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È reale? di Gianfranco Pannone

Come in un film. La vita, il cinema e le altre arti al tempo del ChatGpt

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La realtà a volte è deludente”, diceva il grande Fellini, forse dimenticando la lezione del suo maestro, nonché (bene sempre ricordarlo) uno dei maestri del Neorealismo, Roberto Rossellini, che nel racconto preso dalla vita reale invece ci credeva eccome! Sui limiti della realtà di recente ho sentito dire qualcosa anche dal nostro Paolo Sorrentino… Insomma, che noia ‘sta vita reale!, ci dice ancora tanto cinema, non dimentico di quello che affermava l’amato Francois Truffaut, che, appunto, vedeva nel cinema un prometeico sforzo, tutto novecentesco, di superare la noia del quotidiano (ed è curioso che Fellini e Truffaut convergano senza volerlo sul tradimento .del loro padre cinematografico).

E se invece, scomodando il caro Rossellini, rovesciassimo la questione? Mi chiedo: perché oggi il cinema in sala tira poco? E’ solo colpa delle piattaforme streaming? E se fosse proprio il cinema come prometeica macchina del sogno a non tirare più? Forse la gente comune chiede altro alla vita, a quella vita di tutti i giorni che sembra scorrere sempre uguale; e questo altro dalla quotidianità ora a gran maggioranza lo vuol vivere, sentire, possedere in prima persona. Insomma, l’uomo qualunque, quello che un tempo, in un pomeriggio assolato come a sera, cercava il buio della sala per non pensare, per uscir fuori dal trantran quotidiano, per sognare altro ed oltre il dato reale, ora, nel mondo delle fake news, della realtà aumentata, del metaverso…, cerca piuttosto di dare un senso alla propria vita provando ad esserne lui stesso l’artefice, col corpo e con la mente, in una sorta di disperato e dissennato carpe diem da ultimi giorni dell’umanità, potremmo azzardare.

Esagero? Forse. Ma siamo proprio sicuri che il cittadino della strada sia diventato così arido e passivo come insiste una certa vulgata non priva di ideologia? In fondo cosa sappiamo della sua vita privata? E anche del suo inconscio? A me sembra, invece, che sempre di più ognuno di noi il cinema se lo voglia far da solo, trascinandolo nella vita di tutti i giorni. Un po’ come il Sebzian di Close-up di Abbas Kiarostami, che finge di essere il regista Mohsen Makhmalbaf per sentirsi anche lui protagonista in una Teheran tentacolare, spettatore sì appassionato dei film iraniani di ascendenza neorealista, ma al tempo stesso bisognoso di trovarsi al centro di un mondo che al contrario lo emargina. In fondo, pensateci bene, siamo un po’ tutti Sebzian: quanto vorremmo essere protagonisti in questo tempo che ci schiaccia come numeri!

immagine iconica da un film di Meliès

E se il cinema d’evasione, il cinema-circo, il cinema abbracadabra un po’ alla volta stesse mostrando le corde? Sia chiaro, non ho nulla contro la “tendenza Meliès” e amo anche i film di intrattenimento; fin da piccolo, per esempio, sono sempre stato uno spettatore accanito degli “Spaghetti western”, genere che tra l’altro in certi frangenti è stato anche “maestro di vita”, con una visione politica spregiudicata e per questo eccitante agli occhi di un giovane (si pensi per esempio a un western rivoluzionario e sessantottino come Vamos a matar, companeros!, di Sergio Corbucci). Ma, in un mondo dove tutto sembra essere possibile, e per giunta sempre più a basso costo, e dove basta un clic per ottenere il proprio nutrimento quotidiano, vien da pensare che una persona con un minimo di sale in zucca il film se lo voglia far da solo, magari senza neanche la telecamera e tutto l’armamentario necessario a realizzarlo. Non sta accadendo già così persino nei media, con la stessa televisione, da ormai lungo tempo ridotta perlopiù a veicolo di distrazione di massa per signori e signore attempati? I giovani non vedono la tv, se ne infischiano di quella scatola che ha accalappiato ben quattro generazioni dal dopoguerra ad oggi, e il palinsesto se lo costruiscono ogni giorno per conto loro, ai computer, sulla rete, così come le loro vite si animano fuori dal mondo degli adulti; e non necessariamente diventando, i giovani suddetti, alieni dalla realtà, come invece pretende una narrazione, direi di comodo, tutta appannaggio dei boomers. La verità è che di libero, almeno potenzialmente, ci rimane solo il nostro cervello, ed io voglio credere, anzi, credo che, realtà realtà o realtà virtuale che sia, nelle teste della gente alberghi molta più fantasia di quanto non si dica, specie tra i giovani.

