Vincitore del 38 Torino Film Festival Botox dell’iraniano Kaveh Mazaheri racconta con realismo allegorico e un fare beffardo le vicende di un paese che cerca di cambiare faccia alla propria storia. Con scarsi risultati.
Botox del regista iraniano Kaveh Mazaheri e il racconto di una bugia che diventa verità. Abituato per ragioni di censura a raccontare sotto forma di metafora il cinema iraniano ha sviluppato una capacità sconosciuta ad altre filmografie che è quella di trasformare le azioni del quotidiano in un caleidoscopio di allusioni e di rimandi alla verità nascosta delle cose.
Dunque anche la forza di un film come Botox non sta tanto nella superficie dell’intreccio incentrato sull’afabulazione con cui due sorelle tentano di non rivelare la morte del fratello quanto sulla capacità della storia di diventare altro senza mutare le forme della sua narrazione se non nella sfasatura temporale relativa al flash back dell’antefatto che precede l’inizio della storia.
In questo senso a essere protagonista è il tempo storico, evocato in primis da quello cinematografico generato dai piani sequenza scelti dall’autore per far muove le immagini. Il presente del paese si oppone ai suoi trascorsi rievocando fantasmi veri o presunti attraverso la piega assunta dal corso degli eventi e dunque dall’assunzione di responsabilità da parte della compagine femminile (il nuovo che avanza) proiettata in una sfera di auctoritas di norma assegnata alla controparte maschile (depositaria delle antiche logiche), qui scalzata e sostituita nella conduzione dell’attività clandestina (una piantagione di funghi allucinogeni) che dovrebbe cambiare le fortune economiche delle parti in causa.
Anteponendo le logiche del profitto a quelle del cuore come dimostra la mancata elaborazione del lutto da parte delle due donne distratte dal perseguimento della “venal prece” Botox diventa quasi beffardo quando si tratta di tirare le somme ai tanti spunti messi in campo. Esemplare a tal proposito la sequenza ambientata nella sala d’spetto della clinica di bellezza in cui vediamo Akram, la maggiore delle due sorelle, seduta in mezzo a due clienti con in volto il bendaggio conseguente all’iniezione della tossina botulinica: al cortocircuito tra modernità e tradizione data dal gap tra le vestigia provinciali dell’una e la mondanità cosmopolita delle altre si somma l’allegoria di un paese che cerca letteralmente di rifarsi la faccia (da qui il titolo del film) senza però riuscire a coprire le vecchie magagne. In concorso al Torino Film festival Botox è risultato il film vincitore aggiudicandosi anche il premio per la miglior sceneggiatura scritta dallo stesso regista.