A Part of Us di Flavio Botelho, fuori concorso al Lovers Film Festival, è la tragica storia di un suicidio, ma non racconta, come ci si aspetterebbe, le vicende a ritroso che hanno portato a questa scelta. Inaspettatamente quella che vediamo sullo schermo è la narrazione, da due punti di vista differenti, di ciò che succede dopo. È la storia di chi rimane, di chi sopravvive, cercando di rispondere alla domanda: “Come si chiama chi ha perso un figlio?”
A Part of Us: diversi modi di affrontare il lutto
Francisca e Carlos sono i genitori di Felipe, ragazzo suicida. Francisca reagisce con la negazione: non vuole parlarne e perseguita lo psichiatra che aveva in cura Felipe, cercando di capire le motivazioni che hanno spinto il figlio a questo gesto estremo. Carlos, invece, condivide ogni emozione, si abbandona al pianto e vorrebbe che la moglie facesse lo stesso.
Questi due modi opposti di reagire alla perdita del figlio, portano i coniugi a separarsi. Carlos va a vivere nell’appartamento di Felipe, conoscendo il suo vicino di casa e intrecciando con lui una relazione; Francisca rimane a casa, in compagnia del cane di Felipe.
Il personaggio di Carlos avrà uno sviluppo narrativo più lineare. Non ci si meraviglia infatti nel momento in cui finisce a letto con il vicino di casa, poiché sta vivendo un percorso di esternazione emotiva, cercando di sopravvivere al vuoto caotico della perdita, aggrappandosi a tutto ciò che lo aiuta a percepirsi.
Francisca entra in un loop paranoico, pedina lo psichiatra di Felipe e arriva a pianificarne l’omicidio. Lei non parla e non vuole sentire parlare del figlio. Per Francisca il suo gesto è inconcepibile e ingiustificato, causato assolutamente dai farmaci somministrati dal medico.
All’inizio è Carlos quello debole. In una delle prime scene, Francisca lo trova ubriaco nella doccia in stato di shock e confusione. Alla fine, però, sarà Carlos a svolgere il ruolo di pilastro incrollabile per la moglie, che tornerà a cercarlo per riscoprire insieme i luoghi frequentati in passato con Felipe.
La bellissima scena finale, in cui i due protagonisti si spogliano e si immergono nudi in un fiume con una cascata primordiale, è una rinascita emblematica, ancestrale. La vita è un ciclo di morte e di piccole rinascite.
A Part of Us: di chi è la colpa?
Quando qualcuno muore, si vorrebbe sempre trovare un colpevole, ma quando qualcuno sceglie di morire, esiste un colpevole?
Uno dei temi più pesanti che affronta il film di Flavio Botelho è proprio questo, la ricerca della colpa. Felipe era depresso, assumeva farmaci con effetti collaterali molto pericolosi, eppure forse indispensabili per lui. Lo psichiatra può essere identificato come colpevole?
Francisca riuscirà a rispondere a questa domanda, ma non condivide la rivelazione con lo spettatore. Il pubblico viene posto di fronte a un quesito esistenziale di portata gigantesca, senza la pretesa di mostrarne la soluzione.
A Part of Us: come si chiama chi ha perso un figlio?
Non c’è un termine per identificare chi perde un figlio. È questo uno dei dialoghi più significativi di A Part of Us: Carlos, in lacrime, domanda al suo nuovo amante
Cosa sono io? Non sono un orfano, non sono un vedovo. Come si chiama chi ha perso un figlio?
È una scena dal grandissimo impatto emotivo, perché non c’è risposta a questa domanda. Lo spettatore, così come il vicino di casa che abbraccia Carlos, rimane in silenzio, attonito.
Nonostante il cuore di questo film sia estremamente tragico e potenzialmente devastante, Botelho riesce a costruirgli intorno una struttura stabile e coerente, che ci dimostra l’enorme forza emotiva dell’essere umano. Ma soprattutto scardina gli stereotipi rappresentativi intorno al tema del suicidio, spesso affrontato con drammaticità vuota e retorica perentoria.
Anche chi sceglie di morire può continuare a vivere nel cuore di chi resta. Non si possono esprimere sentenze, perché nessuno potrà mai sapere la verità. Possiamo solo riconoscerla, senza per forza comprenderla, e conviverci al meglio delle nostre possibilità.