Racconteresti tutto al tuo partner? Anche l’indicibile? Prima dell’esordio che l’ha consacrata (How to Have Sex), con il cortometraggioGood Thank you!, Molly Manning Walker ha esaminato le difficoltà di esprimere verità scomode in una cultura di silenzio.
Immersivo e illuminante, questo corto conferma la regista come una delle nuove voci più entusiasmanti del Regno Unito.
‘Good Thank you!‘cosa racconta
Amy (Jasmine Jobson) ha 16 anni quando accade. Non lo vediamo direttamente; non ne abbiamo bisogno. Mentre gira l’angolo dell’edificio, emergendo dall’ombra, ciò che è avvenuto è evidente dall’espressione sul suo viso. Raccoglie quello che resta di abito e cose personali e fugge. La vediamo muoversi soltanto nei giorni successivi. Stare con la gente evitando il contatto, trincerata in un silenzio e un disagio corporeo che percepiamo. Non riesce a confidarsi con nessuno e mantiene un distacco fisico ed emotivo anche con il suo ragazzo. Nel finale, intuiamo che abbia deciso di confessare quello che ha subito. Ma la confessione non la vediamo. Vediamo solo il passaggio presso tante figure, tutte diverse. Sembra però che non sia stata ascoltata davvero da nessuno.
La recensione
L’espressione a cui si fa riferimento nel titolo è una di quelle più ‘dolorose’ da dire per i sopravvissuti a diversi tipi di traumi . Amy non sa come parlare di quello che è successo né ai suoi amici né al suo fidanzato, Lewis (Micheal Ward). Lei, tuttavia, denuncia il crimine. E ciò che segue è una serie di ulteriori interrogatori traumatici che troppo spesso mettono al centro lei, e non il suo aggressore: lei come come causa del problema.
Cosa indossavi?
Le domanda l’assistente sociale dopo la confessione. E lei di getto descrive i vestiti dell’aggressore.
I tuoi, le si risponde, con un tono secco e quasi accusatorio. Ma è colpa tua, davvero. Il sottotesto.
La violenza sessuale è spesso travisata e minimizzata nei film. O il comportamento sessualmente aggressivo viene presentato come romantico, o le vittime sono presentate come colpevoli. Pochissimi film che affrontano anche solo il tema dimostrano i cerchi che le vittime devono affrontare per denunciare l’aggressione. Il film della regista e scrittrice Molly Manning Walker ritrae invece le esperienze reali.
Attingendo a quella personale della regista (ha realmente subito violenza sessuale alla stessa età), il film ha il suo focus sempre sui sentimenti di Amy, sui suoi tentativi di far fronte a ciò che è successo e anche sul suo personale modo di andare avanti nella sua vita, sapendo che quando parlerà, non sarà mai più vista allo stesso modo.
Non può rivelare il suo segreto, e quando lo fa, si insinua che avrebbe potuto fare qualcosa per evitare la situazione . Non importa se Amy stava bevendo. Non importa se indossava una gonna corta. Non ci viene mostrato nulla. Tutto ciò che conta è che è stata aggredita. Manning Walker non dà tempo sullo schermo all’aggressore di Amy che resta però come uno spettro per tutto il cortometraggio. L’evento è approssimativamente frammentato, con dettagli casuali che risalgono a tratti in superficie nel cervello di Amy per poi venir frettolosamente respinti mentre lei cerca di dimenticare.
Inadeguatezza
Nonostante la breve durata, tredici minuti, abbiamo un chiaro senso di quanto accaduto e di come lei voglia che le cose vadano, le cose che sono importanti per lei. Sono gli eventi ordinari della vita di un’adolescente, ora completamente sconvolta. La regista indugia sul volto di Amy, sulla sua espressione di inadeguatezza e sulla voglia di dimenticare. Sul danno che le è stato fatto, illustrando il modo in cui si estende oltre il fisico, anche nella psiche. Sarà tutto diverso una volta raccontata questa cosa. Sembra esserci scritto questo sulla sua fronte.
Quando parlerà sarà l’inizio di un processo di recupero, l’inizio di una persona diversa e, nonostante la sua giovane età, consapevole di questo.
La Jobson porta avanti il corto con intensità, mostrandoci il suo peso interiore, l’emozione repressa, le parole soffocate e tenute a freno prima di farle esplodere. Nelle stanze degli interrogatori riuscirà a raccontare ogni cosa? E sarà ascoltata?
Il successivo How to Have Sex, vincitore a Un Certain regard 2023, (a cui si avvicina per l’uso costante della camera a mano) funziona proprio perché coglie questo aspetto molto reale: contrariamente all’opinione comune, le ragazze a volte hanno difficoltà ad aprirsi. Anche se ambientato in una festa, quando alla fine devono affrontare qualcosa di doloroso non sanno cosa fare. Ma se How to have sexè il racconto limite di un’adolescenza che appare onnipotente (anche se pure lì i significati emergono nel non detto e nei silenzi) e che non si interroga sul consenso reale o meno, consapevole o semplicemente ostentato, in questo suo primo corto Walker è coraggiosa nel trattare apertamente il tema del consenso negato, della difficoltà di superare il silenzio personale, e soprattutto sociale, che ruota attorno alla negazione e all’assenza di empatia.
Oggi più di 1/3 delle donne e delle ragazze subisce violenza sessuale nel corso della propria vita. Eppure, pochissimi film dedicano del tempo a cercare di capire cosa vivono le vittime all’indomani dell’aggressione. Questo cortometraggio è un discreto tentativo di farlo. Senza rumore.
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