Alla XXII Edizione del Rome Indipendent Film Festival è stato presentato in concorso il corto Polo Nord di Antonio Corsini. Il regista bresciano propone una storia che, nonostante la durata di un quarto d’ora, riesce a esprimere il dramma di una giovane madre costretta a vivere distante dal figlio.
L’opera, presentata in anteprima il 18 novembre 2023 al RIFF, è prodotta da Ombre Rosse Film Production. Quest’ultima si è distinta per lavori con un’impronta giovane ed autoriale, in un panorama dal respiro europeo. Polo Nord è realizzato in coproduzione Italia/Francia.
É stato scritto dallo stesso Corsini, già co-regista tra gli altri di Paolo Sorrentino, Luca Guadagnino e Nanni Moretti, insieme ad Adriano Chiarelli.
La trama
Polo Nord rende il tormento di una mamma lontana dalla terra, la Repubblica Ceca, e dal suo bambino. Alina (Ianua Coeli Linhart) è difatti stata costretta, ormai da cinque anni, a cercare un’occupazione fuori dal suo paese per mantenersi e aiutare il figlio.
Vive e lavora in Italia come operatrice ecologica di spiagge in un luogo di mare non precisato. La speranza di ricongiungersi al suo piccolo la porterà a compiere scelte ineluttabili.
Polo Nord: inquadratura generale
Nella storia della settima arte sono tante le pellicole che hanno raccontato le conseguenze dell’immigrazione obbligata, specie per le donne.
Nel cinema italiano tra gli autori contemporanei che testimoniano l’Italia come luogo che le accoglie ci sono il compianto Carlo Mazzacurati (Vesna va veloce, 1996), Andrea Segre (Io sono Li, 2011), Federico Bondi (Mar Nero, 2008).
Il cortometraggio di Corsini si inserisce in queste narrazioni. Polo Nord racconta in modo crudo e diretto il dramma delle madri obbligate, per sopravvivere, a emigrare lontano da casa e dalla loro famiglia.
Il risultato è uno stile comunicativo forte che, senza troppi dialoghi o orpelli, comunica adeguatamente i sentimenti della protagonista. Il contrappeso alla durezza stilistica è invece il modo silenzioso in cui viene svelato il patimento psicologico della ragazza.
La difficile lontananza da casa
Per la prima volta nella sua carriera il regista opta per una storia di stranieri in suolo italiano.
Già dai primi attimi del corto si notano gli sguardi vuoti e gonfi di sofferenza da parte del personaggio principale. Il pensiero costante della giovane sembra essere, dall’inizio alla fine, è la volontà di trovare rimedio all’essenza del suo dolore.
Il Polo nord del titolo si carica di significato simbolico e diventa l’emblema della speranza. Un punto lontano verso cui poter fuggire un giorno, col proprio bambino. Un luogo che però è difficile da raggiungere, quanto pare impossibile poter riabbracciare il figlio e allo stesso tempo una vita decorosa.
L’intreccio con le altre figure umane
L’altra donna presente (Sobckyk Zdzsilawa) è la collega e coinquilina polacca di Alina. L’aggressività verso quest’ultima e gli sprazzi della quotidianità fanno immaginare quanto sia brutale la sua storia. Non si conosce molto di lei ma nel concreto rappresenta la faccia più dura del tirare a campare in quella precisa realtà.
C’è anche un uomo straniero attorno alla baracca delle due operatrici, con cui i rapporti sembrano superficiali. Ma di fatto tutto si muove nello squallore in Polo Nord. La sua figura, come anche quella di un’altra ragazza, hanno ruoli secondari ma che possono essere il motore di qualcosa di più risonante.
Sottolineano che per la protagonista non esiste la rete di supporto. E qui si apre un altro tema, quello della solitudine delle persone indigenti che si ritrovano a vivere, abbandonate, in uno stato che non è il loro.
La giovane deve andare avanti per se stessa e per il bambino, che riesce a vedere solo a distanza. Come se il presente esistesse in funzione del futuro, per il quale lei sarà disposta a tutto.
Il ruolo degli oggetti con la protagonista
Le interazioni tra la madre e le cose fisiche diventano fondamentali per comprendere la vicenda. Gli oggetti valgono come correlativi oggettivi.
Le fotografie, che la donna osserva in più momenti, riflettono i suoi stati d’animo. Sono i ricordi di una vita normale che sembrano troppo lontani. Le ali di piuma, che Alina si mette sulla schiena, testimoniano l’infanzia lontana del figlio, ma anche la speranza di ricongiungimento e perdono. La torta di compleanno è un respiro di normalità e di gioia. Il topolino che trova sulla spiaggia, a cui designa una gabbia come casa, è l’accenno di un affetto che in Italia non sembra poter esistere con niente e nessuno.
Il rapporto con i luoghi e gli spazi
In Polo Nord sono interessanti le rappresentazioni dei luoghi che la protagonista frequenta. Non c’è un moto di vita in nessuno di essi, anzi, ogni cosa appare incolore e inanimata. Non a caso la stagione in cui si svolge il cortometraggio è quella fredda. Tali scelte non sono casuali.
L’assenza di colore è il motore che lega il personaggio principale alla mancanza di rapporto col territorio. La ragazza vive in una baracca che non ha personalizzato se non con foto del bambino. Nelle sue giornate ci sono il lavoro da operatrice e lo spazio attorno alla casupola che sono l’essenza del film.
Come accade davvero nella realtà drammatica, nel progetto migratorio le madri non possono portare con lori i figli. La protagonista è consapevole che la lontananza e la maternità delegata ad altri segnano i piccoli per sempre.
Lei sa che quella zona non sarà casa sua, i legami non si possono creare perché la realtà disagevole, fisica e psicologica, non potrà esistere per sempre. Ecco spiegato così il motivo dei toni spenti, in cui la spiaggia pare una zona che va a morire.
In una storia connotata da un forte realismo usare come titolo un sogno di vita è emblematico e caratterizza significativamente, nonostante i quindici minuti, le mani del regista.
Il trailer