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Conversation

‘I nostri fantasmi’ conversazione con Alessandro Capitani

Arriva al Sudestival il film con Michele Riondino e Hadas Yaron

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i nostri fantasmi alessandro capitani

Dopo l’anteprima alle Giornate degli Autori dell’ultimo Festival di Venezia e il passaggio nelle sale I nostri fantasmi di Alessandro Capitani è passato alla 22esima edizione del Sudestival dove, per quattro week end, da febbraio a marzo, Monopoli diventa “schermo, palcoscenico e luogo di incontri, idee e meraviglia”. Al regista, Alessandro Capitani, abbiamo chiesto di parlarci del suo film.

I nostri fantasmi di Alessandro Capitani

Una delle questioni del film era in che modo ti saresti relazionato con la materia del tuo film, che nella parte iniziale si confronta con il gotico, ripreso nei luoghi tipici del suo immaginario. La dimora isolata, la notte buia e tempestosa, i rumori enigmatici e le presenze fantasmatiche riproducono appieno la metafisica del genere.

Assolutamente. Fin dalla fase di scrittura avevamo intenzione di giocare con il genere, avendo idea di un rapporto con lo spettatore in cui quest’ultimo sarebbe stato coinvolto in situazioni sempre diverse. Come quella di adottare un inizio le cui tinte nere possono sembrare un richiamo al gotico e all’horror, salvo poi trasformarsi in un’altra cosa. Man mano che il film si rivela si scoprono cose che implicano un cambiamento di rotta anche nel genere utilizzato. Quella de I nostri fantasmi è una narrazione che, oltre a non annoiarti, è capace di portare sempre avanti la narrazione. Ancora adesso la considero un valore aggiunto del film.

Nel travestirsi ogni volta con una diversa forma cinematografica I nostri fantasmi si cimenta in una decostruzione dei generi rivelandole i meccanismi del mascheramento e della finzione.

Esatto, siamo in un’epoca dove tutto è stato visto e raccontato quindi bisogna cercare di essere un po’ originali, soprattutto quando l’approccio alla storia sembra renderla simile a tante altre. Per questo penso sia stato efficace immergere Valerio e Carlo in una dimensione ludica in cui gli effetti spaventevoli sono in realtà il frutto di un gioco tra padre e figlio.

Tracce horror

Nel rapportarsi con l’horror il film usa lo stesso espediente di Scream, in cui a far da premessa alla storia è una sorta di micro film auto conclusivo in cui gli attori in scena sono dei protagonisti temporanei, come, a suo tempo, lo fu Drew Barrymore nel lungometraggio di Wes Craven. Dopo quel prologo inizia un altro film. 

Quella è un’introduzione che nella seconda parte ha la funzione di svelare il gioco, ovvero di mostrare quello che prima non si vedeva. Quando Miryam arriva nella casa come nuova affittuaria lo spettatore scopre in che modo Vincenzo e Carlo arrivano a creare gli effetti che spaventano gli inquilini. Li vediamo giocare con la ciabatta che provoca gli sbalzi di luce e la maniera in cui creano i rumori che inquietano gli ospiti. A quel punto è come se avessimo di fronte una sorta di vademecum utile a simulare l’effetto della casa infestata da cui le persone finiscono per scappare. È un gioco che ho trovato divertente anche nel cambiare il tono della storia.

E anche a dirci che la realtà fa più paura della fantasia.

Sì, oppure che la realtà fa talmente paura che porta le persone a risolvere i problemi in maniera ancora più grottesca e disperata. Che poi è quello che fanno loro perché il gioco inventato dal padre in realtà nasconde una terribile condizione esistenziale. Questa è una cosa che facevamo già con la commedia all’italiana di cui io sono grande amante. In quei film esistevano le stesse dinamiche che anche oggi permettono di raccontare il reale attraverso una forma allegorica che colpisce e diverte.

Come succede nel finale del film in cui, rispetto al prologo, il gioco è diventato scoperto, con Valerio e Miryam consapevoli di mimare dinamiche che invece di separarli saranno foriere della loro unione. 

Assolutamente. Se ricordi il primo bacio era stato interrotto sul più bello, per cui mi piaceva recuperare quella promessa perduta alla fine del film per lasciare una speranza non solo ai personaggi, ma anche al pubblico che si congeda dalla storia assistendo allo stesso gioco; questa volta interpretato da persone, Valerio e Miryam, coscienti che i fantasmi non sono reali, ma solo interiori.

I personaggi de I nostri fantasmi di Alessandro Capitani

Il film stabilisce fin da subito dei punti di contatto tra i protagonisti ivi compreso con il personaggio di Alessandro Haber: ognuno di loro deve fare i conti con i propri fantasmi. In questo senso il titolo non potrebbe essere più indicativo nel riferirsi a una condizione esistenziale che appartiene a tutti.

