Per festeggiare i suoi vent’anni officine UBU inaugura la piattaforma cineUBU. Di questo e della passione per il cinema di qualità ne parliamo con il suo fondatore Franco Zuliani.
Officine UBU ha appena festeggiato il ventennale della nascita e tu la celebri rilanciando l’idea di cinema che la presiede. Siamo infatti qui anche per annunciare la nascita della piattaforma VOD cineUBU che darà la possibilità di rivedere tutti i vostri film, compresi quelli da voi prodotti. Parliamo di questa iniziativa.
Ho pensato che in un periodo così prolungato di chiusura dei cinema fosse il caso di tenere aperto un contatto con il nostro pubblico, offrendogli la possibilità di vedere i nostri film: non solo i più recenti, ma anche quelli che a suo tempo aveva perso. Il vantaggio di queste piattaforme è che appunto ormai i film al cinema hanno una vita molto breve, per via dell’enorme quantità di uscite che da anni non consentono di tenerli in sala, come invece accadeva anni fa. Quando ero giovane c’erano addirittura i cinema di terza visione, per cui, da quando usciva un film a quando era ancora programmato nelle sale, trascorrevano tre, quattro mesi. Adesso, se un film raggiunge quattro, cinque o sei settimane è già un evento pazzesco.
Mi interessava tornare un attimo indietro perché Officine UBU, prima di distribuirli, i film li produceva. Tra questi ultimi mi vengono in mente La spettatrice di Paolo Franchi e Fame chimica con cui scoprimmo Valeria Solarino e Marco Foschi. Volevo sapere qualcosa di quegli inizi e poi capire quali sono state le ragioni che ti hanno spinto verso la distribuzione.

Ho iniziato producendo due opere prime che per fortuna hanno avuto un certo riscontro. Fame chimica ha rivelato Valeria Solarino con una storia ispirata al film francese L’Odio di Mathieu Kassovitz. Fu presentato al festival di Venezia e poi ha girato in parecchi altri, sia in Italia che all’estero, aggiudicandosi un po’ di premi prima di essere distribuito dalla Lucky Red. La spettatrice invece è stato il primo film in cui Barbora Bobulova ha avuto un ruolo da protagonista; quindi si può dire che sia stato quello che l’ha lanciata.
Ricordo di averlo visto in sala e l’impressione era quella di assistere a un film francese.
Sì, perché Paolo Franchi è un amante di quella cinematografia. Se hai notato ha dato un ruolo a Brigitte Catillon che da noi non è conosciuta come nel suo paese.
Anche E la chiamano estate sempre dello stesso Franchi è un’altra produzione che strizza l’occhio alla Francia, avendo come protagonista il bessoniano Jean Marc Barr.
Esatto e c’era anche Jean-Pierre Lorit, altro attore del cinema d’autore francese.
Poi però la vocazione è diventata per lo più quella della distribuzione. Come mai?
Perché dopo aver prodotto questi due film mi sono reso conto che non era semplice trovare una buona distribuzione. La spettatrice è uscito con Istituto Luce, ma in generale non è stato facilissimo trovare dei buoni distributori e far in modo che ogni cosa si svolgesse nel modo migliore. Da qui, ho avuto modo di capire che era molto più strategico diventarlo io. Ho conosciuto produttori che hanno fatto molta fatica a realizzare un film, per poi vederlo uscire in piena estate quando nessuno va al cinema.
Non è facile per un produttore indipendente controllare tutti gli anelli della catena nel modo migliore. Inoltre, un vantaggio della distribuzione è che io in un anno posso essere su più titoli, mentre un piccolo produttore deve stare due, tre anni sullo stesso film, da quando trova la sceneggiatura, il regista, i finanziamenti e il distributore. A lui spetta pure il compito di promuoverlo, portandolo ai festival. Se uno fa le cose per bene ci vuole qualche anno per ogni titolo.

Questo equivale a dire che nella filiera cinematografica l’anello più importante è quello della distribuzione. È cosi?
Essendo un po’ l’anello finale, quello che porta il film in sala, è importante. Poi è logico che per il buon successo di un film ogni elemento di questa catena deve essere al massimo livello, perché è necessario disporre di un buon progetto, con una buona sceneggiatura e un bravo regista capace di girarlo al meglio, una buona casa di produzione che gli dia tutti gli elementi per poterlo fare e poi il distributore, in grado di organizzare una buona campagna di lancio, con una data scelta con oculatezza e in cui non ci siano troppi concorrenti. Una dose di fortuna è necessaria, perché a volte, se per esempio un lungometraggio deve uscire in primavera, e il primo week end arriva il grande caldo, le persone invece che andare al cinema preferiscono la gita al mare o in campagna. Può anche accadere che gli altri concorrenti decidano all’ultimo momento di far uscire un grosso titolo e anche questo incide in negativo sugli incassi. Sono elementi imponderabili e dunque ingestibili.
