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Conversation

Fiore gemello: intervista alla regista del film Laura Luchetti

Costruito sull’asimmetria esistente tra una struttura semplice e lineare e la molteplicità del suo apparato metaforico, Fiore gemello mette in campo una  rappresentazione problematica e i dilemmi morali della cultura cristiana ed europea. Alla regista Laura Luchetti abbiamo chiesto di parlarci del suo film

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Mi sembra che il film sia costruito sull’asimmetria esistente tra una struttura semplice e lineare, poggiata su pochi personaggi, sviluppata attraverso un unico movimento, che è quello del viaggio dei protagonisti, e, invece, la molteplicità dei significati e la ricchezza dell’apparato metaforico che rimandano non solo al tema dell’immigrazione ma mettono in campo dilemmi morali e rappresentazioni problematiche della nostra cultura cristiana ed europea.

Si, credo che ci sia tutta una rete simbolica fatta anche di piccole cose, di piccoli dettagli. L’ossessione compulsiva per i miei animali minuscoli non è un capriccio registico perché il loro essere fondamentali, anche se invisibili all’occhio umano, è il riflesso dell’importanza dei due protagonisti, minuscoli all’interno di un paesaggio che sembra divorarseli, eppure capaci di far sentire la loro voce che poi è quella dell’adolescenza, dei giovani. Ho tenuto tanto a cercare il significato nel piccolo, perché piccoli sono i miei personaggi.

Il successo innanzitutto internazionale dei tuoi film è giustificato dall’universalità delle situazioni e dei loro significati, oltreché da una narrazione che procede per archetipi. Lampante, in particolare, è lo scarto tra principi e azione: il padre di Anna e il suo datore di lavoro vanno in chiesa e, in generale, si circondano dei segni di una religiosità che però non gli impedisce di guadagnare sul traffico dei migranti.

Questo è un tema a me molto caro, affrontato in parte in Fiore gemello e destinato a essere sviluppato ancora di più nel mio prossimo film; la differenza tra i diversi modi di intendere la religione è una cosa a cui tengo molto e lo faccio vedere, per esempio, in un personaggio come Manfredi, estremamente attaccato alle forme del sacro e pieno di simboli che ad esso rimandano eppure, come tanti, senza un briciolo di fede verso gli esseri umani. D’altronde, la grande contraddizione del mondo in cui viviamo è data da un misto di accoglienza e rifiuto e cioè da un ritorno al misticismo tipico dei momenti di crisi come la nostra unito a un sostanziale rifiuto della realtà. Forse, ci vorrebbe meno misticismo e più azioni e, comunque, queste enormi contraddizioni sono quelle che a me, osservatrice piccolissima del nostro mondo, interessano di più.

Anna è italiana, Basim è un immigrato della Costa D’avorio, ma questa appartenenza non li rende diversi a chi vuole approfittare di loro. Fiore gemello sembra dirci che dietro il razzismo, che potrebbe essere la questione più scoperta della storia, in realtà si nasconde il cuore di tenebra della condizione umana.

È il cuore di tenebra dell’adolescenza a cui noi neghiamo un futuro. Noi siamo i Manfredi che inseguono gli adolescenti che hanno meno voce, come capita ad Anna e Basim. Lui, in un certo senso, rappresenta l’abuso, il mal pensare, la violenza che ruba l’innocenza ai due ragazzi. Dico sempre che Fiore gemello non è un film sull’immigrazione ma una storia il cui protagonista è un immigrato, che è una cosa molto diversa. Anna e Basim sono due esseri agli antipodi. Lei è la figlia di un trafficante di immigrati, e ragionando sul suo personaggio sono arrivata alla convinzione che loro soffrono di più o come i migranti, perché come Anna sono costretti a vivere in una famiglia in cui si sfruttano le disgrazie altrui. Nessuno si è messo mai nel loro punto di vista. La ragazza scappa da questo mondo che rifiuta perché violento e si incontra con uno che si lascia il passato alle spalle. I loro mondi dovrebbero collidere e poi esplodere, ma nella mia visione di essere umano prima che di regista riescono a integrarsi.

