Judas and the Black Messiah è stato candidato a 6 premi Oscar vincendone due.
Miglior attore non protagonista a Daniel Kaluuya
Miglior canzone per Fight for You (musiche di H.E.R. e Dernst Emile II, testo di H.E.R. e Tiara Thomas).
Distribuito da Warner Bros. Pictures in associazione con MACRO/Participant/BRON Creative, è una produzione MACRO Media/Proximity.
Judas and the Black Messiah si puó vedere ora su Netflix
Judas and the Black Messiah di cosa parla
Judas and the Black Messiah, film tratto da fatti realmente accaduti, racconta l’ascesa di Fred Hampton, leader del Black Panther Party dell’Illinois. Un movimento che diviene ben presto “nemico pubblico” per l’FBI, tanto che J.Edgar Hoover avvia una campagna di spionaggio inserendo diverse “talpe” nelle varie ramificazione del “partito” nel Paese. Uno di questi è Bill O’Neal, ex ladro d’auto che viene incaricato di inserirsi nel movimento per trafugare informazioni preziose. Mentre la fama e il consenso per Hampton si fanno sempre più forti e minacciose, O’Neal si insinua nella rete delle “Black Panthers”. Nella duplice veste di infiltrato e “pantera nera” da un iniziale avara incoscienza si trova sempre più in conflitto interiore, fra il ricatto morale e il peso del suo tradimento ai compagni.
Judas and the Black Messiah Fred Hampton e le Pantere Nere
In una stagione cinematografica dove si sono già affermate pellicole come Il processo ai Chicago 7 e Da 5 Bloods, ritorna in questo “Judas and the Black Messiah” il tema cardine che lega lo scempio del Vietnam con i soprusi agli afroamericani e la lotta “infinita” per affermarne i loro diritti. Qui si dispiega attraverso la storia fondamentale di Fred Hampton e delle Pantere Nere. In un periodo storico, fra gli anni ‘60 e ‘70, dove il movimento fondato da Bobby Seale e Huey P. Newton stava minando seriamente la supremazia delle autorità, non solo in termini di destituzione del “suprematismo bianco”, ma soprattutto dei “padroni” e del capitalismo.
Questa nuova missione dettata dalle Pantere Nere, che vedeva Hampton fra gli interpreti più idolatrati, stava diventando una minaccia per l’America conservatrice e imperialista. Hampton stava fomentando le masse, gli esclusi, le minoranze, in un’epoca che oltre al Vietnam vedeva ardere il braciere della Guerra Fredda, dove di certo l’anticapitalismo, la ribellione delle pantere nere, sempre più attigua al socialismo, cominciò a scomporre seriamente il consenso, gli equilibri interni e le politiche di Nixon e soci.
Un biopic-drama ed una terribile “apologia” del potere
Judas and the Black Messiah non si presenta come una spy-story, anche se una spia e le infiltrazioni segrete sono al centro del racconto e del periodo storico, ma è un biopic drama con tutti i connotati del genere. La figura di Hampton, l’influenza delle “pantere” che si espande, le ingiuste accuse e carcerazioni di un personaggio troppo scomodo e un’azione storicamente meschina compiuta dall’FBI.
Non abbiamo il ritmo teso di un film di spionaggio, ma ce la vicinanza alla crescita di due personaggi, con un climax sempre più pesante e denso, legato all’alimentarsi di una storia via via più drammatica. Cresce la stima e il consenso verso Hampton e al contempo la “talpa” O’Neal si fa strada nel partito. Cresce anche la paura di essere scoperto e giustiziato in quanto spia, ed il peso di un ricatto che diventa morale.
Vi è una riflessione ampia e latente nella narrazione che si fa reiterata e riguarda il potere. Il potere come quello di un distintivo, esibito come un’arma per spaventare, utilizzato dallo stesso O’Neal per rubare le auto. Un’arma che gli si ritorce contro in quanto diventerà vittima di quel distintivo, dell’abuso di potere degli agenti dell’FBI che utilizzano tale elemento per ricattarlo e corromperlo. Abuso di potere che è anche degli agenti che quotidianamente ammazzano un una persona di colore.
Il film in questo approccio ha una sua umanità, un suo romanticismo poetico, nel raccontare una sconfitta non tanto delle pantere nere, ma soprattutto dal punto di vista dell’etica e dell’umanità dei federali e dei piani alti che detengono il potere, contaminati di uno spirito razzista e conservatore. Sono passati cinquant’anni ma forse non è così lontana la storia contemporanea.
