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Andrea Castoldi e il suo ‘Il principe di Melchiorre Gioia’

Il regista racconta in anteprima alcuni aneddoti del suo nuovo film

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L’attore e regista Andrea Castoldi ha raccontato in anteprima qualche aneddoto e qualche retroscena sul suo prossimo film Il principe di Melchiorre Gioia.

La genesi de Il Principe di Melchiorre Gioia di Andrea Castoldi

Com’è nata l’idea di questo film?

La storia inizialmente è nata perché arrivavo da Non si può morire ballando che era un film pieno di morale, insegnamenti e di retorica, anche se viaggiava sui binari di una storia realmente accaduta. Qui invece volevo andare in tutt’altra direzione e creare un film che si limita a raccontare una storia. E infatti Il principe di Melchiorre Gioia è una storia reale.

Quindi conosci/conoscevi il personaggio principale?

Sì, alla fine degli anni ‘90 frequentavamo più o meno le stesse compagnie. Poi sono passati decenni, come spesso succede, finché un giorno mi è tornato in mente. Questo perché mi è venuto in mente di omaggiare chi nella vita non ce la fa e non ce l’ha fatta. Così l’ho contattato e corteggiato per giorni e alla fine l’ho incontrato e mi ha rilasciato un’intervista con sei ore di materiale. A quel punto io l’ho semplicemente romanzato aggiungendo a quelli reali, anche personaggi di fantasia.

andrea castoldi

Nel momento delle riprese avevo bisogno di ricordarmi di quella persona, avevo bisogno di un protagonista che ci andasse vicino. E l’ho trovato in Silvio Cavallo, attore che arriva dal cabaret e che ha una vena comica. Sul set, grazie a lui, riconoscevo il personaggio. E poi mi hanno aiutato anche gli altri interpreti: Matilde Veneri (Lucia), Valeria Bonalume (La Ballerina), Cristian Tuzzato (Il Colla), Marco Speziali (Paul Trendy), Danny Duyko (il brasiliano) e Marcella Magnoli (La Nonna).

Il principe di Melchiorre Gioia si potrebbe definire, quindi, un film quasi documentaristico.

Sì, si potrebbe definire in questi termini. Ci sono nomi di fantasia, ma la base e il costrutto si muovono su fatti realmente accaduti. È documentaristico, ma girato in chiave fiction. E questo fa prendere anche un tono al film.

Sulla base di quanto detto, anche l’uso marcato del dialetto è voluto?

Sì, ho deciso di utilizzare il dialetto nei dialoghi di alcuni personaggi (come quello della nonna) per sdrammatizzare le situazioni, alleggerirne il contenuto e rendere più surreale il contesto in scena.

La locandina del film

andrea castoldi

Il protagonista del film di Andrea Castoldi

Da chi e da dove nasce la figura del principe di Melchiorre Gioia? Un titolo che, di per sé, è un ossimoro perché ci si aspetterebbe un vero e proprio principe e invece lui è l’esatto opposto. 

A Milano esiste questa via molto lunga che porta verso il centro di Milano, che si chiama via Melchiorre Gioia e che collega la periferia con il centro di Milano. Adesso è una via ben sistemata che porta quasi alla Milano bene. Ma nel 1998 era la via della perdizione notturna a buon mercato, accessibile a tutti. C’erano locali di travestiti e prostitute. Lui ci andava con un pullman, da mezzanotte in poi, con una pelliccia vistosa e con dei capelli biondi tirati su con occhiali di plastica gialli. Quando entrava in questi locali, ormai abituato a conoscere e riconoscere tutti quanti, per come era vestito, veniva chiamato principe. Ma era lontano dall’esserlo e da lì ho avuto l’idea.

Come hai scelto i personaggi e le dinamiche? Sono nate da una tua scelta o sei stato influenzato dagli interpreti stessi?

Tutto è nato dalla storia che mi ha raccontato il protagonista stesso. È lui che mi ha raccontato di personaggi improbabili che arrivavano e poi per un po’ sparivano dalla sua vita. Non c’è una struttura narrativa classica, è semplicemente un continuo incontrare persone strambe. In generale posso dire che nove personaggi su dieci hanno vissuto insieme al principe quell’epoca.

