‘Comets’ di Tamar Shavgulidze su MUBI, baci rubati dal pianeta del ricordo
Sospeso nello spazio di una casa rurale con le galline ruspanti e nel tempo del flashback di una giovinezza agrodolce, il film della regista georgiana è la rievocazione di una storia d'amore giovanile tra due donne che muta con una poetica e misteriosa svolta cosmica
Cometsdella regista Tamar Shavgulidze, passato al Festival di Toronto nel 2019, trova ora posto nella galassia del piccolo schermo grazie a MUBI. L’occasione è quella di una mini-rassegna sulle nuove voci del cinema georgiano, destinata a completarsi sulla piattaforma con le uscite di Taming the Garden e del più recente e blasonato What Do We See When We Look At the Sky?.
71 minuti di cinema distillato, flemmatico, tutto dialoghi e attese, nel secondo film della Shavgulidze (dopo il poco noto Born in Georgia del 2011). Sospeso nello spazio di una casa rurale con le galline ruspanti e nel tempo del flashback di una giovinezza agrodolce, il racconto si muove in scia al passo a due tra Irina e Nana, un tempo più che amiche, poi separatesi per la sconvenienza del loro sentimento agli occhi della comunità. Nana – adesso madre, vedova, nonna – riceve la visita inattesa dell’antica amante. Rievoca, omette, ripensa. Lo spettatore accompagna la tenerezza di un ricordo che sa d’innocenza e amore perduto. Un’ode al primo amore e al tempo stesso il suo de profundis da occhi maturi e consapevoli, malinconicamente distanti da quello spazio d’intimità che ci si era osati figurare nella mente e nel cuore con ardore giovanile.
La trama
Sono passati trent’anni da quando, per forza di cose, Irina (Nino Ksradze) e Nana (Ketevan Gegshidze) si sono dovute separare. Il loro sentimento di passione, di là dell’amicizia, sembrava malvisto dalla piccola comunità del villaggio georgiano. Irina fa ritorno nella casa estiva della loro giovinezza, un tempo rifugio di complicità, dove Nana si è rifatta una vita. Sposata con due figli, Nana vive con la femmina, che ha scelto di chiamare proprio Irina (Ekaterine Kalatozishvili). Improvvisamente, le due si ritrovano nel cortile dove hanno trascorso la loro adolescenza e devono far fronte a tutto quanto non si sono dette. Ma forse continueranno a non dire.
Caos calmo
Umori, ritmi e un po’ dell’anima di Cometssi arguiscono già dalle prime sequenze. La macchina da presa si cala completamente nella dimensione di un quotidiano sereno, se non spento, soffermandosi sulla routine impigrita della figlia di Nana, Irina. La stasi svogliata sulla porta del patio, la sigaretta rigirata tra due dita, il sovrappiù di sforzo per scostarsi una ciocca dei capelli. Il lungo dialogo successivo con la madre è completamente a camera fissa, con le due sedute simmetricamente al tavolo. In questa partenza lenta, col gusto del quadretto e il vago sottofondo di cicale nei toni pastello del legno e delle fronde, c’è tanto dello spirito del film: di quello presente, come di quello passato.
Comets, Nana (a sinistra) e Irina (a destra) nello stesso giardino in cui si svolge il racconto nel presente.
C’è la temperatura bassa della serena accettazione, del turbamento che affiora ma non si fa dramma. Restando, anzi, nel limbo dei ricordi sfocati o delle esitazioni dilatate tra un dialogo e l’altro. È un cinema d’immersione, a volte così cadenzato da risultare fastidioso, che quasi mette in bocca allo spettatore la stessa battuta di Irina (la figlia), elettrica per un litigio col compagno, quando dice alla madre:
Non capisco come facciano tutti ad essere così calmi.
Cosmo inquieto
Non che manchino, sin dall’inizio, impercettibili sobbalzi, nella storia di Comets. Ad esempio, le memorie del passato sono montate rispetto al presente diegetico con giochi di visuali e controcampi che rendono finissima la discontinuità, facendo corpo in un’unica fluida sequenza. Una trascorrenza che affiora anche nelle parole di Nana:
Ho capito che non bisogna dimenticare. Sono come sono perché mi ricordo.
C’è poi, in tema di scossoni attutiti, l’evento chiave di un film senza eventi: il ritorno, prevedibilmente breve, di Irina (l’amante). Non è una resa dei conti. Lavorando ancora in assenza di gravità, tra analessi, camera fissa – ma ora anche a spalla – e routine casalinghe – lo strofinaccio sul tavolo, l’onnipresente lista della spesa, una partita a carte – il racconto resta rarefatto. Le mezze confessioni sono appena più esternate, un soffio nelle foglie del giardino.
Comets, flashback notturno di una partita a carte. Irina aspetta il ritorno di Nana
I flashback diventano notturni, compresa la bellissima e ipnotica sequenza delle due adolescenti che guardano uno sci-fi – di atmosfere tarkvoskiane e suoni magnatici – mentre i loro corpi dialogano tra silenzio e lacrime.
Big bang theory
Ed è questo film nel film, che le due guardano insieme, a prendere il sopravvento. Se i sentimenti non esplodono, l’identità del film lo fa: ed è un vero e proprio big bang del formato narrativo. Sembra che la sospensione sia trapassata dal piano dell’intimità a quello di una misteriosa forza cosmica. Nell’ultima parte, il racconto piano si è fatto film a tesi sull’insondabile energia del sentimento.
Un personaggio cammina in solitudine. L’ultima parte di Comets è un film nel film visto da Irina e Nana giovani
Dal microscopio, al telescopio: mutando, cioè, in una impenetrabile love story aliena vista da un altro universo, che slontana anni luce dal cinema di dettaglio e di cortile della prima parte. È proprio così: allo spettatore che abbia la pazienza di superare il vegetare, più che il fermentare, di larga parte del film, Cometsrivela un luminoso e sperimentale cambio di rotta. Non è più l’album dei ricordi, né la fiera del taciuto: l’amore è un racconto venuto dallo spazio. Come le comete.
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