Alessio De Leonardis: intervista al regista di ‘Sarò Franco’ e ‘Ghiaccio’
Da aiuto regista ha diretto numerosi film e affiancato grandi nomi del cinema. Da solo ha diretto il documentario su Franco Trentalance e, in coppia con il cantautore Fabrizio Moro, un film sul pugilato.
Alessio De Leonardis è il regista di Sarò Franco – Una vita un po’ porno e di Ghiaccio. Adesso entrambi i film sono su Prime Video. Il primo è un documentario sul porno attore Franco Trentalance, il secondo un film che ha diretto insieme a un grande amico, il cantautore Fabrizio Moro. Prima di questi lavori Alessio De Leonardis è (stato) aiuto regista di importanti nomi del cinema, da Daniele Vicari a Gabriele Mainetti. Ma è sui suoi due lavori, adesso sulle piattaforme, che abbiamo fatto qualche domanda ad Alessio De Leonardis.
Alessio De Leonardis e il suo approccio a Sarò Franco
Invece che partire dalla domanda classica sulla genesi del documentario, volevo partire da quello che mi ha colpito. La cosa che mi è piaciuta di Sarò Franco – Una vita un po’ porno è la scelta di andare controcorrente sotto molti aspetti. Dall’argomento alla struttura stessa del documentario. Quello che fin da subito mi è piaciuto è la scelta di inserire le didascalie all’inizio e non alla fine. Di solito sono inserite alla fine come a commentare e concludere quello che si è visto fornendo dati reali e concreti. In questo caso, invece, è come se venissimo introdotti alla storia con queste didascalie. Ci sono subito riferimenti temporali e sappiamo già cosa aspettarci. Come sono state pensate?
Finalmente una domanda diversa! Mi è venuto in mente di inserirle all’inizio mentre montavo il documentario. Questo perché sono stato io a montarlo e, a un certo punto, mi è venuta in mente questa cosa. Inizialmente avevo pensato di metterne una alla fine, in modo più classico, proprio come hai detto te. Dopo averlo rivisto, però, ho voluto vedere che effetto faceva provare a dare un linguaggio all’opera e le ho messe un po’ sparse: all’inizio, alla fine, nel mezzo. E, dopo averlo fatto, l’ho visto come un modo per fornire delle informazioni senza farle raccontare per forza dalla voce di qualcuno. Questa cosa funzionava e l’ho lasciata, però mi è venuta in mente dopo. Inizialmente non era pensato in questo modo.
Secondo me è stata un’ottima scelta che ha funzionato perché colpisce lo spettatore.
Ti ringrazio. Quando fai un documentario un grosso lavoro lo fai al montaggio, la fase nella quale costruisci il film. Quando giri hai una traccia, uno pseudo copione. Ma quando intervisti gli ospiti le cose cambiano e magari vengono fuori aspetti a cui non avevi pensato. Questo differentemente da un lungometraggio, dove segui una sceneggiatura. Un documentario, secondo me, non può non montarlo il regista, non tanto fisicamente, ma essendo comunque presente. Soprattutto perché è una fase creativa molto importante.
Rimanere in superficie?
Un’altra cosa che mi è piaciuta, ma che ho letto che in diversi hanno criticato a proposito di Sarò Franco, è la scelta del documentario di rimanere in superficie senza approfondire la storia del protagonista e degli altri che intervengono. Io invece l’ho apprezzata perché spinge a informarsi e documentarsi dopo la visione, quindi è un prodotto che in qualche modo continua nel tempo. Era questo l’obiettivo?
Sì, era questo e sono contento che finalmente qualcuno lo abbia capito. Un documentario non è un’enciclopedia, ma un punto di vista su una persona (se lo fai su una persona). Non è la storia d’Italia dove devi fornire dei dati o simili. Il mio è un punto di vista su una persona.
E la cosa divertente in Sarò Franco era raccontare la pornografia senza far vedere niente. Non c’è una scena hard nel documentario, nonostante al centro ci sia su un pornoattore. Ho voluto cercare di raccontare il lato umano e quella che è una sorta di discriminazione che le persone che fanno questo lavoro subiscono. Volevo raccontare una storia di libertà in questo documentario e mi interessava far uscire ciò.
Non so se poi anche a lui sono state date direttive di rimanere in superficie.
