Anno: 2011
Distribuzione: Cinecittà Luce
Durata: 103’
Genere: Drammatico
Nazionalità: Italia/Romania
Regia: Gianluca De Serio/Massimiliano De Serio
I gemelli De Serio esordiscono nel lungometraggio di finzione con Sette opere di misericordia, un meticoloso lavoro di scavo nell’intimità di due esistenze fragili. Sette sono i quadri che, in un ribaltamento tragicamente dissacrante delle opere di misericordia tracciate dalla confessione cattolica per i cristiani, scandiscono i tempi della disamina nell’anatomia relazionale di Luminita (Olimpia Melinte) e Antonio (Roberto Herlitzka).
Siamo nella periferia nord di Torino – quartiere conosciuto bene dalla coppia artistica – dove un ipermercato, un ospedale e la nascosta baraccopoli disegnano la geografia del luogo. Luminita è una giovane immigrata romena che vive nella clandestinità ed è costretta a sottostare alle regole di una famiglia-padrona per sopravvivere. Ostinata a cambiare il corso della sua vita, è pronta a tutto per attuare il suo piano, anche a procurarsi dei documenti falsi e ad ‘assorbire’ la vita di qualcun altro. L’anziano e malato Antonio, un uomo ai margini di quella stessa società che decenni prima l’ha visto spostarsi da una regione all’altra auspicando un futuro migliore, è destinato a incrociare il percorso della ragazza. In ospedale – luogo di cura per eccellenza – Luminita incontra e sceglie Antonio come suo protettore, e nella sua casa – spazio accogliente per antonomasia – la ragazza consuma il suo progetto di inclusione. Il contatto violento e spietato, o semplicemente disperato, di Luminita, che sancisce l’inizio di un incontro tra due individualità, si scioglie gradualmente in una relazione costruita sulla loquacità del silenzio e del gesto.
Antonio e Luminita sono due esseri umani emarginati, due corpi freddi intrappolati nella stessa miseria, che condividono un tessuto sociale, quello dell’immigrazione – interna per l’uno e illegale per l’altra – volutamente collocato sullo sfondo, due esistenze solitarie che insieme lottano alla ricerca di un senso. Tracce d’affondo umano care ai fratelli Dardenne echeggiano nell’opera prima dei fratelli De Serio, impegnati, conosciuti e premiati per cortometraggi (Maria Jesus, Mio fratello Yang, Zakaria, L’esame di Xhodi) e documentari (Bakroman). Eppure, dalla differenza della cifra stilistica – propensa all’uso della macchina a mano per il duo belga e all’uso della camera fissa per gli italiani – si aprono diverse ramificazioni di sguardo e costruzione. Come accade nei film dei Dardenne, anche i protagonisti ritratti dai De Serio si muovono lungo un percorso morale durante il quale fanno i conti con se stessi e con i propri limiti, si relazionano all’altro e maturano una nuova consapevolezza, giungendo alla meta cambiati. In sette opere di misericordia l’obiettivo della macchina da presa è puntato sull’individuo, un’esistenza in fieri, e ne esplora azioni, reazioni e relazioni, lasciandolo agire ed evolvere senza in alcun modo interferire.
Asciutto nel linguaggio, rigoroso nell’osservazione, violento nello svisceramento della solitudine umana, Sette opere di misericordia induce lo spettatore a interrogarsi sull’essenza dell’esistenza, che nelle relazioni acquisisce senso, laddove la pietas – l’atto di prendersi cura dell’altro – funge da chiave nella comprensione.
Francesca Vantaggiato