La pellicola di Mundruczó era già stata presentata al Festival di Cannes – nella sezione Premiere – ricevendo molti elogi. Ha come produttore esecutivo Martin Scorsese, che aveva prodotto anche il precedente Pieces of Women (disponibile su Netflix). Quel giorno tu sarai uscirà nelle sale italiane il 27 gennaio, Giorno della memoria, tramite la Teodora Film.
Quel giorno tu sarai, la trama
Tre storie, tre generazioni: Éva (Lili Monori), la capostipite; sua figlia Léna (Annamária Láng); Jónás (Goya Rego), il figlio di quest’ultima. Tre luoghi che descrivono le fasi storiche differenti vissute dai personaggi: Auschwitz, Budapest e Berlino. La storia di questa famiglia serve per descrivere i destini traumatici dei singoli che confluiscono gli uni negli altri come tranquilli flussi d’acqua.
Quel giorno tu sarai: le colpe dei genitori ricadono sui figli
È un peccato che la distribuzione italiana abbia scelto per titolo il “blando” Quel giorno tu sarai, rispetto alla più scientifica titolazione originale. Il sintetico Evolution esprime perfettamente il discorso che il regista, assieme alla sceneggiatrice – e compagna – Kata Wéber, vogliono costruire intorno alla definizione di identità. L’identità storica e la personalità sentimentale si forgiano attraverso le esperienze, che appunto formano la crescita di una persona.
I tre personaggi messi in scena sono l’evoluzione di una famiglia, e ogni individuo ha avuto una propria evoluzione, derivata dalla vita familiare oppure dalla società in cui ha vissuto.
E tutti e tre i protagonisti di Quel giorno tu sarai subiscono l’esempio primario, ovvero gli atteggiamenti della madre di Éva (che a sua volta fu condizionata dalle violenze del nazismo).
Tre città, tre momenti storici, tre involuzioni
Per raccontare questo, Mundruczó divide il film in tre parti, dando al titolo di ogni “episodio” il nome di un personaggio. Il primo tassello, ambientato ad Auschwitz, è quello più breve: l’introduzione storica per capire i traumi opprimenti di questa famiglia e il futuro dell’Europa.
Auschwitz è il grado zero dell’umanità; eppure, sulle sue ceneri si è potuto costruire, lentamente, un nuovo mondo (la piccola Éva, ripescata dalle fogne del campo di concentramento, simboleggia una nuova speranza).
L’episodio denominato Léna, ambientato nella Berlino odierna, è uno scontro tra memorie: quella storica di Éva, che non può dimenticare gli orrori, e quella di Léna, propensa a lasciarsi tutto alle spalle.
Rispetto al primo episodio, questo è molto dialogato. Principalmente Léna rimprovera la madre di averle fatto vivere un’infanzia e un’adolescenza sotto il segno del terrore.
Nel discorso di Éva (improntato alla memoria) c’è anche la Budapest del 1956, anno in cui il comunismo russo (quello che aveva liberato gli ebrei superstiti dai campi di concentramento) mostrava il suo volto dittatoriale.
Infine, il terzo episodio è dedicato al futuro. Jonas, il figlio adolescente di Léna, cresce anche lui in un ambiente saturo di nevrosi e di pregiudizi. Non vuole essere riconosciuto come ebreo, perché a Berlino (da intendere come Germania intera e come Europa totale) sta crescendo nuovamente una destra xenofoba.
È lui ad avere tra le sue mani il futuro, e nella scena finale, la più dolce e pregnante di tutto il film, c’è la luce di una sana speranza: mentre la società continua con le sue idiote rappresentazioni (radicando pregiudizi e false radici), lui si lascia andare alla vita.
La New Wave ungherese
Quel giorno tu sarai conferma quanto Kornél Mundruczó sia un autore completo, con una propria cifra stilistica. Anche in quest’ultimo lungometraggio c’è la fisicità della macchina da presa, con lunghissimi piani sequenza, con articolati virtuosismi, che rappresentano il caos e la stratificazione delle/nelle vite quotidiane.
Ma Evolution è anche ulteriore testimonianza di come il cinema ungherese stia vivendo un proficuo decennio di successi, con pellicole che sanno ben rappresentare la realtà (nazionale ma di riflesso europea) oppure sappiano mettere in risalto gli errori storici.
Mundruczó fa parte integrante di questa generazione che ha saputo dare lustro internazionale a una cinematografia per molti decenni marginale, quasi da terzo mondo.
Alcune tappe – premiate – di questa ondata
Il cavallo di Torino (A torinói ló, 2011), ultimo film di Bela Tarr, vinse l’Orso d’Argento al festival di Berlino
Il figlio di Saul (Saul fia, 2015) di László Nemes, si aggiudicò il Gran Premio al Festival di Cannes
Corpo e anima (2017) di Ildikó Enyedi, ottenne l’Orso d’oro a Berlino
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