Il film ha una genesi molto lunga. Il soggetto appare per la prima volta nel 1940 sulla rivista Cinema, con il titolo Totò, il buono. Gli autori sono Cesare Zavattini e Antonio DeCurtis. Il progetto iniziale prevedeva di far interpretare al principe della risata il ruolo da protagonista, che si chiama, appunto, Totò. Come apprendiamo da una lettera che risale al Gennaio del 1941, l’attore partenopeo partecipò attivamente alla stesura del soggetto e fu lui a suggerire a Zavattini di far nascere il protagonista sotto un cavolo, trovata che ben si sposava con l’ambientazione favolistica. Il soggetto, tuttavia, non venne preso in considerazione da nessun produttore e Zavattini modificò il tutto in forma letteraria e nel 1943 lo pubblicò con Bompiani, come un romanzo per ragazzi.
Passarono gli anni e Zavattini era ormai entrato, stabilmente, nel mondo del cinema, collaborando con VittorioDe Sica alla realizzazione di Sciuscià (1946) e Ladri di biciclette (1948). I due film donarono ai due autori, soprattutto a De Sica, fama e successo internazionale. De Sica, però, avvertì un certo smarrimento, dovuto a sensazioni personali e da un contesto socio-economico in mutazione. Uno dei principali motori del Neorealismo era stata la forza della passione di un intero popolo che aveva voglia di ricostruire un paese ridotto in macerie. Pellicole come Ossessione (1943), Roma città aperta (1945), Paisà (1946) e Germania anno zero (194) vennero realizzate dai Luchino Visconti e RobertoRossellini sulla spinta della stessa passione, con l’intento di tradurre sullo schermo la cronaca vera della vita quotidiana, all’insegna della solidarietà.
Col passare del tempo, De Sica avvertì che questa passione si stava esaurendo. Una certa angoscia si stava diffondendo, dovuta soprattutto al timore di un nuovo conflitto mondiale. Inoltre, il regista temeva che il Neorealismo, dopo il successo di Ladri di biciclette, diventasse una formuletta convenzionale e sentì il bisogno di andare oltre. Insieme a Cesare Zavattini, suo fidato collaboratore, scelse di non abbandonare del tutto il Neorealismo ma di usarlo in una cornice da favola, rispolverando il soggetto di Totò, il buono. Cambiando il titolo in I poveri disturbano e successivamente in Miracolo a Milano, adeguarono il testo ai nuovi strumenti cinematografici; a interpretare il ruolo di protagonista non fu più Antonio De Curtis, diventato troppo noto, ma Francesco Golisano, che nel 1948 aveva raggiunto un certo successo, interpretando Geppa in Sotto il sole di Roma, diretto da RenatoCastellani.
Miracolo a Milano inizia come la più classica delle favole, con la scritta “C’era una volta…” che appare nelle prime inquadrature. E racconta la storia di Totò (Francesco Golisano), che viene trovato sotto un cavolo da Lolotta (Emma Grammatica). Passano gli anni, Lolotta si ammala e muore. Totò viene portato in un orfanotrofio, da dove esce dopo aver raggiunto la maggiore età. Girando per la città di Milano, Totò cerca lavoro, ma si imbatte in Alfredo (Arturo Bragaglia ) che, dopo aver rubato la valigia al giovane ingenuo, lo invita a casa sua. Un riparo di fortuna realizzato con vecchie lamiere, nella periferia della città. Col passare dei mesi, Totò, insieme a tanti altri barboni, dà vita a un vero villaggio, dove chi non possiede più nulla è il benvenuto.
In occasione della festa, che inaugura la baraccopoli, si scopre che nel terreno sottostante c’è il petrolio. Rappi (Paolo Stoppa) informa Mobbi (Guglielmo Barnabò ), un ricco e potente industriale, che arriva subito e, con l’aiuto di un proprio esercito, vuole scacciare i barboni. Ma sotto forma di angelo, giunge dal paradiso Lolotta che consegna a Totò una colomba magica in grado di realizzare ogni tipo di desiderio. L’esercito di Mobbi riesce comunque a deportare tutti i barboni, che vengono trasportati in dei carri a Piazza del Duomo, ma sempre con l’aiuto di Leolotta, e questa volta anche di Edvige (Brunella Bovo), Totò usa il potere della colomba per liberare i suoi amici e volare in cielo a cavallo delle scope rubate ai netturbini.
In Miracolo a Milano De Sica per la prima volta utilizza gli effetti speciali, avvalendosi della collaborazione di Ned Mann e. epr tale motivo, il film costò 180 milioni di lire, una cifra non indifferente per l’epoca. Il regista, ricorre agli effetti speciali in varie parti del film, come la sequenza del tentato suicido di uno dei barboni e, soprattutto, nel finale, quando Totò e i suoi amici volano verso il cielo alla ricerca di un mondo dove “Buon giorno vuol dire davvero buon giorno”. Sequenza che ispirò l’episodio delle biciclette volanti in E. T (1982) di Steven Spielberg.