Fame chimica e La spettatrice: in che data sono usciti ?
Li ho prodotti in maniera ravvicinata tra la fine del 2002/2003 e poi sono usciti a una settimana uno dall’altro: Fame chimica il 30 aprile 2004, La spettatrice nel weekend successivo.
Cosa è cambiato da ieri a oggi?
Beh, è cambiato molto, perché per esempio per i film di qualità come i miei il box office è sceso abbondantemente sotto la metà.
Cioè oggi si incassa molto meno.
Sì, penso tra la metà e un terzo in meno rispetto ad allora.
Ti sei spiegato il perché?
Un po’ perché è venuto a mancare il pubblico di qualità, cioè non c’è stato un ricambio generazionale e quest’ultimo oggi ha un’età media molto elevata, perché probabilmente i giovani, quando vanno al cinema, preferiscono vedere i blockbuster americani.
Quindi mi stai dicendo che probabilmente è venuta a mancare anche una base, un sistema culturale, l’educazione a un certo tipo di visione?
Sì, purtroppo. Penso che il livello intellettuale dei giovani d’oggi, ahimè, sia abbastanza più basso di quello di venti/ trent’anni fa. Con i Reality Show il livello culturale dei giovani si è abbassato.
Nel nostro sistema paese l’attenzione verso la cultura è venuta meno. Anche nella pandemia il sostegno verso questo settore ha suscitato molte critiche.
Sì, anche quello, per cui nella ricerca di un cambio generazionale si è alzata l’età media ed è venuto a mancare il pubblico dei giovani. Quando abbiamo acquisito dei film che avevano come target un pubblico molto giovane, abbiamo notato che, nonostante la promozione pubblicitaria, quest’ultimo non rispondeva bene alla nostra tipologia di film.
In termini percentuali, quanto incidono gli investimenti pubblicitari nel budget messo a disposizione per la distribuzione del film?
Penso che per tutti i distributori il budget si sia un po’ abbassato negli ultimi anni, perché, se calano gli incassi, è logico che si deve investire di meno, altrimenti i costi dell’acquisizione del film e del suo lancio non sono più proporzionali al rendimento degli incassi. Purtroppo il pubblico in sala è sempre meno rispetto agli sforzi economici che siamo costretti a sostenere. A volte ci sono dei film che, nonostante un certo investimento pubblicitario, rispondono molto poco.
Leggendo i titoli dei film presenti nella piattaforma ce ne sono di molto importanti, alcuni dei quali diventati imprescindibili per i cinefili. Prenderli è stato il frutto dell’intuizione che vi ha permesso di bruciare sul tempo le intenzioni dei vostri concorrenti o la miopia di chi considerava quei film poco validi in termini di mercato?
L’acquisizione dei film negli ultimi anni è diventata sempre più difficoltosa, perché il livello qualitativo dell’offerta è andata calando e di conseguenza quando andiamo a un festival a cercare dei titoli da acquisire si scatena la guerra tra i distributori, per accaparrarsi i pochissimi ancora validi. Purtroppo, non capisco la ragione, ma c’è una sovrapproduzione mondiale di film che non hanno motivazione di esistere, perché troppo di nicchia per essere distribuiti. Le loro storie sono lente, le sceneggiature poco valide e dunque senza possibilità di trovare un pubblico.
Mi ricordo che a un festival di Cannes di qualche anno fa, incontrandoci con gli altri amici distributori, la prima domanda fu quella di sapere se qualcuno di noi aveva trovato opere di valore. Il mercato di Cannes era ed è il più importante, ma in quella occasione nessuno di noi si era imbattuto in qualcosa di buono. A Berlino e Venezia è ancora più difficile scovare film commercialmente validi, mentre a Rotterdam i lungometraggi sono per la maggior parte sperimentali e dunque non trovano sbocco nella distribuzione.

Oggi, in qualità di esercente, quali criteri usi per scegliere un film da distribuire?
