Racchiude tutto il nucleo di PerSo ossia raccontare, attraverso il cinema del reale, il mondo del sociale nel suo senso più ampio e nelle articolazioni più varie, The observer, documentario in concorso e primo lungometraggio di Rita Andreetti: un affresco delicato e insieme potente su una figura artistica, cinematografica e storica davvero fondamentale nella veste di testimone e rivelatore di una delle realtà più difficili da raccontare nelle contraddizioni, nella pura realtà: quella cinese.
Entriamo nella vita di un personaggio ai più sconosciuto attraverso un braccio di ferro che ha coinvolto il Beijing Independent Film Festival, fatto chiudere nel 2014 (alla 11esima edizione) perché ospitava Spark, documentario di Hu Jie (premiato al Festival del documentario indipendente di Taiwan del 2014) così difficile da digerire per il governo cinese da far cancellare addirittura un festival. Dalle immagini di protesta degli organizzatori e degli attivisti, rubate dai telefoni, ci inoltriamo nella vita domestica, piena di arte e bellezza, di Hu Jie.
Il suo incontro è un racconto di un pezzo della propria esistenza e dell’evoluzione della Cina fatto di silenzi e quiete, come se la macchina da presa non volesse tralasciare nessun frammento del suo mondo: dalle foto ai dipinti, ai libri, alle sue stesse parole. Hu Jie entra nella logica cinese casualmente: prima perseguendo la via militare nell’aeronautica per quindici anni, frequentando anche il People’s Liberation Army Arts College e avvicinandosi alla pittura. Nel 1994, lavora come pittore nel villaggio degli artisti Yuanmingyuan e la scoperta della videocamera (oggetto ancora non identificato in quegli anni in Cina) gli ha cambiato la vita. Da qui hanno inizio le sue esplorazioni della realtà cinese, che confermavano di volta in volta quanto la propaganda manipolasse di fatto la conoscenza degli avvenimenti più fastidiosi, moralmente, socialmente più discutibili, difficili da giustificare, semplicemente oscurandoli, cancellandoli dalla memoria.
Hu Jie comincia a filmare e raccontare quel mondo, lontano, dimenticato, le sue oppressioni, ingiustizie, la sua disumanità: da Remote Mountain (1995), testimonianza della dura vita dei minatori nella provincia del Qinghai, al toccante Searching for Lin Zhao’s Soul (2004) intellettuale ribelle al dominio totalitario, imprigionata e resistente, indomita, fino alla morte nel 1969, giustiziata durante l’apice della rivoluzione culturale. Searching for Lin Zhao’s Soul (2004), Though I Am Gone (2007) e Spark (2013) incarnano la trilogia di documentari sulla Cina maoista.
Nel mezzo di The observer, dove i frammenti dei lavori di Hu Jie si amalgamano alla moderna Cina, apparentemente pacificata nella spiritualità, nel progresso e nella modernità, nella bellezza, la vita di Hu Jie rappresenta una spina che ferisce, temuta, controllata e bloccata anche nelle recenti valorizzazioni del suo indiscutibile talento pittorico. Una mostra a Tianjin aperta al pubblico è riuscita a resistere per appena tre giorni.
The observer riesce a pieno nel suo intento, con un’attenzione visiva davvero preziosa. Cattura e ci mostra un’esistenza apparentemente normale, anche nella sua quotidianità, come le esistenze di tanti Cinesi, che appena supera quel limbo, quel confine tracciato del “fino a dove si può conoscere”, “fino a dove ci si può spingere”, viene inevitabilmente tarpata nella sua espressione. Questa testimonianza, in prima europea, non va persa per comprendere ancora meglio quanto la libertà e la verità siano valori da salvaguardare e proteggere anche e soprattutto nella memoria.