‘I segni del cuore’, CODA la recensione del film di Sian Heder
I segni del cuore è un film piccolo, racchiuso, senza velleità, ma grande e autentico nella rappresentazione dell'unione e delle incomprensioni familiari e capace di divertire e commuovere genuinamente.
Giunti ormai in prossimità della massima celebrazione del cinema hollywoodiano, la serata degli Oscar, tra i film che si contenderanno la statuetta più ambita, quella del miglior film, compare un titolo che ha fatto pochissimo parlare di sè (quantomeno in Italia): I segni del cuore. Ben lungi dall’essere una grande produzione, dallo sfoggiare star celebri e familiari al pubblico nostrano o dal contare su un regista affermato, I segni del cuore (CODA il titolo originale), diretto da Sian Heder, è il film che ha vinto l’edizione del 2021 del Sundance Film Festival, remake di quel La famiglia Bélier che ebbe un grandissimo successo in Francia nel 2014. Un piccolo film, ma dalla sorprendente genuinità e con un grande cuore, che potrà trovarsi a battere a sorpresa durante la serata del Dolby Theatre.
I segni del cuore: la trama
Ruby è l’unico membro udente della sua famiglia, composta dal padre, dalla madre e dal fratello maggiore, sordi dalla nascita. La giovane ragazza li aiuta con l’attività di pesca, che le porta via molto tempo sia di giorno che di notte, ma soprattutto è di fondamentale importanza come interprete, unica in grado di connettere la famiglia con la comunità. Oltre al lavoro, Ruby porta avanti la passione per il canto e l’insegnante della scuola le propone di tentare l’audizione per il prestigioso Berklee College of Music, ponendola di fronte a una complessa decisione. Seguire la passione per la musica la porterebbe infatti ad allontanarsi da casa, ma la sua famiglia non sembra in grado di poter fare a meno di lei.
L’emozione non ha voce
Il cinema americano continua spesso a porsi come mediatore tra i film e i racconti che provengono da oltreoceano e il pubblico statunitense, assorbendo temi, idee e storie di successi di altri paesi per riproporli tramite remake. Non sorprende che questo processo abbia coinvolto anche un film come La famiglia Bélier, sia per l’enorme successo che ha avuto, sia per il tema che tratta, che si coniuga con la sempre maggior ricerca di inclusività. Un tema che si palesa sin dal titolo originale, CODA, acronimo di Children of deaf adults, con il quale si indicano i figli di genitori sordi e che definisce il rapporto tra udenti e non udenti di cui si interessa prevalentemente il film.
Sian Heder, al secondo film da regista, si attiene allo spirito del film originale, calato nel contesto geografico e culturale americano, accentuando il ruolo della musica e percorrendo i canoni del coming of age, senza incappare eccessivamente in quella patina artificiosa e pop che troppo spesso li caratterizza. I segni del cuore mantiere uno sguardo intimo e sincero su Ruby, seguendo la nascita di un talento e la sua affermazione, tra i delicati rapporti di famiglia. Ciò che distingue il film è l’espressione pura e realistica dell’identità delle persone sorde, dal momento che il cast, a differenza del film originale, è composto da non udenti (tra cui Marlee Matlin, vincitrice dell’Oscar nel 1987 per Figli di un dio minore). È una caratterizzazione spontanea, volta a sottolineare l’universalità dei legami familiari, degli imbarazzi adolescenziali e del distacco tra figli e genitori.
La maggior differenza rispetto a La famiglia Bélier è l’occupazione della famiglia, che dalla gestione di una fattoria passa a un’attività di pesca, con il padre e il fratello che si impegnano ad affrancarsi dai grossisti per rivendere il pesce in autonomia, rievocando alla lontana La terra trema di Visconti. È in questo modo che tentano di affermarsi e trovare un proprio posto nella comunità. Queste due anime, l’attività lavorativa della famiglia e il percorso di crescita di Ruby, coabitano e si integrano, in un ritratto in cui i silenzi, le urla, i gesti, i respiri, il canto si fondono e si equiparano.
I segni del cuore è un film piccolo, racchiuso, senza velleità, ma grande e autentico nella rappresentazione dell’unione e delle incomprensioni familiari e capace di divertire e commuovere genuinamente.
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