Joan Baez – I am a noise di Karen O’Connor, Miri Navasky e Maeve O’Bo è un documentario biografico prodotto da Mead Street Films e presentato in Italia al Festival dei Popoli.
Con un taglio inusuale e una missione riconciliante, i registi si fanno strada nell’universo della cantante e attivista più popolare degli anni Sessanta, scoprendo anche la sua più profonda intimità.
Un film evocativo.
Joan Baez – I am a noise, la trama
Nel 2018 Joan Baez ha offerto ai fan l’ultimo tour della sua vita, Fare Thee Well, all’età di 78 anni. Joan Baez – I am a noise di Karen O’Connor, Miri Navasky e Maeve O’Bo esordisce come un resoconto di questo evento internazionale, ma si estende poi all’intimità della cantante. Oltre a ripercorrere la sua presenza pubblica, di attivista e artista, il film racconta delle sue relazioni e di una inquietudine emotiva che negli anni, con la terapia, la Baez è riuscita a gestire.
Rimane viva la straordinarietà artistica del personaggio, che ripercorre la sua inaspettata ascesa, davvero giovanissima; i suoi numerosi momenti di scoperta e conflitto; il grande successo interconnesso all’attivismo; le ombre di una personalità complessa e inquieta.
I was just the right voice in the right time.

La densità del prodotto
Il documentario ha una grande capacità di intrattenimento per chi ha seguito l’artista in passato. Si salta da un momento epocale all’altro con leggerezza e sempre dentro ai sussulti emotivi con cui lei li ha effettivamente vissuti: ovvero una grande coscienza dell’impegno politico e una vocazione a dedicarsi all’altro, artisticamente e personalmente. Tuttavia quella incredibile voglia di agire e di farsi voce del popolo svela instabilità e fragilità.
Il documentario è costruito grazie alla ricchezza e alla varietà del materiale di repertorio: non solo e chiaramente la documentazione legata alla musica, ai concerti, alle apparizioni pubbliche. Ma anche parole e parole dai diari, scritti in calligrafia leggibile ed elegante, e gli schizzi, illustrazioni quasi infantili redatte durante la terapia:
It is interesting, but it came out of hell.

Compaiono chiaramente Bob Dylan, David Harris e le storie d’amore travagliate. Non si cita tuttavia Woodstock, quanto piuttosto Martin Luther King.
L’ultima parte, poi, completamente dedicata a una sorta di confessione delle sofferenze da cui Joan Baez è transitata, si inceppa in una parziale vaghezza e verbosità. Aggravata dalla imposizione narrativa drammatica della madre anziana e bisognosa di cure, che quasi risulta sopra le righe e non necessaria.
Il racconto complessivo di Joan Baez – I am a noise di O’Connor, Navasky e O’Bo richiama per tanti versi l’invisibile. La concretizzazione di questi racconti è possibile grazie a quel ricchissimo e straordinario archivio che aggiunge forma e sostanza.
E così si chiude come una storia di famiglia e una rivincita emotiva di una figlia che rivendica la sua pace nella terza età. Realizzata in sintonia con la vita e con l’immagine pubblica di paladina del giusto che per anni l’hanno rappresentata.