Come sai, ho scelto di fare questo lavoro alla tenera età di 44 anni perché da sempre desideravo fare un mestiere creativo. Fino a quel momento non era stato così, perché mi ero impegnato in un’azienda di famiglia lontana da attività di tipo artistico. Quando finalmente ho potuto essere libero di crearne una tutta mia, essendo stato fotografo, video amatore e industrial designer, decisi di produrre dei documentari con la TV svizzera. Iniziai a fare questo lavoro per passione: scelsi il nome UBU Film riferendomi all’originalità dell’opera teatrale Ubu roi di Alfred Jarry, scritta a fine ottocento e rappresentativa di un’arte provocatoria e dirompente. Come quella, anche io volevo produrre film originali e un po’ fuori dal comune rispetto a un mercato molto omologato. Con lo stesso principio ho iniziato a distribuire lungometraggi, per cui, facendomi guidare dalla passione, sono anche andato incontro a qualche flop commerciale. Da qui l’etichetta di distributore coraggioso. Così è stato quando ho preso La pivellina di Tizza Covi e Rainer Frimmel che in Italia abbiamo intitolato Non è ancora domani, perché quello originale poteva dare adito a qualche misunderstanding sulla tipologia del film. Nonostante a Cannes avesse vinto un premio e attirato la curiosità dei cinefili, non riuscì a conquistare il grande pubblico.
Ti ho citato questo film per sottolineare che nei primi anni non ho mai guardato troppo l’aspetto commerciale, lasciandomi guidare più che altro dal cuore. Quel film Paolo Mereghetti l’aveva definito eccezionale; Nanni Moretti a Bimbi belli gli aveva dato tutti i premi delle varie categorie. Questo per dirti che era un titolo qualitativamente valido e anche interessante, soprattutto per un pubblico femminile, più sensibile agli aspetti umani relativi all’abbandono della bambina a cui il titolo si riferisce. Non avendo attori famosi, al botteghino non ha ottenuto ciò che meritava.
Un altro esempio di questo tipo è rappresentato da Il tocco del peccato di Jia Zhangke, definito il più grande regista cinese vivente. Il suo è veramente un capolavoro, ma il mercato non lo ha recepito così, perché era un film cinese e perché sono in pochi a conoscere il regista, nonostante questi avesse vinto un Leone d’oro qualche anno prima.
Con Still life.
Sì, con Still life. Purtroppo ogni tanto questo lavoro non premia gli sforzi che uno fa.
Al giorno d’oggi – mettendo anche a sistema una realpolitik che deve stare attenta a far quadrare i conti -, esiste una formula che tu usi per prendere un film?
Purtroppo no. Dopo una ventina d’anni ho imparato a commettere meno errori che in passato, però non è semplice capire se un film potrà avere successo o no. Tornando alla difficoltà di trovarne di buoni, spesso siamo costretti a comprarli prima che vengano girati, basandoci esclusivamente sulla lettura del copione.
Perché costretti?
Perché altrimenti quel film lo prende qualcun altro. Quando arrivano ai festival o ai mercati, molti di quelli interessanti – diretti da un regista di un certo livello e con attori conosciuti – sono già venduti. Bisogna quindi lavorare d’anticipo, acquisendoli prima. Questa cosa però ha un po’ di rischi: Una promessa di Patrice Leconte, tratto da un racconto di Stefan Zweig e presentato a Venezia, aveva interpreti del calibro di Rebecca Hall, Richard Madden e Alan Rickman; la sceneggiature era molto bella. Purtroppo la messinscena del finale non fu però all’altezza della pagina scritta. Il film sta in piedi lo stesso, non è brutto, però diciamo che ha deluso le nostre aspettative.
Quali sono le caratteristiche che ti spingono comunque a prendere un film?
Una delle prime è l’originalità, quella necessaria per poter emergere dalla gran quantità dell’offerta, poi la qualità della sceneggiatura e della regia. L’importante è riuscire a cogliere la presenza di elementi validi, per creare il marketing con cui lanciare il film e cioè vedere se ci sono delle belle immagini e scene interessanti da poter mettere nel trailer. Il target deve essere ben focalizzato, perché un altro problema è dato dal fatto che, se il film non ne ha una preciso, poi non risulta gradito ad alcun tipo di pubblico. All’inizio della nostra carriera nell’ambito della distribuzione, abbiamo avuto un cartone animato danese – Terkel in Trouble – molto divertente, ironico e intelligente per il modo con cui prendeva in giro gli ecologisti. I protagonisti erano dei ragazzini delle medie che noi facemmo doppiare dagli Elio e Le Storie Tese, pensando di conquistare sia i ragazzi giovani che i trenta, quarantenni. Quando è uscito non ha fatto presa più o meno su nessuno, perché era diventato un cartone animato senza un target precisissimo.
