In streaming su Netflix Midway è un film di guerra del 2019 diretto da Roland Emmerich e prodotto dalla Centropolis Entertainment assieme alla AGC International e alla Starlight Culture Entertainment.
Scritto da Wes Tooke, il film è stato distribuito in Italia dalla Eagle Pictures.
Il budget iniziale di 100 milioni di dollari è stato ampiamente ripagato grazie ai 126 milioni incassati globalmente alla sua prima uscita nelle sale cinematografiche.
Tra i punti di maggior forza del film, oltre al grande nome scelto per la regia, c’è il supercast che include: Dennis Quaid, Ed Skrein, Woody Harrelson, Nick Jonas, Luke Evans, Patrick Wilson, Aaron Eckhart e Mandy Moore.
Midway la trama
Anni prima dell’inizio del conflitto, l’addetto navale dell’ambasciata americana a Tokyo Edwin T. Layton (Patrick Wilson) incontra il maresciallo della Marina Imperiale giapponese, Isoroku Yamamoto, che lo informa che il suo Paese agirà contro gli Stati Uniti se le loro forniture di petrolio verranno minacciate.
È il mattino del 7 dicembre 1941 quando il Giappone decide di passare dalle parole ai fatti e colpisce la base navale americana di Pearl Harbor con la sua flotta, decimando quella nemica. Questo violento e tragico attacco porta gli USA a entrare nella Seconda guerra mondiale.
L’ammiraglio Cheter Nimitz (Woody Harrelson) assume il comando della flotta statunitense nel Pacifico, ormai notevolmente ridotta. Con pochi uomini e armi insufficienti, l’esercito americano sembra in una posizione bellica del tutto nefasta. Ha un solo asso nella manica: l’intelligence e una forte brama di rivalsa.
L’ammiraglio Nimitz collabora a stretto contatto con Layton, ora tenente della Marina e incaricato d’interpretare e decodificare i messaggi giapponesi. Nell’aprile 1942, dopo che Jimmy Doolittle (Aaron Eckhart) idea un piano ben congegnato, i bombardieri americani fanno incursione nei cieli di Tokyo, in risposta all’offesa subita a Pearl Harbor; il messaggio che passa è lampante: avrebbero combattuto fino alla fine con tutte le loro (poche) forze.
Nel frattempo il team di crittografia intercetta alcuni messaggi nipponici riguardanti un prossimo attacco. Layton, convinto che l’obiettivo sia l’atollo di Midway, ne parla con Nimitz, ma quest’ultimo riceve da Washington risposte contrarie alla teoria del tenente…
Una sfida enorme per l’ottimismo statunitense
Midway si colloca sulla scia dei tanti film d’azione stracolmi di effetti speciali che tanto piacciono a Emmerich, amante del catastrofico e già pienamente affermatosi grazie a film come The day after Tomorrow, Godzilla, 2012 e Independence Day; tutti titoli che hanno contribuito a renderlo l’11° regista di maggior successo (si parla di incassi) nella storia del cinema americano.
Qui però si tocca non soltanto un tema che consente di scatenare l’inferno digitale, ma anche una parte fondamentale della storia statunitense, oltreché mondiale, visto che la battaglia delle isole Midway, combattuta il 4 giugno 1942, fu fondamentale per ribaltare le sorti della guerra nel Pacifico.
E dunque si rende necessaria, specialmente nell’ottica di un cinema patriottico e di, se vogliamo esagerare, sicurezza nazionale, un’accuratezza storica quasi ineccepibile (considerando che è impossibile non divergere, anche leggermente, dalla realtà): il film è stato infatti particolarmente apprezzato per la devota ricostruzione delle ambientazioni e degli eventi, resa possibile anche dagli straordinari permessi ottenuti dalla produzione per girare varie scene in alcuni dei luoghi originali.
Si segna però con Midway non soltanto l’ennesimo trionfo commerciale di Emmerich, ma anche l’ennesima celebrazione di una prospettiva sì statunitense, ma eccezionalmente non ottimista e soprattutto lontana da quella fatalità provvidenziale che da sempre contraddistingue gli USA: a tutti gli storici protagonisti del film è ben chiaro che i rischi di una sconfitta siano tanti, che l’unica cosa ormai possibilmente controllabile siano le azioni e i pensieri, da dosare e gestire in maniera accurata, se si vuole ancora avere qualche minima speranza contro i giapponesi. Rispetto alla classica e discutibile filosofia morale degli statunitensi, si intravede qui una spoliazione che lascia intatto soltanto un incontrovertibile amore verso la vita, la patria e una speranza forse più gagliarda e inscalfibile della dignità samurai che anima invece il fronte avversario.
È molto facile trovare dei film che critichino appieno l’American Way of Life, ma difficilmente si assiste a prodotti che, con lo scopo di celebrare dei precisi valori, li rileggano in chiave contemporanea e realista, disillusa.
La storia al servizio dello spettacolo
Ci sarebbe davvero tanto da dire su Midway, specialmente sul suo lato storiografico e memoriale. Infatti, Emmerich ha trasformato un evento di guerra mediaticamente meno noto, seppur di vitale importanza, in un “mappazzone” spettacolare che poco tiene conto delle numerose dinamiche sottese a quella storica battaglia: i tanti personaggi che hanno contribuito a quegli eventi sono stati soltanto abbozzati e riempiti con dei volti ampiamente riconoscibili ma nonostante ciò anonimi, obliabili, che dunque hanno reso degli eroi di guerra storicamente leggendari in icone pop superficiali e non necessarie (specialmente se si parla dei personaggi interpretati da Quaid, Eckhart e Jonas).
Sarebbe stato interessante vedere approfondite alcune delle tematiche parallele al conflitto, che sono state inutilmente spiattellate qua e là: ad esempio, la difficile gestione emotiva dei rapporti familiari e matrimoniali durante la guerra, come il cinema ha contribuito a diffondere delle precise visioni del conflitto a chi ne è rimasto fuori (tema toccato con la marginale e imbarazzante figura del regista John Ford, che ebbe invece un ruolo fondamentale con i suoi documentari di guerra commissionati dal governo statunitense), i numerosi eccidi dei giapponesi nei riguardi dei civili cinesi, la cooperazione tra cinesi e soldati statunitensi… Insomma, di carne al fuoco ce n’era parecchia, e solo poca è stata cotta a puntino. Tutto il resto è da buttare.
La memoria storica è stata dunque trasformata in manierismo seducente e commerciale, in appiattimento culturale che purtroppo fa di questo film un titolo non necessario e anzi spiacevole se considerato con profondo acume critico. Non c’è però nulla da togliere all’accuratissimo lavoro di ricostruzione scenica e al titanico sforzo produttivo e lavorativo portato avanti dagli ottimi addetti ai lavori.
Scrivere in una rivista di cinema. Il tuo momento é adesso!
Candidati per provare a entrare nel nostro Global Team scrivendo a direzione@taxidrivers.it Oggetto: Candidatura Taxi drivers