell’uomo? Quale futuro attende le nuove generazioni quando in alcuni paesi persino l’aria diventa un privilegio?

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