Fresco vincitore dell’Oscar (meritato) come miglior film straniero, Un altro giro di Thomas Vinterberg è un viaggio ad alto tasso alcolico tra vizi, virtù e inadeguatezze di individui tragicamente umani.
Un altro giro: la trama
Quattro insegnanti di liceo danesi, seguendo la bizzarra teoria dello psicologo norvegese Finn Skårderud, secondo la quale un tasso alcolemico di 0,5 g/l nel sangue garantirebbe una vita migliore, più coinvolgente, brillante e creativa, decidono, tra il serio e il faceto, di fare un esperimento sociale. Resteranno brilli tutto il giorno e tutti i giorni, analizzando gli effetti dell’alcol sul lavoro, la famiglia e le relazioni sociali.
Tra alcol e filosofi
Cos’è la giovinezza? Un sogno. Cos’è l’amore? Il contenuto del sogno.
Si apre con una citazione di Kierkegaard Un altro giro di Thomas Vinterberg. Una presenza costante che aleggia su tutto film, tra l’angoscia e la disperazione dei suoi personaggi, dividendosi la scena con un altro elemento ingombrante per la cultura danese: l’alcol. “Tutti bevono in questo Paese”, dice la moglie di Martin (Mads Mikkelsen), professore di liceo annoiato e disilluso, in cerca di una scossa, di un cambio di rotta che, forse, proprio l’alcol può offrirgli. Forse sono queste le vere ragioni dietro all’esperimento sociale di Martin e compagni. Dietro al loro cercare di dimostrare come una costante presenza di alcol nel sangue possa portare a un miglioramento effettivo della qualità della vita.

Il dono dell’empatia
Partendo da queste semplici quanto (almeno inizialmente) esilaranti premesse, Un altro giro si apre così alla spontaneità e all’imprevedibilità dionisiaca delle sue situazioni, restituendo, tra un drink e l’altro, il ritratto di uomini scissi. Individui incapaci di venire definitivamente a patti con le proprie responsabilità e scelte di vita o, forse, desiderosi di trovare un’altra via alla monotonia del quotidiano.
Dopo La comune Vinterberg ritorna con un film a tesi, questa volta contaminato però da una inedita carica anarchica ed empatica. Sono uomini in bilico tra commedia e tragedia, del resto, quelli di Un altro giro. Protagonisti di un film che fa dei cambi di tono improvvisi il suo punto di forza. Un andamento scostante assecondato dalla macchina a mano, dai suoi primi piani insistiti e da un’empatia lontana anni luce dal cinismo di film come Festen. C’è dell’affetto infatti per quei personaggi irrisolti, in piena crisi di mezza età e alla ricerca di un tempo perduto che forse non è mai esistito.
Un viaggio personale
Seguendo quella tendenza del cinema contemporaneo che vede nella scuola una versione in piccolo della società (La classe, L’ultima ora), il regista mette in scena uno scontro/incontro generazionale senza però farne il perno della vicenda. È il percorso individuale di (ri)scoperta di sé quello che interessa veramente a Vinterberg. Un percorso ora esilarante ora luttuoso, ma sempre vitale. Incarnato alla perfezione da Mikkelsen, bravissimo nel rendere la scissione del suo personaggio e il suo mutamento da individuo apatico a soggetto attivo.
Lontano da una ferma condanna del bere così come da una sua apologia, Un altro giro affronta di petto le contraddizioni dell’animo umano, consapevole che anche dalla tragedia e dagli eccessi può nascere un nuovo amore per la vita, una ritrovata, paradossale purezza. Come quella di un ballo liberatorio e senza regole o di un cinema che, abbracciando l’imprevedibilità dell’esistenza, ritrova il meglio di sé.