Presentato in concorso al Sole e Luna Doc Film Festival, Tempo d’attesa è il nuovo film documentario di Claudia Brignone, già regista de La Villa e Malattia del desiderio. Il lungometraggio segue il lavoro di Teresa, ostetrica campana, e di un gruppo di donne negli ultimi stadi della loro gravidanza.
La figura di Teresa, levatrice d’altri tempi, figlia di una tradizione ormai quasi del tutto estinta, si mostra in tutta la sua contemporaneità. Emergono temi attualissimi come la violenza ostetrica, la maternità in tarda età, il ruolo del partner, la depressione post-partum e, in generale, l’attenzione alla salute psicofisica della madre.
Il mestiere di Teresa
Tempo d’attesa è la storia di un gruppo di donne, guidate nella loro gravidanza dalle cure della levatrice Teresa. Questa donna sulla settantina, capelli lunghi e grigi, vestiti morbidi e collana di perline di legno, ci appare come una sacerdotessa d’altri tempi. E il suo ci sembra inizialmente come un mestiere desueto, in un’epoca in cui la medicina è sempre più scienza, camici bianchi e ospedali asettici.
Teresa smentisce subito questo preconcetto di bigottismo e arretratezza a cui saremmo portati. Yoga, respirazione, coinvolgimento del partner, consapevolezza della propria sessualità, sono questi gli strumenti della levatrice contemporanea. In generale un approccio che faccia convivere la salute fisica a quella mentale. Un approccio umano e accudente alla partoriente che appare importantissimo in un’Italia che non parla ancora abbastanza dei suoi problemi di violenza ostetrica.

Tempo d’attesa e di nascita
La documentarista napoletana Claudia Brignone entra con delicatezza nella storia di queste donne. Le lascia dialogare, aprirsi riguardo alle loro preoccupazioni e insicurezze, prendendosi i giusti tempi. Molto spazio viene lasciato ai luoghi casalinghi e alle persone comuni che ruotano attorno a queste storie. La volontà è quella di mettere al centro la donna a 360°, lasciando spazio anche ad esperienze che non sono quelle tradizionali. Vediamo donne che hanno un passato di violenza domestica, che hanno usufruito dell’inseminazione artificiale, anche donne che semplicemente dicono di aver aspettato ad avere figli per dare priorità alla carriera. Esperienze diverse che trovano tutte una dimensione nel gruppo che si fa famiglia accogliente, villaggio, in una visione della genitorialità non come momento individuale ma come condivisione dell’esperienza col gruppo.
Brignone registra questa realtà senza patinature. Le donne mostrano i loro volti naturali, segnati dall’età, dalla fatica, dalla gravidanza. Nell’alternarsi delle scene crea una conversazione ideale che procede secondo il proprio ritmo. Infine le madri partoriscono, ognuna con i suoi tempi, chi prima chi dopo. Non c’è bisogno di drammatizzare il momento perché la natura incredibile della nascita lascia di per sé stupiti e commossi.
