Trieste, oggi. Il pittore Michele deve terminare una pala d’altare da cui dipende la propria carriera, ma è in piena crisi creativa. Il lavoro gli è stato trovato dalla ricca compagna, che lo ha addomesticato alla vita matrimoniale provvedendo a tutte le sue necessità economiche e appiattendo però il suo spirito artistico. Interpellata dal committente del lavoro, suo ex amante, preoccupato che Michele non finisca l’opera nei tempi stabiliti, per spronare il fidanzato decide di metterlo alla porta fino al completamento del lavoro. Senza casa, senza auto, con solo una valigia leggera e un migliaio di euro, si ritrova a dover ricostruire la propria vita.
Affittasi vita, di Stefano Usardi, è una commedia ironica con diverse chiavi di lettura; il tema centrale è quello della libertà, ma tocca anche un argomento attuale come l’ibernazione dei corpi in attesa di cure future e mostra, storia nella storia come nelle scatole cinesi, la vita di un carosello di personaggi insoliti.
C’è l’uomo in fin di vita che si fa ibernare ancora vivo fingendosi morto e per un errore quasi boccaccesco si ritrova scongelato dopo soli 4 anni; torna a casa e ritrova la sua ultima compagna disperata perché nel frattempo la figlia è impazzita ed è stata rinchiusa in manicomio, da dove solo la firma del padre, tutore legale, può farla uscire, solo che legalmente è morto; c’è il ragazzo che ruba nottetempo bare al cimitero per rivenderle; c’è l’enfatico attore teatrale in attesa di provino che recita Shakespeare anche quando parla con gli altri; c’è la giovane artista di talento che farà da tramite tra Michele e questa girandola di personaggi che gli ruotano intorno. Il comun denominatore è la casa ai sobborghi di Trieste, che Michele prende in affitto quando la fidanzata lo butta fuori dalla loro: inizialmente diffidente, grazie ai suoi vicini singolari ma di buon cuore Michele ritroverà interesse nella vita e con essa l’ispirazione.
Il regista sembra lasciare che le situazioni si creino e si svolgano in piena libertà, in accordo con la centralità del suo tema: non spiega la direzione, non dà un’interpretazione univoca, dando risalto piuttosto all’importanza del senso non spiegato. Anche la fotografia, splendida e a tratti imperfetta, esalta la profondità oltre l’immagine. Simbolica la scelta finale di Michele di dipingere al centro della sua pala un bimbo: è lui stesso, che ha ritrovato il bambino interno ed è pronto a ricominciare.