Arriva su Sky The Nun IIil seguito del fortunato The Nun (2018), prodotto ancora una volta dalla horror factory Atomic Monster di James Wan, già creatrice di tutta la saga di The Conjuring ed Insidious.
La trama di The Nun II
1956. Cinque anni dopo i terribili fatti accaduti nell’abbazia romena di San Carta, il demone-suora Valak (Bonnie Aarons) torna a seminare morte e terrore in Europa servendosi di Maurice Theriault (Jonas Bloquet), mite tuttofare posseduto nel primo film. La sua scia di sangue sembra suggerire un disegno preciso, e sulle sue tracce si metteranno l’indomita Suor Irene (Taissa Farmiga) e la fidata Suor Debra (la new entry Storm Reid). Tutte le strade porteranno al convento-collegio francese in cui si è trasferito Maurice (assieme alla parassitaria entità suoriforme), luogo che sembra avere estrema importanza per il mostro…
Una durata non giustificata
A cinque anni di distanza dal primo capitolo, ritroviamo la mostruosa suora, guadagnatasi sul campo (appariva nel secondo capitolo del franchise The Conjuring) una saga dedicata come era accaduto per la malefica bambola Annabelle. Il primo film, per chi scrive, era piuttosto debole e si reggeva su un bel setting molto tattile (l’abbazia oscura e decrepita) e un mostro carismatico, mostrando però i fianchi a un pigro congegno orrorifico basato sui soliti jumpscare. Un’operazione ben confezionata, quindi, ma priva di particolare interesse se non dimostrare la fertilità del produttore James Wan di far fiorire nuovi franchise con estrema cura editoriale.
Il cambio alla regia, che passa da Corin Hardy (The Hallows) a Micheal Chaves (LaLlorona, The Conjuring – Per ordine del diavolo), poteva preludere a un cambio di passo, ma non è andata così. Il raggio d’azione si espande, con il mostro che si aggira per mezza Europa (in particolare in Francia), perseguendo un piano che potrebbe rovesciare le fondamenta della Chiesa. Questo rialzo della posta in gioco non è, però, supportato da un congruo sforzo di scrittura. In molte occasioni, infatti, si percepisce come il film sia un’antologia generica di scene spaventose annacquate in modo irritante. Chiaramente non si pretendeva chissà che raffinatezza di scrittura, ma non è nemmeno gentile trascinarsi fino ai 110 minuti senza giustificazione né il giusto ritmo.
Taissa Farmiga in una scena del film.
La fisiologica stanchezza dopo dieci anni di franchise
Sul piano dell’intrattenimento il film rivela grande stanchezza anche nel costruire la paura, strizzando per tutto il tempo la tonaca di Valak per distillare ogni goccia di terrore rimasta. Infatti, si pretenderanno gli straordinari dal demone, che comparirà in tutte le possibili versioni e salse, persino sotto forma di mosaico giornalistico. Anche tra il cast è stanco di spaventarsi, con personaggi che sembrano confrontarsi con l’orrore più indicibile senza particolare effetto (vedi la piccola Sophie, Katelyn Rose Downey). Solo Taissa Farmiga si cala bene nel ruolo, restituendo la fede incrollabile della minuta Suor Irene.
Inoltre, graficamente è sempre funzionante il confronto fisico tra il suo corpo esile e l’imponenza solo apparente di Valak, il “Marchese dei serpenti”. Come nel primo film, infatti, si ripresenta lo scontro materiale tra bene e male, dove il secondo mostra una forza ipertrofica solo apparante a differenza del primo. La fede adamantina della vera credente contro un nemico manipolatore. Il film, quindi, si regge su una confezione efficace, un marketing ancora brillante e un villain iconicissimo, che difficilmente sarà ignorato dal suo pubblico, ma festeggia in modo stanchissimo il decennale del franchise. Bisogna prendere atto, comunque, che si è tentato un minimo sforzo narrativo senza l’aria dello showcase di una propria intellettuale mostruosa da presentare al pubblico.
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