Vengo a sapere che al Nuovo Cinema Aquila l’Istituto Polacco di Cultura ha organizzato dal 25 al 29 giugno2011 una retrospettiva su Skolim…
Basta questo mozzico verbale ad accendere all’improvviso la memoria, costretta a ricordare.
Ma sì, mi ricordo… Mi ricordo…
Jerzy Skolimowski…
Frammenti, sovrapposizioni confuse: suoni che rincorrono e precedono tacchi di scarpa concitati che battono il selciato in un perenne ed instancabile movimento infinito; impressioni rapide dell’occhio distrattamente posato su ciò che causalmente afferra nella traiettoria frapposta alla realtà che impatta. Corpi giovani, vecchi, poveri, ricchi, che si dilatano e si ritraggono, si sfiorano, si battono, e si allontanano. Parole strette, o infinite, staccate o unite o gridate al nulla o ad un paesaggio che sa di nulla. Musica scomposta, scomoda e attraente, o urtante come una litania postmoderna. Pensieri frammentati, nitidi e lucidi, confusi e ingenui, irragionevoli o deliranti, trasognati e liberi. Pellicola pastosa, granosa, in agonia, nel bianco e nero o in un giallo paglierino, dell’inconscio gioco dei miei miscugli visivi sempre più lontani…
Torno a Napoli, a Fuori Orario – Cose (mai) viste. Uno strattone. Forte. Qualcuno che mi tira e mi mostra. Chi sa a quanti sarà capitato così. Enrico Ghezzi mi ha strattonato e i ricordi si perdono. “Fermati!” “Voltati!” “Guarda!”. Non so più scrivere il primo. Chi sa chi sarà stato… Forse Robert Bresson e Il diavolo probabilmente (1977). Forse. Un modo differente. Un sentire differente. Un parlare differente. Un amare differente. Un vivere differente. Bianco e nero e camminare. Era il mio bianco e nero. Era il mio camminare.
Andrzej Leszczyc, ventiquattrenne studente di ittiologia, cammina tra le strade di Varsavia prima di concedersi al servizio di leva. È Jerzi Skolimosvki, nella sua prima pellicola, saggio finale della Scuola di Cinema di Lodz. Segni particolari, nessuno (Rysopis, 1964). Un ‘giro a vuoto’ esistenziale perfetto. Piani sequenza erranti, inquieti senza la coscienza di esserlo, paradossali nella tipologia di personaggi e situazioni incrociati. Andrej è testimone disilluso con un incanto tutto suo nella propria ostinata e perdente ricerca di libertà, inevitabilmente condannata all’alienazione, a fronte di una società incapace di pulsare spaccando convenzioni e rigidismi intellettual-morali, ancora compressa negli strascichi di una storia politica e militare ingrombrante e repressiva…
La corsa non si arresta. Walk Ower (Walkover, 1965) conduce Andrej/Jerzy alla soglia dei trent’anni e alla resa dei conti con l’ingresso nella propria maturità. Il camminare instancabile del nostro personaggio e la mdp che lo affianca di profilo e senza tregua, incrocia le possibilità che la vita mette davanti: lavoro, amore, e sosta. Sosta per costruire, progettare, pianificare, come gli ingegneri che impattano con lui. Jerzy sceglie di boxare e di vincere in maniera beffarda e umiliante, continuando ironicamente e cinicamente a girovagare-fuggire dalle proprie responsabilità e da se stesso.
L’alienazione non può che mescolarsi con i simboli e Barriera (Bariera, 1966)è la trasfigurazione di un’alienazione. L’alienazione è senza nome: lui, studente di medicina disilluso, con al seguito una valigia e una spada; lei, guidatrice di tram. Il deposito dei tram, una terra di nessuno (impareggiabile location) in cui campeggiano le scritte NIEZYE (morto) e NIECHZYE (lunga vita). É una capriola loopata, un salto-scommessa, una sfida all’ignoto. É un venerdì santo pregno di neve, di bianco. É una strada trafitta da candele. É un flusso umano e un tunnel scuro, nel quale ogni tanto qualcuno viene ‘risucchiato’ e scompare. É la vita.