Dal primo di agosto è disponibile, sul portale di cinema in streaming per cinefili MUBI, il film israeliano Ajami, diretto nel 2009 dai registi Scandar Copti e Yaron Shani, quest’ultimo noto anche per la trilogia sull’amore che ha generato i film Love Trilogy: Stripped (2018), Love Trilogy: Chained (2019), e Love Trilogy: Reborn (2019).
Ajami, presentato per la prima volta al Festival di Cannes 2009 nella sezione Quinzaine des Réalisateurs, è stato in seguito candidato all’ambito premio Oscar come miglior film straniero in quello stesso anno.
Ajami – culture e soprattutto religioni differenti e spesso inconciliabili a confronto
La voce narrante, sinistramente preveggente, è quella del tredicenne Nesri, un bambino maturo che disegna in chiaroscuro su carboncino, e con stilizzati ma altamente espressivi e professionali tratti sicuri, i particolari salienti ed espressivi delle tragedie che lo circondano.
Un ragazzino che vorrebbe essere già adulto, e che per tale motivo pensa già a organizzarsi per sposarsi, mentre il nonno paralitico, a cui il ragazzo sta facendo la doccia, cerca di convincerlo che la cosa più importante per lui ora è che finisca di studiare.
Il film è ambientato a Jaffa, nel quartiere cosmopolita, e per questo rovente, di Ajami, ove convivono, come possono, antichi ceppi di origine ebraica, musulmana e cristiana.
Un quartiere a pochi passi dalla zona portuale di Jaffa, dove i commerci fioriscono, ma anche le trattative e gli affari illeciti, e con questi la delinquenza, i contrasti tra bande rivali, che si contendono un mercato irrinunciabile e che, per il regolamento dei conti, finiscono sempre per mettere davanti ognuno il loro dio, e la difesa delle proprie tradizioni.
“Era da un po’ che sapevamo che qualcosa di brutto sarebbe successo nel nostro quartiere…ma non immaginavo che tutto ciò cominciasse con la morte del mio amico Jaja”
Quando un vicino di casa di Nesri viene brutalmente assassinato mentre sta riparando una gomma alla macchina del fratello di costui, si capisce subito che i killer volevano colpire la famiglia di Omar, a causa di una faida iniziata con l’uccisione di un beduino entrato nel bar dello zio di Nesri e Omar per intimidire i titolari che non avevano pagato il pizzo.
Il padrone del bar si difende e uccide l’uomo col fucile, non sapendo che appartiene ad una delle famiglie più potenti dei quartieri del sud.
Storie di vita, faide tra poveri
A questo punto, dopo l’incendio doloso del bar, dopo gli agguati e i tentativi di uccisione del barista, zio di Nesri, poi rimasto gravemente ferito in un agguato, la famiglia decide di dividersi e di nascondersi altrove, tenendo celato Omar, che a quel punto rimane il più anziano ancora in salute di tutta la famiglia.
La vicenda poi si sposta su un altro giovane, Malek, un profugo palestinese clandestino che lavora in Israele perché vuole guadagnare i soldi necessari per operare la madre gravemente malata.
Poi c’è Binj, un palestinese innamorato che sogna un futuro di convivenza e benessere insieme alla sua fidanzata, che tuttavia è ebrea e come tale legata ai culti difficilmente condivisibili con altri popoli differenti se non addirittura nemici.
Dando infine lavora nella polizia ed è ossessionato dalla morte violenta del fratello, che ha giurato di vendicare.
Ajami – la recensione
“Chiudete gli occhi. Fate un respiro profondo e fate riposare la testa. Ora vi sentite tranquilli e sereni: lentamente le vostre mani diventano leggere, poi i piedi, infine tutto il corpo. Conterò fino a tre, e quando aprirete gli occhi vi troverete in un altro luogo…. Uno, Due, Tre … aprite gli occhi”.
Storie tese, agguati e sparatorie a bruciapelo. La reazione a un atto di prepotenza provoca ulteriore scarica di adrenalina e una risposta in crescendo a livello di tensione emotiva, che finisce per intrecciarsi di episodio in episodio.
Ajami è un’opera prima, impegnata, schierata contro la violenza insanabile tra popoli ed etnie e per questo tutta protesa a rappresentarne i brutali inevitabili effetti e le drammatiche conseguenze.
Notevole la portata drammatica, ma pure la dinamica thriller che accompagna ogni episodio, perfettamente calata nella realtà di quartiere multietnico e problematico.
Una tensione che si acuisce, surriscaldata dall’impeto della violenza e della vendetta, tratti essenziali di questo esordio notevole girato a quattro mani da una coppia affiatata di registi di estrazione diametralmente opposta quanto ad etnia, quasi a suffragare l’origine e il caposaldo centrale che fa da filo conduttore del magma pronto ad esplodere.
I bravi cineasti di questo debutto importante si chiamano Scandar Copti e Yaron Shari, cittadino palestinese il primo, ebreo musulmano il secondo.
Per dare motivo agli attori che prendono parte ai vari episodi concentrici di entrare più intimamente dei loro personaggi, i registi rivelano di aver girato il film in modo consequenziale rispetto alla storia e alle varie vicende.
Costretti per questo motivo a continui spostamenti tra una location e l’altra, con necessità di perdere più tempo e utilizzando un metodo meno razionale ed economico, al servizio di una tensione emotiva in grado di materializzarsi e rispettare le singole sensibilità degli attori coinvolti.