Secondo me, il fatto che UBU sia da vent’anni sul mercato, mentre altre società hanno chiuso, è perché hai scelto dei film sul momento destinati a non ricevere consensi dal mercato, ma poi riscoperti dal pubblico più cinefilo.
Questo è parzialmente vero. Noi siamo riusciti a tenere in sala per circa sette, otto mesi, sia Sacro GRA, che vinse il Leone d’oro, sia Il Sale della Terra. Con quest’ultimo siamo riusciti in una cosa che di solito non succede, ovvero a ottenere lo stesso risultato del box office francese, paese d’origine di quel film, trattandosi di una coproduzione franco brasiliana. Solitamente in Italia il box office, rispetto a quello francese, è inferiore di circa un decimo. Noi invece con Il Sale della Terra abbiamo fatto lo stesso identico risultato che ha fatto in Francia, cioè due milioni di euro. Quel film ha tuttora una vita e in home video ha venduto più di 75000 tra dvd e blu ray.
Tu scegli cinema anche italiano, ma soprattutto internazionale e soprattutto francese. Perché?
Perché tra la cinematografia europea quella francese è un po’ più affine all’Italia. Purtroppo i film tedeschi – per fare un altro esempio -, non hanno mai un cast attraente per il nostro pubblico. In più, molti si caratterizzano per una messinscena di tipo televisivo. La cinematografia inglese negli ultimi anni non ha prodotto grandi cose: parlo dei film abbordabili per le nostre finanze. A volte quelli più belli costano troppo.
La mia sensazione è che per voi sia più difficile distribuire un film italiano
Sì, perché i migliori li distribuiscono Rai e Medusa mentre quelli che rimangono disponibili di solito sono di un livello un po’ inferiore.
In compenso ne avete distribuiti tre che si sono rivelati belli e importanti. Parlo di Sacro G.R.A. con cui Gianfranco Rosi vinse Il festival di Venezia e per la prima volta ottenne un buon responso al botteghino. Ci sono poi Per amor vostro e di recente Sole.
Sacro GRA lo abbiamo avuto grazie a Fabrizio Grosoli, che in quegli anni lavorava con me: è stato lui a scoprirlo. Quando l’abbiamo scelto, non aveva ancora avuto la conferma di essere stato selezionato a Venezia; dunque fummo coraggiosi a prenderlo, anche considerando che si trattava di un genere come il documentario quasi mai premiato dal botteghino. Rosi non era ancora un nome e un film sul raccordo anulare di Roma non era la massima attrazione. Però diciamo che l’ho visto e l’ho trovato originale; dunque ho deciso di prenderlo ed è andata bene. Peraltro, dopo la vittoria del festival, riuscimmo a contattare la società autostrade che mise sui display del raccordo la pubblicità del film. In più, dopo l’anteprima stampa, portammo i giornalisti sul Tevere a mangiare le anguille fritte, rifacendosi a una pratica che si vede nel film. Insomma, avemmo anche delle idee originali sul lancio che vennero premiate. Di Per amor vostro lessi la sceneggiatura. In più c’era la presenza di una brava attrice come la Golino che partecipò al film con grande passione, tanto da vincere il premo di miglior attrice a Venezia.
E poi c’è Sole di Carlo Sironi.
Sole ci è piaciuto, ma certo è un film non facile per il grande pubblico. Diciamo che ogni tanto faccio degli acquisti coraggiosi, non bado solo all’aspetto commerciale ma lascio prevalere il cuore.
Vuoi dire qualcosa su come funzionerà la vostra piattaforma?
È una piattaforma in cui si noleggia singolarmente il film, senza bisogno di abbonarsi, quindi è diversa da Netflix e da molte altre. All’interno ci sono tutti i nostri film, tranne quelli di cui purtroppo abbiamo perso i diritti, come Tideland di Terry Gilliam, This is England di Shane Meadows.

Parliamo dei costi.
Sono in linea con le altre piattaforme: si parte da tre euro scarsi e si arriva a 7,90 euro per le prime visioni che usciranno in contemporanea alla sala. Ci sono poi dei carnet da quaranta titoli, con i quali alla fine il prezzo medio diventa di solo un euro a film. Per il momento ci sono on line solo tre tipologie, però abbiamo deciso di farne quattro, dando al pubblico la possibilità di acquistare quattro, dieci, venti e quaranta film. In più siamo aperti a ospitare anche titoli di altri distributori o produttori; tanto è vero che, se guardi, abbiamo anche Est-Dittatura Last Minute dell’amico produttore Paolo Rossi di Genoma Films.
