Presentato alSundance Film Festival 2020e vincitore di due Premi Oscar, (Miglior attore Anthony Hopkins e miglior sceneggiatura non originale a Florian Zeller e Christopher Hampton) The Father distribuito in Italia da BIM, è un dramma diretto dallo stesso Zeller e tratto dalla sua omonima pièce teatrale del 2012.
Anthony Hopkins e Olivia Colman impersonano brillantemente una vera e propria “opera teatrale sullo schermo”, in un film con pochi eventi ma molto materiale emotivo e psicologico!
“The Father”: la trama
Anthony, (Anthony Hopkins) quasi 80 anni, vive da solo con aria di sfida. Rifiuta ogni assistente che sua figlia, Anne ( Olivia Colman) gli presenta amorevolmente. Anne sente di avere un disperato bisogno di aiuto. Non può più fare visite quotidiane al padre e la presa di coscienza di Anthony sulla realtà si sta sgretolando. Considerati gli alti e bassi della sua memoria, a quanto della sua identità e del suo passato può aggrapparsi? Anne è addolorata per la “perdita” di suo padre che pur continua a vivere e respirare davanti a lei, ma sente che ha il diritto di vivere la propria vita. In un puzzle che oscilla tra realtà e finzione si consuma un dramma che non ha bisogno di grandi accadimenti per trasmettere un profondo dolore.
Sconvolgente e straziante, il cammino di Anthony verso il Buio completo mette in discussione la verità e la natura del reale mostrando anche la fragilità della condizione umana.
“The Father”: il valore della memoria
The Fatherè un dramma sobrio in cui è in risalto il dolore in tutte le sue sfaccettature. Ma più che un dolore fisico è un dolore interiore quello che manifesta Anthony.
La domanda che il film di Zeller si pone è:
E’ ancora una persona, colui che perde la propria memoria ? O significa perdere la propria identità e dunque smettere di “essere”?
E non soffre in egual misura chi è costretto dall’esterno ad osservare come si trasformi e si annulli la persona amata? Anne, piange la perdita del padre anche se lui è ancora vivo perché la memoria di lui è morta. Ed è dunque la memoria custode di noi stessi? Ciò che ci definisce è il Nostro Tempo? Quello che siamo stati ci determina come persona?
Anche i luoghi a cui apparteniamo sono parte di quello che siamo e nel film hanno un posto centrale. La scenografia ricopre un ruolo da protagonista e la storia si muove in pochi spazi, sempre gli stessi, che ne rappresentano in realtà però solo uno: il misterioso appartamento, che sopravvive nei ricordi di Anthony e che è “un personaggio” fondamentale del Film.
The World is turning
Il mondo sta cambiando
osserva Anthony in una delle prime scene, mentre Anne gli comunica che sta per andare via a Parigi.
E cosa ne sarà di me?
Lo sguardo di Anthony cerca aiuto in quel disperato You’re leaving me, voltando poi lo sguardo dalla solita finestra, punto di riferimento dove poter ritrovare un se stesso completamente perduto.
L’ appartamento, contenitore delle sue sensazioni e dei suoi smarrimenti, è ciò a cui aggrapparsi anche se sembra abitato da persone che mutano volto continuamente.
Anne è Olivia Colman e non lo è più improvvisamente, il dipinto della misteriosa seconda figlia che non viene mai a far visita al padre, scompare dal muro.
C’è una freddezza palpabile fra quelle mura, in quella cucina dove si prepara sempre lo stesso pollo, dove la porta d’ingresso muta prospettiva e colore all’avanzare della malattia.
“The Father”: una goccia dopo l’altra vanno via i ricordi
Lo sgocciolio della fontana in casa si fa lento e poi si arresta di colpo. Il tempo ha smesso di lasciarsi trattenere e una cena può ripetersi più volte in modo ossessivo, in una ciclicità che fa paura e mette disagio.
La grandezza e particolarità del Film sta proprio in questo: nel saper far indossare la malattia di Anthony allo spettatore, che la vive come la sta vivendo lui non guardandola dall’esterno.
Il caos che si fa strada nella sua mente, il sovrapporsi dei volti , dei nomi, delle immagini viene reso completamente senza lasciar spesso volutamente comprendere bene se si tratti in realtà di un complotto ordito ai suoi danni, giocando quasi sulla drammaticità della malattia, o se sia proprio lei a prendersi gioco di questo grande uomo. E nella sua magistrale perfezione, Hopkins sbeffeggia la nuova badante giunta a colloquio con le sue imitazioni e le sue risatine isteriche di sgradito benvenuto.
La ragazza bionda, ennesima “proiezione mentale “ di Anthony, col suo non perfetto accento british, lo fa sorridere e viaggiare altrove, tornare con la mente al ricordo doloroso di una perdita mai accettata.
Distorsione della realtà
The Fathernon è il primo film a trattare di Alzheimer, ma si distingue proprio nel modo in cui la racconta, attraverso lo sguardo di chi ne è vittima, mostrando ciò che vede, sente, vive. Scava nel baratro del Nonsense, intento a disfare continuamente un puzzle fatto di pezzi ormai difficili da far combaciare, in una sorta di dipinto distorto di una realtà irrimediabilmente scomposta.
E’ una sorta di esperimento, un esperimento che parte dal teatro e diventa cinema in cui lo spettatore è partecipe di questa distorsione della realtà.
Non c’è l’analisi della malattia ma c’è il peso della perdita che questa comporta e c’è la rappresentazione della crudeltà e dello svilimento che coincide con la perdita dell’identità più che dell’autonomia.
Mi sento come se stessi perdendo tutte le foglie.
Conclude Anthony, nell’asettico epilogo consumato in una infantile ma necessaria regressione al passato. La casa materna, le persone amate, le voci perdute, il Tempo da riacciuffare. Le lacrime struggenti di Anthony che si proietta nell’idea di una consolatoria passeggiata al parco sono la conclusione di un viaggio doloroso che non lascerà forse neppure il ricordo di sé.
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