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CineCina

Ecco il piano cinematografico quinquennale della più grande industria cinematografica al mondo

La Cina intende ingrandire il proprio mercato ed espandersi ancora di più oltreconfine con la propria industria cinematografica, nel rispetto delle leggi dettate dal Partito, chiaramente

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Sarà stato l’effetto Squid Game coreano a rendere ancora più agguerrita la Cina?

Il quinquennio 2021-2025 corrisponde ad un nuovo programma di sostegno dell’industria cinematografica cinese. Il governo intende aumentare il sostegno alla cinematografia locale, e prevede una ulteriore espansione verso l’estero in una strategica impennata di soft power. All’interno, si posiziona chiaramente anche la costola di Hong Kong, redarguita e riportata sotto il controllo del Governo centrale.

I punti principali del piano cinematografico quinquennale

 La Cina prevede di affermarsi come “potente industria cinematografica” capace di diffondere “capolavori che dimostrino lo spirito, i valori, il potere e l’estetica della Cina”.

In termini pratici, ha ben chiaro che questo si deve tradurre nella produzione effettiva annua di almeno 50 film dai 15 milioni di dollari di incasso e almeno 10 opere “acclamate dalla critica e dal pubblico”.

Nel quinquennio in corso, il 55% delle opere distribuite in sala saranno prodotti locali. I quali, gioveranno di un incremento vertiginoso del già vertiginoso numero di sale: 100.000 schermi entro la fine del 2025, di qualità non inferiore al 2K.

Considerata la situazione delle grandi città, dove moltissimi teatri sono vuoti per una offerta chiaramente superiore alla effettiva disponibilità di pubblico, si intuisce che questa copertura distributiva verrà indirizzata alle zone meno urbanizzate e sviluppate.

Il Partito non fa mistero neppure del fatto che produrrà, distribuirà e sosterrà prodotti di propaganda: tra queste, tutte le opere che diffonderanno “una immagine affidabile, amabile e rispettabile della Cina”, e che metteranno in scena “lo spirito nazionale cinese e l’estetica orientale”. Menzione speciale ai prodotti appunto propagandistici, di evidente ispirazione comunista, la fantascienza che includa eroi adeguati, e l’animazione.

La scalata verso la leadership tecnologica e l’estero

Il piano quinquennale ribadisce come la Cina stia combattendo agguerrita il monopolio tecnologico straniero, specialmente nel settore VFX e nella proiezione digitale di ultima generazione.

Inoltre, per supportare l’esportazione dei prodotti locali, che al momento non hanno ottenuto il sostegno sperato fuori dai confini, la Cina entrerà con progetti specifici e più estesi nei maggiori festival europei: Cannes e Venezia.

E come la mettiamo con Hong Kong?

Con la nuova Legge sulla Sicurezza Nazionale, anche il cinema è a tutti gli effetti caduto sotto il controllo del Partito. Ogni nuovo film prodotto dovrà passare al vaglio della censura che giudicherà se i contenuti del film si schierano contro la Legge di Sicurezza Nazionale, contro la quale i cittadini di Hong Kong protestano da lungo tempo.

Coloro i quali distribuiranno film bannati, potranno subire multe consistenti (1 milione di dollari hongkongesi) e addirittura rischiare fino a tre anni di carcere. In questo modo, la gestione dei contenuti prodotti dall’industria cinematografica dell’isola si assimila a quella attualmente in atto nella Cina continentale.

La notizia che ha più allarmato i professionisti di Hong Kong è che la legge ha valore retroattivo, perciò anche quelle produzioni distribuite prima del 2021, potrebbero non poter più essere riproposte.

Le indicazioni fornite dalla legge sono, secondo i legislatori, una guida chiara per gli operatori del settore e rappresentano una tutela per la sicurezza nazionale. Tuttavia, il rinforzo dell’organo di censura arriva dopo una nota infilata di produzioni documentarie sulle proteste di questi ultimi anni, dalla Rivoluzione degli Ombrelli in poi: abbiamo raccontato di Do not Split di Anders Hammer, e più ancora il recente Revolution of Our Times di Kiwi Chow, presentato a Cannes.

Queste nuove fittissime maglie hanno indotto gli artisti a lavorare in anticipo di autocensura, pur di poter proseguire nella produzione. Esattamente come succede già da qualche anno in “patria”. Ed è evidente che gli effetti disabilitanti sulla Hollywood dell’Asia, sono realtà, già presente.

Leggi anche: Il cinema di Hong Kong e la nuova imprescindibile dipendenza dalla Cina.

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