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‘Tre canzoni per Benazir’, il canto d’amore viaggia dall’Afghanistan agli Oscar

Disponibile su Netflix, il corto documentario di Elizabeth e Gulistan Mirzaei, candidato agli Academy Awards 2022, rovescia l'immagine cinematografica dell'Afghanistan raccontando il miglior modo per resistere: amare e sognare

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Serve qualche secondo per capire che Shaista non sta parlando: canta. Come promette il titolo, Tre canzoni per Benazir (Three Songs for Benazir, su Netflix) inizia con una canzone. Il giovanotto afghano la intona per Benazir, l’amata, da cui aspetta un bambino. Ancora meno tempo serve allo spettatore per affezionarsi alla coppia: lui, entusiasta e giocherellone; lei, un po’ ritrosa ma pronta ad aprirsi al brio. Nel minutaggio conciso del corto documentario, candidato agli Oscar 2022, Elizabeth e Gulistan Mirzaei riscrivono lo spartito della percezione dell’Afghanistan. La guerra e la povertà ci sono, ma suonano anche le serenate – non solo le granate. E nel campo profughi, c’è spazio per sognare. Un canto libero di amore e umanità che invade lo spirito.

La trama

La storia di Shaista, un giovane che – fresco di matrimonio con Benazir, in un campo per sfollati a Kabul – lotta per coniugare il sogno di essere il primo della propria tribù ad arruolarsi nell’esercito nazionale afgano, con la responsabilità di mettere su famiglia. Anche se l’amore di Shaista per Benazir è palpabile, le scelte che deve fare per costruire una vita con lei hanno profonde conseguenze. (Fonte: sito ufficiale)

Il trailer

Soldato d’amore

6 anni per 22 minuti. Condensando, con ellissi e senza sovraesposizioni, la dimensione (inter)nazionale e la visione soggettiva del protagonista in un racconto agile e immediato, Tre canzoni per Benazir mette a frutto con efficacia il lavoro di osservazione. Dalla calibratura scaturisce un documentario piano, conciso. Elizabeth e Gulistan Mirzaei, attualmente di stanza negli Stati Uniti con due figli, hanno avuto il merito di intuire nel sorriso pulito di Shaista la più pregevole forma di resistenza: continuare a sognare. I lavori cominciano nel 2013, ma s’interrompono per la guerra. Riprendono, a distanza di quattro anni, nel 2019. Sulla linea del tempo, è proprio Shaista l’incarnazione di un filo narrativo che si tende senza spezzarsi. L’inizio con la canzone dedicata a Benazir, in un gioco di sguardi e carezze, è ouverture piena di vita: il film è d’amore anche sotto la minaccia degli eserciti.

Tre canzoni per Benazir, Shaista e Benazir

Tre canzoni per Benazir, Shaista e Benazir nella scena iniziale

Fortissimamente volle

L’aspirazione del pacifico ragazzo, allora, può apparire paradossale: entrare nell’esercito. Altra forma (dichiarata) di passione, in realtà: per la madrepatria. Di là della professione scelta, quello di Shaista è uno slancio vitale, che lo porterà da un lato a cercare di superare i limiti della propria istruzione – terza elementare e tanta voglia d’imparare, nonostante l’opposizione del padre; dall’altro, a sfidare i suoi prossimi, famiglia e tribù, per realizzare con ostinazione il proprio desiderio.

Tre canzoni per Benazir, una scena conviviale

Tre canzoni per Benazir, un momento di convivio nel campo sfollati (Shaista a sinistra)

La stessa volontà diventa anche il motore drammatico di Tre canzoni per Benazir. Le ambizioni del giovane, come gli rinfacciano i parenti, devono tener conto del suo ruolo di marito e padre. Viaggiando a Helmand per coltivare l’oppio (così lo implora un amico) farebbe soldi anche più velocemente. Ma conta, altrettanto, coltivare il proprio ideale. Anche quando la casa – che casa non sembra – nel campo profughi sembra, piuttosto, una trincea: un fosso scavato nel terreno umido, dove la macchina da presa riprende con assoluta naturalezza Benazir a cuocere i frutti di gombo. Sembra di starci, nei vapori di quella cucina all’aperto.

La vita rifiorisce (e le spie ci guardano)

Tre canzoni per Benazir, di fatto, non suona come un film di vagheggiamenti e astrazioni. La macchina da presa sparisce. Il campo degli sfollati, arduo da commutare in un set cinematografico, appare nella fisicità di viottoli, mura, secchi, vanghe. Il suono stesso è robusto: i focolari crepitano nelle corde orientaleggianti della colonna sonora. Tra le tende si aggira un cane: l’occasionalità dei documentari a cui si crede volentieri. La presenza ingombrante, invece, è quella del dirigibile bianco nel cielo, che non rischia di confondersi con le nuvole nel cielo terso di Kabul: le forze militari monitorano il Paese.

Quello lì è un dirigibile di sorveglianza. Gli americani e gli stranieri lo mandano in giro tutto il giorno. Per osservarci.

La guerra c’è, dunque. Compresi i suoi totem. Ma ciò non scoraggia Shaista dal costruire. Un futuro, un amore, un pensiero stupendo nella sua semplicità. Una casa – a proposito di concretezza degli spazi. Un membro della tribù gli dice: “non ci sono mattoni, siamo in Afghanistan”. Il messaggio dei registi, semmai, è l’opposto.

Tre canzoni per Benazir, nel campo fiorito

Tre canzoni per Benazir. Raccogliere oppio è un affare, ma i fiori hanno anche un valore simbolico nel corto

Con una simbologia forse anche troppo aperta di steli e prati fioriti – alcune corolle sono bianche come lo zeppelin nel cielo – Elizabeth e Gulistan Mirzaei sembrano infatti voler raccontare proprio questo: qui non si sopravvive, e basta; si vive, anche. E bastano 22 minuti di melodia cinematografica per capirlo.

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Tra canzoni per Benazir

  • Anno: 2021
  • Durata: 23'
  • Distribuzione: Netflix
  • Genere: Documentario
  • Nazionalita: Afghanistan
  • Regia: Elizabeth e Gulistan Mirzaei
  • Data di uscita: 24-January-2022