Nonostante l’attesa dell’uscita del film, dopo il successo hollywoodiano del regista, il mondo politico italiano non riservò a Miracolo a Milano una buona accoglienza. La destra ci vide un inno ai nullafacenti e un feroce attacco al capitalismo e alla nascente industria del paese. Ma anche intellettuali di sinistra accolsero il film freddamente, ritenendolo un’inutile evasione rispetto al cinema di denuncia, che aveva caratterizzato la precedente produzione del duo De Sica- Zavattini. Ma Miracolo a Milano non è per nulla un evasione, e non è neppure una divagazione, piuttosto una traslazione dei temi già affrontati in Sciuscià e Ladri di biciclette. De Sica con Miracolo a Milano decide di imboccare la strada dell’allegoria, molto più difficile e con un messaggio molto più feroce.
Una sostanziale modifica che gli autori mettono in atto sul testo di Totò, il buono è la sostituzione dell’ambientazione. La fantasiosa città di Bamba, dove Zavattini aveva ambientato il suo romanzo, viene sostituita con la nebbiosa e realistica città di Milano, capitale economica del paese. Una Milano degli anni ‘50 del secolo scorso, in piena emergenza abitativa e dove dilagava la disoccupazione. Inoltre, De Sica aveva previsto un finale con un messaggio sociale molto più esplicito. I barboni a cavallo delle scope volavano in cielo per poi provare ad atterrare, ma dovunque venivano presi a fucilate, per cui erano destinanti a un volo senza fine intorno alla terra.
Senza dubbio, Miracolo a Milano è il film di De Sica dove è più evidente l’influenza di Zavattini, specie sul piano ideologico. Il soggettista e romanziere aveva un’idea fissa, quasi un’ossessione, cui riesce a dare corpo nella sua opera I poveri son matti, dove esiste una netta separazione, demarcazione tra ricchi e poveri. E ciò che avviene in Miracolo a Milano. I ricchi sono tutti cattivi, i poveri, invece sono tutti buoni (a parte Rappi, che sembra conservare ancora qualcosa del ricco, come la sua baracca, l’unica a due piani). Questa demarcazione viene sottolineata anche dall’uso della musica, curata da AlessandroCicognini. Mobbi, il ricco industriale, viene sempre accompagnato da ritmi e dinamiche della musica jazz, invece Totò e i suoi amici barboni sono caratterizzati da luminose e distese melodie popolari. Nella sequenza della negoziazione i ricchi appaiono cattivi come dei cani rabbiosi e, quando fanno la loro offerta, la voce si trasforma in un vero e feroce ringhio.
L’impianto ideologico del film in alcuni punti può risultare manicheo e semplicistico. La demarcazione tra ricchi e poveri non viene mai approfondita, ma semplicemente accennata, in modo quasi infantile. La mancanza di approfondimento ha una motivazione del tutta pratica. De Sica, come aveva fatto con Ladri di biciclette, aveva ingaggiato attori non professionisti, gente comune e quasi tutti erano davvero dei barboni. Pertanto, il regista era costretto a usare maggiormente campi lunghi e limitare gesti e dialoghi. Ma grazie alle sue qualità artistiche De Sica tramuta questo difetto in pregio. Miracolo a Milano, di fatto, in alcuni momenti dà l’impressione di evocare l’estetica del cinema muto. Lo stesso avviene nella sequenza all’interno del palazzo di Mobbi. Enormi spazi e altissime pareti richiamano alla mente film come Metropolis (1927) di Frtz Lang.
Miracolo a Milano è senza dubbio una favola. E sono tanti gli elementi fiabeschi all’interno della pellicola. Come il ladro, accodato al feretro di Leolotta, per fuggire ai due carabinieri che sembrano usciti dalle pagine del Pinocchio di Collodi. Ma De Sica in questo film mette in gioco anche alcune dinamiche filosofiche molto evidenti: Totò e i suoi amici barboni costruiscono un villaggio che risulta una chiara allusione alla società utopica, di matrice socialista. Molti sono i riferimenti all’opera La città del sole di Tommaso Campanella e alla società ideale di Platone. Valenza filosofica, a tratti metafisica, hanno i personaggi femminili: Leolotta, che dona a Totò la colomba magica per sconfiggere l’esercito di Mobi, Edvige, che pure soccorre il suo innamorato, e la statua della ballerina (Alba Amova ), diventata umana. Queste figure assumono il ruolo di Dea madre, attirando lo sguardo, il desiderio e la speranza di Totò e dei suoi amici.
Ma è Totò il portatore delle più esplicite teorie filosofiche. Questi assume il ruolo di messia, una sorta di Gesù Cristo contemporaneo o di un San Francesco, al fianco degli ultimi. E in lui troviamo, inoltre, alcuni tratti delle teorie del velo di Maya. Lo sguardo di Totò rivolto al mondo e all’umanità è coperto dal velo, teorizzato da ArthurSchopenh. E il suo buongiorno, che augura a tutti, vuol dire veramente buongiorno. E lui, generoso e gentile, non fa altro che ricordare, al mondo intero, che “ la vita l’è bela”.