Nonostante la piattaforma, la vostra vocazione rimane quella del cinema in sala. Avete alcuni film in attesa di uscire non appena riapriranno le sale. Di alcuni di questi ho anche intervistato i registi nel corso dell’ultima edizione di Alice nella città in cui qualcuno di questi lungometraggi sono stati presentati.
Il primo a uscire in sala sarà Fellinopolis, che permetterà di conoscere Federico Fellini maniera molto particolare, mettendo insieme – come ha fatto la regista Silvia Giulietti – i backstage di quattro film del regista. Gli stessi sono stati montati utilizzando anche qualche inserto d’animazione e il risultato mi sembra bello e originale, tale da permettere al pubblico di conoscere da vicino e in modo molto fantasioso il grande autore riminese.
Un altro titolo molto atteso è Gagarine di Fanny Liatard e Jérémy Trouilh.
Come era successo per La vita invisibile di Euridice Gusmao, anche acquistare Gagarin è stato un altro atto di coraggio
Gagarine l’ho visto ad Alice nella città e come hanno detto in molti si tratta di un gran bel film.
È un film che io amo tantissimo, perché è sia poetico che visionario. Molto poetico perché ci fa vedere per la prima volta una banlieue francese non nel solito modo de I Miserabili o L’odio, con violenza, droga e ribellioni. I registi ce la mostrano invece in modo molto umano, attraverso la vita di persone che vivono nella periferia di una grande città. Si parla di fatti realmente accaduti, e cioè del tentativo di abbattere un complesso residenziale da parte di alcuni burocrati, che hanno scoperto la presenza dell’amianto in alcuni dei suoi edifici. Il film è stato girato proprio in quei luoghi da una coppia di autori da tenere d’occhio. Un altro acquisto coraggioso è stato Il matrimonio di Rosa, una commedia spagnola molto originale, simpatica e femminista, in cui la protagonista, stanca di essere sempre al servizio della famiglia e degli altri, va a vivere sulla costa spagnola, dove riapre un negozio appartenuto alla madre. Non contenta, organizza un matrimonio per sposarsi con se stessa.
Parliamo del cinema che ti piace.
A suo tempo mi piacque molto Pollo alle prugne, un film molto poetico dove Mathieu Amalric e Maria de Medeiros suonavano il violino, accompagnandoci in un un viaggio magico nell’Iran degli anni cinquanta. Poi dico Detachment – Il distacco, diretto da Tony Kaye il regista di American History X; e ancora Monsieur Lazhar, un altro film poetico incentrato su un insegnante sudafricano arrivato in Canada per fare il supplente e che poi instaura un bellissimo rapporto con i bambini della sua classe. Ci sono poi Il tocco del peccato, Il Sale della Terra con contenuti sociali importanti, ma anche Marguerite & Julien, tratto da una sceneggiatura scritta per François Truffaut. In generale mi piacciono i film che hanno grande originalità e grande fantasia come Il futuro siamo noi di Gilles de Maistre anche questo in attesa di uscire nelle sale.
Nel 2001 a Milano Franco Zuliani fonda UBU Film, con l’intento di produrre film originali e dalla forte personalità. Nel 2004 il fondatore riceve il “Premio F.I.C.E. (Federazione Italiana Cinema d’Essai)” come miglior produttore di film di qualità, grazie alla produzione di La Spettatrice di Paolo Franchi. Nel 2006 viene creata la divisione Distribuzione e contestualmente il nome della società cambia in Officine UBU.
Tra i titoli distribuiti di maggior spicco:
Imprevisti digitali (Effacer l’historique) di Benoît Delépine e Gustave Kervern, L’hotel degli amori smarriti (Chambre 212) di Christophe Honoré, Sole di Carlo Sironi, ; La vita invisibile di Eurídice Gusmão (A vida invisivel de Eurídice Gusmão) di Karim Aïnouz, Diva! Di Francesco Patierno, Per amor vostro di Giuseppe M.Gaudino; Una nuova amica (Une nouvelle amie) di François Ozon; Gemma Bovery di Anne Fontaine; Il Sale della Terra (The salt of the Earth) di Wim Wenders e Juliano Ribeiro, Sacro GRA di Gianfranco Rosi, Qualcosa nell’aria (Apres mai) di Olivier Assayas, Il tocco del peccato (A Touch of Sin) di Jia Zhangke, Monsieur Lazhar di Philippe Falardeau, Detachment-Il distacco di Tony Kaye; Pollo alle prugne (Poulet aux Prunes) di Marjane Satrapi e Vincent Paronnaud; This is England di Shane Meadows, Non è ancora domani (La Pivellina) di Tizza Covi e Rainer Frimmel,