Il 17 novembre al Future Film Festival di Bologna ha avuto luogo, nel segno di Archeologia futura, un doppio appuntamento dalle molteplici suggestioni, con ospiti al DUMBO alcuni tra gli artefici dei così particolari lavori cinematografici presentati per l’occasione: Ermanno Cavazzoni, Maurizio Finotto, Antonello Matarazzo e Bruno Di Marino, questi coloro che hanno partecipato all’evento; nel corso del quale ci si è concentrati su due oggetti filmici a dir poco inusuali, quali sono per l’appunto Incanto la leggenda (2023) di Maurizio Finotto e Pablo di Neanderthal (2022) di Antonello Matarazzo. Proprio quest’ultimo, documentario “sui generis”, ci ha particolarmente colpito. Chissà che anche nel sottoscritto non sia rimasta qualche traccia del DNA di questa figura della Storia umana dai tratti, almeno in parte, ancora misteriosi: l’Homo Neanderthalensis!
Dall’uomo di Neanderthal a Duchamp
Cominciamo col dire che Pablo di Neanderthal non è affatto un lavoro pensato ad uso esclusivo degli studiosi di paleontologia, sebbene l’argomento venga toccato più volte e con una certa accuratezza, bensì un film dalla forte impronta situazionista, in cui il discorso si sposta di continuo da un argomento all’altro, come a formare un vivace “Zibaldone” di pensieri cinematografici (con svariate citazioni inerenti al binomio scimmia/uomo, al suo interno, estrapolate da Pasolini, Ferreri, Ken Russell, persino Jan Švankmajer) e filosofici espressi in piena libertà. Fermo restando poi che qualunque fil rouge si riesca ad individuare, nella sua complessa articolazione, esso finisce per esercitare un notevole fascino sia dal punto di vista dei contenuti che da quello della riflessione estetica, principalmente.
A farci da Cicerone in questo viaggio dai contorni immaginifici è del resto un artista come Pablo Echaurren, che nel suo percorso ha sperimentato svariati linguaggi e vissuto in contesti culturali anche molto diversi tra loro: di lui (e con lui), vero e proprio “centro di gravità permanente” del film, vengono ricordate le più disparate esperienze di vita ed artistiche; dal ruolo che ebbe in quei famosi “Indiani metropolitani” attivi negli anni ’70 durante la contestazione studentesca (sono gli anni in cui egli produceva opere come Lama o non Lama, Non Lama più nessuno, dal nome di uno dei più controversi personaggi dell’epoca), fino a quelle sorprendenti scatole create più di recente e ispirate proprio alla paleo antropologia, grande passione dell’autore, un po’ sulla falsariga di quel che fece nella prima metà del Novecento Carrie Walter Stettheimer: sua la celebre Dollhouse, bizzarro esperimento creativo cui parteciparono diversi artisti di fama, tra cui per l’appunto Marcel Duchamp.
Un gioco di scatole cinesi
Questi primi indizi sono solo un esempio della ricchezza espressiva di un progetto cinematografico che, sempre a proposito di scatole, si configura quasi come un gioco di scatole cinesi, un divertissement intellettuale (godibilissimo e ironico però nella forma) che prendendo in esame episodi specifici riesce poi miracolosamente a tracciare collegamenti tra la Preistoria e il presente. Ne è formidabile esempio la visita di Pablo Echaurren, accompagnato per l’occasione dall’amico Giorgio Manzi autore del libro L’ ultimo Neanderthal racconta. Storie prima della storia, ai siti importantissimi nei pressi dell’Aniene dove vennero scoperti i resti dei Neanderthal di Saccopastore, luogo di grande rilievo culturale paradossalmente circondato da un degrado metropolitano impensabile, frutto degli osceni e criminali piani regolatori che si sono succeduti nel Dopoguerra.
I paradossi però non finiscono qui. Altrettanto singolare è il modo in cui, esplorando concetti come il ready-made, arditi voli pindarici ci portano indietro di millenni, così da ricollegare il terremoto estetico rappresentato da Duchamp e da altre figure del Novecento alle prime, per certi versi analoghe esperienze di natura artistica, sperimentate già ai tempi dell’Australopithecus. Per non parlare poi del lungo excursus sulla presenza umana nelle caverne e sulle antiche pitture rupestri. Altri tasselli di una ricerca di senso quanto mai varia, profonda, rapsodica, libera e alla fin fine gratificante.