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Interviews

Bernhard Wenger: intervista al regista di ‘Peacock’

Il regista austriaco Bernhard Wenger debutta con una commedia aspra e divertente di cui ci racconta i retroscena

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É capace di attraversare le superfici sociali e tracciare delle linee che separano il falso dal reale usando un umorismo satirico. Cordiale, gentile e sofferente al caldo veneziano, il regista Bernhard Wenger è capace di sorprendere in modo molto intelligente. Lo incontro a Venezia, in uno dei pomeriggi più afosi nella settimana della Mostra del cinema. Parla molto velocemente, ma le sue parole sono dosate, equilibrate. Un esordio brillante con il film Peacock, presentato alla Settimana Internazionale della Critica di Venezia. Un film che ha ottenuto ottimi risultati grazie a una satira brillante e alla straordinaria interpretazione di Albrecht Schuch, la star tedesca candidata ai BAFTA per Niente di nuovo sul fronte occidentale.

Perché ha deciso di fare questo film?

Tutto è nato quando ho scoperto il fenomeno delle agenzie di affitto di amicizie. Era il 2014, avevo letto che erano esistite in Giappone per più di due decenni. E, nel 2018, dopo il successo del mio film corto Excuse me, I’m looking for the ping pong room and my girlfriend, mi sono recato in Giappone proprio per fare delle ricerche. Lì ho incontrato delle persone che lavoravano in questi agenzie, e una di loro mi ha detto che, a causa di questo strano lavoro che consiste nell’essere ogni giorno qualcun altro, non riusciva più ad essere se stesso. Ho trovato tutto molto tragico. Da qui è nato il personaggio principale, con la sua storia satirica e piuttosto assurda.

Mi parla del protagonista, Matthias?

Matthias è un uomo che lavora in una di queste agenzie che affittano amicizie e che ha perso la capacità di sentire e provare emozioni a causa dello strano lavoro che fa. È una persona passiva, un personaggio anche a volte laconico. Proprio per queste caratteristiche ho pensato ad Albrecht. Perché è un attore molto versatile. Quando l’ho visto recitare nei diversi ruoli che ha fatto sono sempre rimasto molto affascinato. E questa è una grande qualità necessaria per il personaggio che volevo portare in scena.

Il suo film è un’interessante metafora della condizione umana, ma anche una riflessione sui nostri tempi. Perché l’ha scritto?
Penso che Peacock rifletta molto i social media. É una delle grandi assurdità del nostro tempo che la presentazione sia così importante. Tutto deve essere perfetto, non si possono fare errori, e devi sempre presentarti sotto la luce migliore. Questo film è in realtà una metafora: queste agenzie sono un’estensione dai social media alla vita reale. Alla fine non pretendiamo che tutto sia perfetto, ma prendiamo qualcuno per far credere che nella vita reale tutto sia perfetto.

Quindi verrebbe meno il concetto di identità. 

Esattamente. É un film che guarda molto all’identità e alla solitudine. Mi sono subito chiesto perché queste agenzie siano nate in Giappone e non in altre parti del mondo. E la risposta è molto semplice, lì c’è parecchia solitudine. E il film si concentra proprio sulla parte di self-presentation di queste agenzie. Non ci facciamo caso, ma spesso le cose create per qualcosa di positivo vengono poi usate per scopi diversi. Le persone usano queste agenzie per manipolare e dimostrare di avere potere.

Nel suo film parla molto di maschere indossate. Quando è stata l’ultima volta che ne ha indossata una?

Nella nostra società tutti indossiamo una maschera. Siamo diversi quando siamo in coppia con il  partner, quando lavoriamo o stiamo con gli amici. É come se recitassimo ruoli sempre diversi. Essere veri ed essere se stessi è qualcosa di difficile, ma sarebbe importante nella nostra società imparare a farlo perché sta diventand0 un mondo sempre più superficiale. Io, ed è la risposta alla tua domanda, cerco di essere vero, almeno per la maggior parte del tempo.

Ha fatto un grande lavoro sulla sceneggiatura. La trovo bellissima, astuta, bilanciata e anche molto divertente.

Amo scrivere storie piene di umorismo. Il mio è uno humor molto sottile, un po’ bizzarro e anche molto visivo. Sono tutti elementi presenti nello script e anche se non puoi vederli, puoi comunque leggerli e questo rende pienamente l’idea di quello che sarà poi il film.

Perché questo titolo?

“Peacock” significa pavone. Sono animali noti per essere bellissimi, si presentano in un modo quasi regale. E questo è quello che fa Matthias nel film. Ma in realtà i pavoni sono animali che non amano volare ed emettono un suono orribile. Diciamo che se li osservi bene sono pieni di fessure che mostrano cosa ci sia in profondità.

Che emozione ha provato nel presentare il suo primo film alla Mostra del cinema di Venezia, settimana della critica?

É un grande onore e un immenso piacere prendere parte a questo fantastico festival. La cosa che ho trovato assolutamente fantastica è stata vedere le persone che seguivano i film. Li vedevano, commentavano, apprezzavano. E questo ha molto valore per un regista, Poi, dopo aver ricevuto il premio mi sono anche rilassato. É stata davvero un’esperienza indimenticabile.

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