No, lui è così. E, secondo me, lo spettatore si deve incuriosire. Quando si fa un documentario su un personaggio (in questo caso Franco) si deve anche pensare che non tutte le persone sono disposte a raccontare tutto di loro. Per esempio una cosa che Franco non voleva (perché la riteneva superflua) è stato girare delle scene in una casa di legno che lui ha in garage. Perché lui è così nella vita: apparentemente cristallino, ma in profondità ha sempre qualcosa di nascosto. Franco è una persona preparatissima in tantissime cose. Poi c’è da dire che a me non piace quando un personaggio vuole raccontare per forza la sua sofferenza.
Quindi, per rispondere alla tua domanda, se emerge, in qualche modo, una superficialità di Franco per me non si tratta di una superficialità, ma di una protezione.
L’incontro tra Alessio De Leonardis e Franco Trentalance
Come hai conosciuto Franco Trentalance?
Ci siamo conosciuti perché questo documentario non nasce da una mia idea, ma dai produttori della società Wobinda che lo conoscevano personalmente. E con loro anche io avevo collaborato in passato rimanendo in buoni rapporti. Un giorno mi hanno chiamato per propormi di raccontare la figura di Franco Trentalance perché, conoscendolo bene, volevano approfondirlo e mostrarlo al pubblico. Abbiamo parlato di come raccontare la sua figura. E, alla fine, abbiamo voluto mettere in scena questa relazione di come veniva percepita la pornografia una volta, quando lavorava Franco, e come viene venduta oggi. Per questo motivo ho preteso e voluto per forza MaxFelicitas perché è il contraltare di Franco, l’imprenditore, ed è anche meno poetico.
Al di là del fatto che entrambi hanno questa dedizione al sesso, hanno una finalità diversa: Franco aveva davvero la gioia di diventare un attore hard perché c’era un altro mito ai tempi. Invece il porno cinema di Max è legato solo all’atto: non c’è niente dietro. Approfondire questa cosa per me era interessante, era una chiave che stimolava il racconto. Non a caso ho voluto girare una scena in cui c’è Franco che promuove un libro e Max che passa dietro come a lasciare un testimone ipotetico di quello che è stato e di quello che è il futuro. Max, infatti, è un imprenditore vero. Lui dice che non sa come fa a vendere qualcosa che è gratuito ed è sincero. Questo perché è cambiata la fruizione.
Il flashback iniziale
Tornando alla struttura, mi è piaciuto anche il fatto che, soprattutto all’inizio, non sembri un documentario, ma piuttosto un film di finzione con quello che sembra un flashback di Franco Trentalance. Com’è nata l’idea di realizzare questo inizio?
La premessa è che io vengo dal cinema e ho fatto fatica ad approcciarmi al documentario che è comunque un linguaggio che mi piace. Per me la messa in scena è importante. Quindi non poteva non esserci qualche elemento di finzione. E così, quando Franco mi ha raccontato che andava da solo il pomeriggio al cinema a vedere i porno mi sono detto che dovevo girare e inserire questa scena nel documentario.
Abbiamo trovato questo cinema a luci rosse che adesso, dopo la pandemia, ha chiuso. Ma quando abbiamo girato il documentario quel cinema lavorava ancora con gli spettacoli che iniziavano dopo pranzo. E, infatti, più volte, mentre smontavamo abbiamo incrociato qualche cliente, abituale, da solo.
E poi c’è anche il fatto che è un film che inizia al cinema, proprio perché io vengo dal cinema!
Ghiaccio: l’altro film di Alessio De Leonardis
Volevo farti anche un paio di domande su Ghiaccio, la tua opera seconda. In qualche modo ci ho trovato un collegamento con il documentario. Oltre che per la mano, per il modo di girare, per le didascalie (anche stavolta all’inizio), soprattutto per un elemento in particolare: quello del corpo nudo.
Spesso quello che vedete voi critici è veramente un punto interrogativo. A me fa piacere che facciate i collegamenti tra i due lavori. Spesso, però, sono collegamenti che ci sono, ma sono del tutto inconsci. Questo collegamento, per esempio, ha un senso ed è vero, ma onestamente non ci avevo pensato. Però inconsciamente c’è anche perché i due lavori (Sarò Franco e Ghiaccio) sono stati paralleli.
Il parallelismo che posso fare è il fatto che analizzare un pornoattore o comunque un attore in generale è molto simile alla figura di un pugile: l’attore è sempre solo con i suoi demoni, con le sue paure e deve farsi guidare da un regista, come un pugile deve farsi guidare da un coach. Questo è uno dei legami che si possono trovare tra i due lavori.
Le collaborazioni di Alessio De Leonardis
Com’è stato lavorare con due attori come Vinicio Marchioni e Giacomo Ferrara?