Ti dico di più. Con quel titolo volevo spingere lo spettatore a una riflessione interiore perché I nostri fantasmi parla di una condizione comune. Anche di chi guarda i personaggi del film che nel corso dell’arco narrativo hanno problematiche poi risolte nella maniera più genuina possibile. Fin dall’inizio ci eravamo prefissati di raccontare sentimenti positivi come l’amore, l’altruismo, la riconoscenza comune.  Nelle interviste cito sempre De André quando diceva che riconoscersi nell’altro ti permette di capire e risolvere i tuoi problemi. I personaggi di questa storia fanno esattamente questo, si osservano e si scoprono simili nella diversità più completa. Cosi facendo riescono a capire come risolvere la propria situazione.

Il film ragiona anche su come spesso ci ritroviamo a vivere l’esistenza portandoci dentro le nostre paure. Viviamo uno accanto all’altro senza avere il coraggio di chiedere aiuto e rimanendo sconosciuti alle persone che ci stanno vicine. Il cammino dei personaggi parte da qui per arrivare alla condizione opposta. 

Certo, era un po’ quello che c’eravamo immaginati, per cui non aggiungo altro alla tua affermazione.

I luoghi de I nostri fantasmi di Alessandro Capitani

Il modo in cui inquadri la città contribuisce a renderla un enorme non luogo. Succede non solo per le riprese in esterni, in cui i riferimenti topografici non sono per nulla caratterizzati, ma anche per gli interni delle abitazioni. Accanto all’uso ludico del genere anche le immagini contribuiscono al processo di interiorizzazione della storia.  

i nostri fantasmi alessandro capitani

Ho cercato un luogo che poteva trasmettere quell’idea di magico, di gotico e di horror che c’era nella storia, trovandola a Collegno, un quartiere di Torino dove c’era questa vecchia fabbrica di cotone, il Villaggio Leumann rimasto come era stato costruito a cavallo tra il 1800 e il 1900.

Quello che vediamo sullo schermo è un luogo fuori dal tempo.

Fuori dal tempo perché quando arrivi lì hai la sensazione di trovarti in un villaggio inglese e a me questa cosa piaceva tantissimo. Le case sono molto povere, costruite per ospitare gli operai di quel periodo così per i costumi abbiamo pensato di disegnarli come se i personaggi li avessero dentro un baule della soffitta, citando gli abiti degli antenati che abitavano dentro quelle stanze. Tant’è che nella foto all’inizio del film, mentre la coppia fugge da casa, si vedono persone con indosso vestiti simili a quelli di Valerio e Carlo.

A proposito di case, anche quella di Miryam nelle sequenza conclusiva è ripresa senza una forte caratterizzazione e con una luce che la fa sembrare un luogo più immaginato che vissuto. 

Molti mi hanno chiesto come mai fosse così grande. In realtà per me era importante quello che vi accadeva dentro e dunque il rincorrersi dei personaggi, la riproposta di quel gioco iniziale in cui a ognuno veniva data la possibilità di nascondersi senza essere trovato.

La fotografia

Volevo chiederti della fotografia di Daniele Ciprì. Nella prima parte è molto contrastata, dominata com’è da tonalità scure e da marroni che sottolineano la drammaticità del momento. Nella seconda, invece, la luce appare più chiara e luminosa, ma sempre desaturata: più metafisica che naturale. 

Succede perché questa storia non si risolve mai appieno, dunque mi serviva creare una sensazione di sospensione. All’inizio abbiamo lavorato con dei toni un po’ più freddi, che richiamassero il genere, poi, diciamo, che si scaldano in maniera progressiva fino ad arrivare a una risoluzione finale corrispondente alla ritrovata identità dei personaggi, in quella casa dove all’improvviso i colori diventano quasi caramella. In quel momento le tonalità  diventano più calde perché Valerio e Miryam hanno trovato una soluzione al loro rapporto. A quel punto arriviamo a una rappresentazione visiva più consona al crescendo emotivo. Prima c’è una bolla emotiva perché Valerio non aveva deciso se credere o meno al loro incontro mentre lei era ancora presa dai suoi incubi. Per me, infatti, uno dei momenti più belli del film è quando lui torna a sedersi sul divano dopo che lei se n’è andata: improvvisamente sembra che i fantasmi siano ritornati senza che questa volta sia il protagonista a crearne gli effetti. A quel punto ci si chiede se quelle presenze esistano veramente o se forse siamo noi a evocarle.

Le emozioni de I nostri fantasmi di Alessandro Capitani

Il film sceglie di presentare la crisi dei personaggi in una bolla emotiva collocata al di fuori di una precisa collocazione spazio temporale. La difficoltà dei rapporti umani non è mai messa in relazione a questioni economiche e lavorative. Ciò consente al film di valorizzare l’indefinitezza del reale. 