Il movimento, le rivolte e le contraddizioni
Il film di Shaka King omaggia il movimento, il carisma di Hampton, la sua giustezza senza farne un martire. Il Black Panther Party che lotta per la salvaguardia della comunità, con una missione civile e sociale e talvolta con l’ausilio della forza armata. Ci si interroga sulla legittimità dell’uso delle armi e le scelte di allearsi anche con le frange meno “pulite” dei sobborghi americani, vedi i Crowns, i Redneck e i portoricani, pur di sollevare il tumulto e rinvigorire la ribellione popolare.
Il film contrappone questi chiaro-scuri, queste scelte “politiche”, in una guerra dove si celano le manovre di un “impostore” che per denaro e incoscienza vende informazioni e anche qualcosa di più ai federali. Due uomini vicini e contrapposti, non alleati e non antagonisti. Poi l’apparato dei “pigs”, del potere che usa il braccio dell’FBI, con dubbia trasparenza, per sedare le minacce agli equilibri dell’America con le possibili ricadute globali.
Dal tradimento al complotto
La storia di Fred Hampton e di William O’Neal è una storia sconcertante, non siamo proprio dinanzi ad un tradimento, ma ad un vero e proprio atto di spionaggio. Bill O’Neal non viene convertito, ma viene arruolato dall’FBI per fare l’infiltrato. Un tradimento che avviene dalla genesi di un rapporto, un tradimento su commissione. Tanto che Hampton si fidò di O’Neal e William da spia ne divenne amico. Probabilmente il suo ruolo di black panther, che interpretò al servizio dei federali, alla fine lo sentì suo.
Il personaggio di O’Neal di sviluppa su due fronti, da un lato la crescente ammirazione per Hampton e dall’altro la soggezione, non esente anche qui di ammirazione, verso l’agente dell’FBI Mitchell. Un asse relazionale ed un nodo interessante del film? Proprio queste contraddizioni, che si palesano con le inquietudini dei suoi personaggi, in particolare con lo sguardo folle di O’Neal, fra paura, incredulità e incoscienza.
In questa sottile convinzione, che divenne poi reale, si incarna la tensione del personaggio interpretato da Lakeith Stanfield, nella prova ad oggi più difficile della sua carriera. Non era semplice riportare simili fantasmi dentro ad un personaggio e con una credibilità che reggesse la scena.
Il cast mette insieme una prova corale di grande livello con gli apici dei due protagonisti
Di grande spicco le prove attoriali, in particolare quella di Daniel Kaluuya (Premiato con l’Oscar) nel mettere insieme un personaggio che alterna determinazione e intimo pudore. Coadiuvata anche da un cast di attori emergenti a corredo, come appunto Lakeith Stanfield che divideva lo schermo con Kaluuya già nel sorprendente “Scappa – Get Out”, Dominique Fishback e Jesse Plemons (“Sto pensando di finirla qui, Il Potere del cane) che qui si conferma dalla parte dei cattivi, nei panni dello spietato e rampante agente dell’FBI Roy Mitchell.
Shaka King regista giovane alla sua seconda prova al lungometraggio, il primo dal respiro “mainstream”, dopo diversi cortometraggi ed episodi per la TV, dimostra un sapiente approccio su un tema delicato. Una storia controversa, una sapiente direzione degli attori ed una regia che sa veicolare emozioni senza alterare i toni oggettivi della storia. La ricostruzione dell’epoca sa essere efficace. Il film, inoltre, nelle scene iniziali attinge con i chiari rimandi e le citazioni al documentario Black Panthers del 1968 di Agnes Varda. D’altronde non si poteva che partire da li e dalle “liriche” di Malcolm X e Martin Luther King, per raccontare la storia del Black Panther Party e di Fred Hampton, nonché l’ennesima storia fatta di una lunga serie di oltraggi alla comunità afroamericana.
Un progetto dai toni complessi, delle prove difficili che tuttavia sono state superate. Un’opera che si serve con maturità e intelligenza della forza del cinema per riportarci ad una storia e a dei fatti che non possiamo ignorare. Aspetti fondamentali anche nella comprensione della storia recente e di un’America (e non solo) che non sembra mai abbastanza pronta per superare e affrontare certi fantasmi.