Ti dico solo che noi oggi siamo grandi amici e questo la dice lunga su come sono andate le cose. Quando li abbiamo contattati per Ghiaccio non li conoscevamo di persona, non ci avevo mai lavorato: è stato un tentativo.
Loro hanno amato subito il copione e abbiamo iniziato a preparare questi due personaggi, grazie anche al campione del mondo Giovanni De Carolis. Per farti capire, venerdì scorso Vinicio era a teatro e io, Giovanni e Giacomo siamo andati insieme a vederlo.
E loro sono stati il valore aggiunto all’opera anche perché il cinema è un lavoro di squadra dove ci si aiuta. Si deve creare il meccanismo per cui un attore deve arricchire quello che fai. Noi siamo riusciti tutti a diventare una squadra. Ci divertivamo ed è raro che succeda. Era una gara ad aiutarci, a fare più di quello che potevamo.
Sei (stato) aiuto regista con molti nomi per molti film, quindi hai già avuto modo di provare a dirigere qualcosa con un’altra persona. Per Ghiaccio hai lavorato con Fabrizio Moro. Com’è stato collaborare con lui? E com’è lavorare con un cantante?
Io faccio cinema da 20 anni, Fabrizio fa musica da 20 anni. Io amo il mio mestiere, ma secondo me la musica ha qualcosa di più del cinema come sentimento. Per lui è l’opposto: fa musica da 20 anni, ma per lui il cinema è qualcosa in più.
Quindi queste due anime che si sono incontrate avevano due punti di vista diversi che dovevano incontrarsi. La fortuna è che noi siamo grandi amici nella vita e questo ha aiutato molto. E poi è stato tutto molto semplice: noi il film lo abbiamo scritto e pensato insieme. E mentre lo scrivevamo ci dicevamo come girarlo. Sul set non è mai capitato che avessimo visioni diverse su come vedere una scena. Arrivavamo prima della troupe sul set, prendevamo le scene della giornata e ce le immaginavamo e le ripetevamo. Si è trattato di un’alchimia strana, anche perché entrambi siamo abituati a scrivere da soli.
Cinema e piattaforme
Cosa ti aspetti dal fatto che entrambi i film, sia Sarò Franco che Ghiaccio, si trovano su una piattaforma di streaming?
Il cinema, per me, non è sostituibile. Un film non è solo la visione, ma è condivisione di tante cose. Per me è come se cinema e piattaforme fossero due campionati diversi. Sicuramente entrambi sono due ottimi mezzi per divulgare il prodotto. Da regista sono felice se le persone hanno più mezzi possibili per avvicinarsi alla visione dei film o dei documentari. Un film o un documentario qualcosa lo lascia sempre, anche se non è piaciuto. E per lasciare qualcosa significa che deve essere visto, quindi ben venga questo passaggio sulle piattaforme.
Il cinema di Alessio De Leonardis
C’è un cinema al quale ti ispiri? O uno o più autori ai quali fai riferimento?
Questa è una domanda complicata. A me del cinema piace tutto. Il cinema, come la musica, è uno stato d’animo. Le cose che amo di più, però, sono quelle che mi emozionano e con cui riesco a empatizzare.
Orientativamente a me piace il cinema italiano del dopoguerra e le prime commedie all’italiana. Il sorpasso è uno dei miei film preferiti perché, come altri, aveva la capacità di farmi ridere, piangere e immedesimare ed emozionare, raccontando la società in un modo che era rivoluzionario. Però amo anche QuentinTarantino che ha cambiato dei modi di raccontare. Poi ero un amante del primo GuyRitchie, ma anche del primo Iñarritu.
Il futuro
Progetti futuri?
Sto per iniziare le riprese di un documentario che è una docufiction. Non dico su cosa, ma l’ho scritto insieme ad Anselmadell’Olio ed è stato un viaggio molto bello. Scrivere insieme a una persona completamente diversa e distante, anche solo in termini anagrafici, è stata una sfida interessante. Ci siamo trovati benissimo. Ognuno ha preso dall’altro una serie di cose. Iniziamo le riprese a fine febbraio, la regia è di Anselma e io mi occuperò della produzione creativa del progetto perché, oltre a essere autore, con lei mi piaceva l’idea di percorrerla insieme questa strada.
Poi sto finendo la scrittura del nuovo film con Fabrizio Moro. Ma sarà un peccato dover andare a scommettere su attori diversi per non farlo essere un Ghiaccio 2.