Un gruppo di anziani cacciatori si ritrova a parlare, tra una canzone popolare e l’altra, della storia di Luciano, un uomo che abitava in un paesino della Tuscia a fine Ottocento. Re Granchio, primo lungometraggio di finzione di Alessio Rigo de Righi e Matteo Zoppis, prende quindi forma dalla narrazione e dal racconto orale che quegli improvvisati aedi cominciano. Il film è stato presentato alla Quinzaine des réalisateurs di Cannes è stato fuori concorso alla 39° edizione del Torino Film Festival, prima di approdare al Festival del cinema di Porretta Terme.
Luciano è un ubriacone, figlio di un medico, che vive nella Tuscia di fine Ottocento. Spesso irrequieto e annebbiato dai fumi dell’alcol, sfida la decisione del principe di tenere chiusa una porta di ingresso del villaggio, creando scandalo tra gli abitanti per il suo animo sovversivo. Ma Luciano è anche innamorato di una giovane ragazza, promessa però al principe. È proprio per questo amore che l’uomo arriva a compiere un delitto e viene costretto a un esilio dall’altra parte del mondo, nella Terra del Fuoco.
Smarrimento esistenziale
La figura dell’ubriacone del villaggio, dell’uomo burbero e pericoloso, è il destino e la connessione simbolica di chi non accetta di sottostare a un potere prevaricatore. Luciano non tollera le angherie del principe e mosso da un animo incendiario si scaglia contro l’autorità e contro la connivenza del popolo. È questa cognizione a portarlo a bere, a sentirsi vuoto e a essere visto come un fantasma, un reietto ormai totalmente avulso da quel mondo e da quella vita. A smuoverlo dalle sue torbe angosce è rimasto solo il fuoco insurrezionale e passionale, ma, beffardamente, è quello stesso amore a condurlo verso un delitto che per lui ha conseguenze estreme, costretto a un sofferto esilio.
A quel punto il film si interrompe e le immagini tornano agli anziani cantori del presente. Le notizie certe su Luciano terminano lì e si può solo penetrare nei meandri della leggenda. Così avviene e il racconto riprende, nuovo e al tempo stesso continuativo, in un altro mondo. Dalla Tuscia si passa alla Terra del Fuoco, da spazi spesso limitati da porte, pareti e alberi si passa a uno che di porte non ne ha. Illimitato. Verrebbe da dire anche incontaminato, ma se il villaggio della Tuscia era macchiato dal comportamento dell’uomo, quelle terre lo sono in modo quasi mistico, avvelenate da acqua tossica e da una ricerca dell’oro che diventa febbrile. In questo spazio coscienziale, Luciano vaga come afflitto da una maledizione, inseguendo un tesoro aureo che più che materiale ha il valore di rappresentare la redenzione. Un cammino impervio ed interiore.
De Righi e Zoppis con Re Granchio (e con un sorprendente Gabriele Silli nei panni del protagonista) evadono dai sentieri della Storia per intrecciarli con quelli della leggenda e dell’epica. Si compone un racconto fuori dal tempo sul destino e sul cammino dell’uomo, che da un presente in cui non si riconosce è condotto verso progressivi abissi esistenziali. Un viaggio antropologico che passa attraverso il confronto tra uomo e natura, rievocando certo cinema pasoliniano e Stromboli di Rossellini (l’invocazione a Dio nello sconforto sul pendio) e finendo con sprazzi da cinema western, nella sua pregnanza mitopoietica.
Il trailer
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