Il principe di Melchiorre Gioia di Andrea Castoldi: tecnica e temi

Come descriveresti il contrasto netto tra il presente e il passato, raccontato dal principe? Come influiscono la musica e i colori?

Abbiamo provato a differenziare le due epoche, ma al contrario rispetto a quanto si fa di solito al cinema. Le scene del passato sono solitamente sempre ovattate. Ma io col direttore della fotografia, Filippo Arlotta, ho concordato il contrario in modo da rendere il film più freddo, più statico dal punto di vista della fotografia con la quasi assenza di colori forti nell’arco temporale che mostra l’oggi e, invece, con colori molto accesi nel 1998. Questo perché, dal punto di vista del protagonista, è come se lui dicesse si stava meglio quando si stava peggio: lui racconta un periodo assurdo e triste, ma con gli occhi di chi si è affezionato a quel periodo perché, paragonato al 2021, anno in cui fa volantinaggio, preferisce il passato.

Credi che si possa trovare una morale al film?

In qualche modo mi sono detto, in fase di stesura del film, che quella che andavo a raccontare era una storia inutile. Ma una storia inutile che, al tempo stesso, omaggiava una persona che non ce l’ha fatta prima e non ce la fa oggi. E soprattutto in un oggi in cui tutti sgomitano perché l’asticella è posta sempre un po’ più in alto. Forse, dovendo trovare una morale velata in questo, mi viene da dire che delle volte bisognerebbe prendersi meno sul serio e stare posizionati dove siamo riusciti a posizionarci. Per ogni persona che ce la fa ce ne sono mille che non ce la fanno.

La distribuzione del film

Come vedi il film nel momento della distribuzione? E della fruizione?

Noi siamo abituati a vedere sempre film che insegnano qualcosa. Invece questo è un film che ha intorno anche il fascino della sconfitta, del non riuscire a farcela. È chiaro che la sconfitta non è legata a come passasse la notte nei locali, ma anzi si parla di una sconfitta ampia. Ognuno di noi, a tratti, nel film per una volta potrà dire «anch’io mi ci sono trovato dentro».

Riguardo la distribuzione, da una parte, sono in una posizione che mi solletica, ma dall’altra ho paura. Fortunatamente nel corso degli anni ho uno zoccolo duro che nelle stesse sale segue i miei film, aspettandosi un proseguimento di quello prima. Il film resta un film indipendente e, quindi, nelle multisale, anche trovando uno spazio, non essendo pubblicizzato come altri titoli, difficilmente potrà essere visto dal ragazzino. Lo vedo, invece, già meglio nelle sale d’essai. Anche se, a oggi, abbiamo pensato di praticare con forza il territorio dei festival di tutto il mondo, aspettando e sperando che possa sbloccarsi la situazione. Anche perché la forza di questo film è che racconta il passato, quindi, come il vino, invecchiando diventa più buono.

Il passato e il futuro di Andrea Castoldi

Visto che nella tua carriera hai lavorato con diversi nomi del panorama cinematografico, cosa ti porti dietro di ognuno di loro? Ti hanno influenzato anche nella creazione de Il principe di Melchiorre Gioia?

Quando scrivi un film, all’inizio, visivamente ti vengono in mente dei film a supporto che possano richiamare quello che stai facendo: hai delle sensazioni visive in testa. Quando ciò accade io evito con forza di andare a rivedere o vedere qualcosa che può ricordare il modo in cui ho intenzione di girare il film. Guardando questo film, per esempio, può venire in mente subito Barfly con Mickey Rourke più per la tristezza. Oppure anche Il grande Lebowski, per i personaggi e per il modo di raccontare. O ancora Smetto quando voglio se facciamo riferimento alla fotografia. In ogni caso ho lasciato questi tre film da parte di proposito proprio per non andare ad attingere da loro.

Progetti futuri?

Per il momento ho un cortometraggio, in stand by da un po’, che devo girare e che è di respiro internazionale anche per la tematica, da affiancare a quello che ho girato nel 2020 con Denise Tantucci, dal titolo Chiudi gli occhi e guardami. E l’idea è accorpare 5/6 cortometraggi con tematica sociale abbastanza forte per farli diventare un film, in stile collage in modo da toccare punti sociali diversi. Adesso però sono concentrato solo e soltanto su Il principe.

Sono Veronica e qui puoi trovare altri miei articoli