Il cinema come platonico “mito della caverna” sempre meno attraente e in declino, dunque? La vogliamo vedere in questo modo? So di esagerare, e infine mi auguro che non sia neanche così, talmente legato come sono alla novecentesca settima arte, che al solo pensiero della fine di un certo cinema-spettacolo rischio di prendermi l’ulcera. E comunque anche l’evadere ha una sua profondità, non dimentichiamolo, sennò dovremmo buttare nel secchio della spazzatura persino un Jerry Lewis! Resiste piuttosto, ridendo o piangendo che sia, l’anelito dell’uomo a interrogarsi, e anche a sperare, a desiderare, a ribellarsi, chiedendo sempre alla vita qualcosa di più della vita com’è.

Tuttavia sono abbastanza sicuro di una cosa, che lo spazio per un certo cinema prossimo alla realtà, magari più discreto e rigoroso, continuerà ad esserci, anzi, che crescerà in modo esponenziale. E il perché è presto detto: in un mondo sempre più invaso dai media e dai social, al punto da prospettare a breve termine persino nuove forme di vita parallele a quella reale, in tanti sentiranno sempre più l’esigenza di interrogarsi su dove e come va il mondo. E chiederanno, dunque, a chi scrive, a chi filma, a chi in genere produce arte, di restituire nuove forme di interpretazione della realtà – perché no? -più profonde e anche provocatorie. Certo poi oggi c’è pure l’intelligenza artificiale a preoccuparci, se è vero che centinaia di tecnici e scienziati proprio in questi giorni hanno chiesto in una lettera firmata a più mani una moratoria per la “diabolica” “chatGpt”, che quasi tutto sembra potere al posto del cervello umano. Sarà poi veramente così? Io resto comunque moderatamente ottimista, anche se l’arrivo di Gpt-5, intelligenza artificiale ancora più prossima alla mente umana, sia già annunciata come la vera prossima rivoluzione…

Gpt-5 o non, a conti fatti credo che a guadagnarci di più sarà proprio lo sguardo documentario, che non bypassa tempi e modi della vita reale, ma piuttosto li interpreta rimettendoli in gioco; e che condurrà (e in parte già conduce) tanti filmmakers, giovani e meno giovani, ad andare a vedere di persona cosa accade nel mondo, eredi lontani ma non troppo di quell’Erodoto che trovava più interessante interrogarsi su chi fossero i persiani piuttosto che rivolgersi alla sola narrazione dei suoi concittadini ateniesi. Insomma, non credo che durerà a lungo questa spesso stupida e ripetitiva autorappresentazione modello Istagram o tik tok, che tanto sembra divertirci, ma che sovente rischia di opprimere i nostri sempre più fragili cervelli.

Da questo punto di vista la vedo più serenamente rispetto al filosofo Biung-Chul Han (ben lungi dal sottoscritto mettersi in gara con lui!), autore di un saggio che vi consiglio di leggere, Infocrazia – Le nostre vite manipolate dalla rete (Einaudi). Il pensatore, coreano ma naturalizzato in Germania, allerta noi cittadini sull’imporsi sempre più evidente di un regime dell’informazione dove “essere liberi non significa agire, ma cliccare. Mettere like e postare”. Immersi nell’infocrazia, appunto, dove un’estrema ma apparente libertà convive con un regime di sempre più stretta sorveglianza online, assistiamo all’eclissarsi di un’epoca che al contrario, pur tra mille contraddizioni, è sempre stata instancabile ricercatrice di verità. A mio giudizio se questo pericolo è reale, verrà comunque il momento, magari per saturazione di codici fin troppo frequentati e infine abusati, in cui volersi riprendere la vita, anche da spettatori intelligenti di un’arte che interroga e si interroga, investirà molte più persone di quanto non si creda. E di questo si avvantaggerà pure la più prometeica, giovane e mobile delle arti: il cinema.

Byung Chul Han. Il libro: 'Infocrazia. Le nostre vite manipolate dalla rete dalla rete'

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