È disponibile sulla piattaforma MubiRacconto d’inverno, secondo episodio del ciclo dei “Racconti delle quattro stagioni” di Éric Rohmer realizzato nel 1992 successivamente a Racconto di primavera (1990) e prima di Un ragazzo, tre ragazze (1996) e Racconto d’autunno (1998).
Racconto d’inverno: una breve estate, una grande passione
Racconto d’inverno si apre con un prologo ambientato durante un’estate in Bretagna. Sotto il sole, fra mare e spiagge isolate, due giovani, la parrucchiera Félicie (Charlotte Véry) e il cuoco Charles (Frédéric van den Driessche), si conoscono, si innamorano, giocano e fanno l’amore. Poi, alla fine della vacanza, si salutano su una banchina ferroviaria. Félicie torna a Parigi e Charles deve partire per gli Stati Uniti, dove lo aspetta un lavoro in un ristorante.
In un attimo la loro vita cambierà. La ragazza scrive frettolosamente su un biglietto il suo nuovo indirizzo, con la promessa che Charles, non appena giunto a destinazione, le scriverà. Malauguratamente, per un lapsus, anziché scrivere la vera località, cioè Levallois, Félicie indicherà un’altra cittadina dei sobborghi parigini e dal nome assonante, Courbevoie.
Un tragico errore che impedirà ai due di ritrovarsi, interrompendo, così, la loro breve ma intensa storia d’amore.
A Parigi, cinque anni dopo
Dopo questo prologo ritroviamo Félicie cinque anni dopo a Parigi, con una figlia, Élise (la piccola Ava Loraschi) avuta da Charles di cui è ancora follemente innamorata. Questo non le impedisce di intrattenere contemporaneamente altre due storie. Una con Loïc (Hervé Furic), giovane bibliotecario e intellettuale, e l’altra con il più maturo Maxence (Michel Voletti), che gestisce il negozio di parrucchiere dove Félicie lavora.
Il giorno in cui Maxence decide di lasciare la moglie e trasferirsi a Nevers per aprire un nuovo salone, chiederà a Félicie se vuole trasferirsi insieme a lui. La ragazza accetta, lasciando quindi Loïc e trasferendosi con la figlia da Maxence. Se ne pentirà, però, due giorni più tardi e, lasciato Maxence, farà ritorno a Parigi da Loïc.
Félicie e la ricerca di se stessa
Con Racconto d’inverno, Éric Rohmer (al secolo Jean Marie Maurice Schérer), già critico dei “Cahiers du Cinéma” e tra i fondatori della Nouvelle vague (il suo primo film, Il segno del leone, risale al 1959 e rappresenta un chiaro esempio di come i “Giovani turchi” concepivano la settima arte) confeziona un’opera che non si discosta dalle sue principali realizzazioni.
Un film in cui i dialoghi mantengono sempre una importanza primaria (come sempre accade nei film di Rohmer) e dove si arriva a citare i filosofi come Platone e Pascal, che Félicie, involontariamente, senza conoscerlo, cita, facendone suoi alcuni concetti.
In Racconto d’inverno, più che la trama, contano le relazioni fra i personaggi. I loro sentimenti e la volontà di continuare a vivere la vita rimanendo se stessi o ricercandosi, come fa la protagonista.
Così l’atea Félicie, in una fredda mattina dopo Natale, nella cattedrale di Nevers, sente il richiamo di un’entità superiore talmente forte da infonderle il coraggio di dare una svolta alla sua vita, con un taglio netto ai compromessi fino ad allora accettati per non sentirsi sola, cancellando definitivamente dal proprio orizzonte le storie amorose con gli uomini con i quali tenta di riempire un’assenza.
In seguito, assistendo alla rappresentazione teatrale del “Racconto d’inverno” shakespeariano, con il re Leonte che ritrova la sua amata Hermione che credeva morta, capisce che anche per lei può esserci la speranza di ritrovare, un giorno, il suo amato, del quale custodisce gelosamente le poche fotografie scattate nel corso della loro breve estate.
Mentre, come sempre accade nelle opere del maestro francese, la macchina da presa osserva in maniera discreta i suoi personaggi, Rohmer – e noi con lui – li ascolta parlare senza, per altro, giudicarli, accompagnando Félicie alla ricerca di una propria strada.
E che, alla fine, la ragazza ritrovi Charles oppure no, non è fondamentale. Ciò che è veramente importante, per Félicie, è l’essersi finalmente liberata delle zavorre che le impedivano di comprendere che, ciò che conta, è aver ritrovata se stessa.
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