Questo fa parte di un discorso più ampio nel senso che, oltre i fantasmi dell’anima, noi raccontiamo quelli della società: il problema della casa, quello della ricerca del lavoro, così come delle famiglie mono genitoriali, e della violenza sulle donne. Si toccano tanti temi che però non ho mai voluto far diventare tali perché il focus sta da un’altra parte. Sono convinto che molte storie che ci circondano le abbiamo già fatte nostre perché le sentiamo tutti i giorni quindi non sentivo la necessità di raccontare la vicenda di un padre che non trova lavoro. Piuttosto mi interessava raccontare come questo genitore cerchi di disegnare al figlio una realtà diversa e più felice. Questo, nonostante non abbia ancora trovato un lavoro. Tutti quelli che sono temi secondari, ma importanti entrano dentro il film senza disturbare la narrazione.

Un riferimento a La vita è bella?

Nel rapporto tra padre e figlio e in particolare il gioco che il padre mette in piedi per giustificare l’assenza della madre mi ha ricordato La vita è bella. C’era questa intenzione?

Nel film mi sono divertito a fare delle citazioni. Sono cresciuto tra il Dams di Bologna e il cinema sperimentale di Roma per cui ho richiamato molti dei film che hanno segnato quel periodo. Il gioco de La vita è bella è uno di quelli: anche lì c’è quel meccanismo escogitato per prospettare al figlio una realtà diversa da quella che è. Però, mentre nel film di Benigni il gioco rimane tale fino alla fine, perché il bambino ci sta dentro fino in fondo, qua Carlo si accorge che tutto quello che gli ha fatto vedere il padre non è vero. Questo significa mettere il personaggio di fronte a una crescita: tant’è che Carlo – interpretato da un ragazzino bravissimo che si chiama Orlando Forte – diventa adulto, capendo che il padre è emotivamente fragile e non riesce più a portare avanti quella recita. A quel punto non ha bisogno che il genitore gli dica che la mamma è morta ma è lui a farlo in quella scena per me bellissima, quando nel giorno del suo compleanno, è lui ad abbracciare il padre e non il contrario. Quella scena non l’abbiamo scritta così e solo al montaggio ci siamo resi conto funzionava ancora meglio che sulla carta. Dunque, rispetto al film di Benigni, qui i ruoli si invertono perché è il figlio a consolare il padre dalla perdita. The Others è un altro film che ci siamo visti all’infinito per prepararci a girare come pure Storia di un fantasma.

i nostri fantasmi alessandro capitani

I protagonisti de I nostri fantasmi di Alessandro Capitani

Volevo chiederti qualcosa su Michele Riondino e Hadas Yaron, capire che tipi di attori sono e come avete lavorato per i ruoli di Valerio e Miryam.

Michele è stato per me una fonte di ispirazione perché io non sono padre mentre Michele ha due figli, quindi lui è entrato dentro questa storia con corpo e mente, trovandosi a recitare una quotidianità per lui usuale. È un attore straordinario a cui ho rubato tantissimo. Con Hadas abbiamo fatto un colloquio online. Avendo girato durante il primo lockdown non l’ho potuta incontrare fino a quando non ci siamo visti sul set però già dalle prove fatte su Skype si vedeva tutta la dolcezza di cui doveva e poteva raccontare. Inoltre noi cercavamo un personaggio che avesse le sue sembianze.

È un volto diverso e unico rispetto a quelli oggi presenti nel nostro cinema.  

Sì, ha questi grandi occhi azzurri che ti fanno venire voglia di abbracciarla; è super espressiva, lavora con piccolissime cose e quando ti guarda lascia trapelare il mondo che ha dentro. In più ci serviva che Miryam non fosse un personaggio italiano perché dovevamo raccontare lo smarrimento di un personaggio che non sa dove andare; perseguitata da un compagno che le ha sottratto il passaporto rendendola a tutti gli effetti estranea al mondo in cui vive.

Alessandro Capitani oltre I nostri fantasmi

Inevitabile chiederti del cinema e dei registi che ti hanno ispirato.

Il mio maestro, mi piace chiamarlo così, è Daniele Luchetti, colui che ci ha seguito nell’ultimo anno del centro sperimentale. Io mi sono diplomato con lui ed è stato Daniele a portarci per la prima volta sul set. Sono stato suo assistente sul set de La nostra vita, un film bellissimo e fortunatissimo. Mi sono legato a lui, al suo modo di girare, al suo modo di guardare alla realtà, di lavorare con gli attori: lui è bravissimo a dirigerli e ogni volta che lo guardo imparo sempre qualcosa in più. A parte lui un regista per me clamoroso è Alexander Payne che metto primo in classifica anche per il suo modo di raccontare i drammi attraverso la commedia.

I nostri fantasmi

  • Anno: 2021
  • Durata: 90
  • Distribuzione: Fenix Entertainment, Europictures
  • Genere: drammatico
  • Nazionalita: Italia
  • Regia: Alessandro Capitani
  • Data di uscita: 30-September-2021

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