In effetti, è quasi un paradosso, perché ragionando in questo senso il film arriva ad affermare un’uguaglianza che va al di là del particolare.

Nel dolore, così come nella gioia, siamo tutti molto simili. Si, io parlo di due adolescenti a cui è stata rubata l’innocenza insieme del cammino da loro compiuto attraverso il quale, anche facendo una cosa paradossalmente molto violenta, riconquistano la propria innocenza e il diritto di avere un futuro. Non a caso c’è un momento in cui, alla fine del film, non possiamo seguirli più; non avendone diritto li lasciamo entrare nella propria vita.

Anna, il nome della protagonista, è un palindromo, dunque non cambia da qualunque verso lo si legga. Per me questo rimanda a uno dei tratti salienti della sua figura, che è l’unica a non cambiare, a rimanere fedele a se stessa, laddove di Basim, ad un certo punto, scopriamo una sorta di doppia vita.

Penso che tu abbia assolutamente ragione, perché una volta questo film si chiamava Anna. Lei non cambia, ma cambia nel senso che smette di fare una cosa e ricomincia a farla solo nel momento in cui proteggerà colui che è venuto per essere protetto. Per me una delle frasi più importanti del film è quando lui dice Je te Protege, poiché questi ragazzi vengono per essere protetti. Rispetto alla questione dei nomi sei il primo che la tira fuori, quindi e a te dico per la prima volta che il nome del ragazzo è stato scelto con molta cura, perché Basim vuol dire felicità, sorriso. Per lui desideravo un nome che fosse un paradosso.

Continuando con le corrispondenze tra il nome della ragazza e i contenuti della storia, Anna nel nuovo testamento è la profetessa che, insieme a Simeone, riconosce in Gesù bambino il messia. Oltre al fatto che lei riconosce in Basim il Cristo, questo si ricollega dalla parola del vangelo di Giovanni ascoltata da Anna, dal padre e dal personaggio di Aniello Arena, in cui si dice di riconoscere il Messia e di seguirlo. Una propensione, questa, che in Anna si rivela a cominciare dal suo nome.

Guarda, la tua lettura è estremamente profonda e va a toccare una cosa che io ho sfiorato in questo film, che è appunto l’aspetto mistico. Lui è questo salvatore “che nasce dai giunchi, che nasce ridendo, che nasce con la luna piena”; non è un diseredato da salvare, lui è il mio eroe, è quello che ha la mappa e che fa da guida. Con Anna si incontrano nel momento meno probabile, quando lei pensa di non trovare più nessuno. Tutti stanno cercando qualcuno che gli mostri la strada e nell’attimo in cui meno se lo aspettano lo trovano nell’altro, nell’alieno, in quello che viene ricacciato e che, invece, sarà quello da seguire.

Infatti, questo lo si nota anche dal gesto della mani. Inizialmente è lei che gli stringe la sua e lo porta con sé, poi i ruoli si invertono e succede il contrario. Parliamo di soluzioni formali e narrative che hanno un forte impatto emotivo sulla storia.

Io lavoro molto di pancia, per cui sono una regista molta emotiva. Tutto questo va a raccolta di un pensiero anche intellettuale, più razionale, però la mia maniera migliore di esprimerla è questa, insieme alla scelta di contesti naturali; la natura è la mia ossessione, semmai non si fosse notato (ride, ndr).

In termini di stratificazione di significati e di simbologie la scena in cui vediamo i due ragazzi nella vasca da bagno è esemplare: Anna ha appena scoperto il passato di Basim e invece di allontanarsene la vediamo iniziare a lavarlo senza proferire parola. Il gesto assume ai nostri occhi un valore che supera il contingente per diventare una sorta di purificazione battesimale. È così che lo avevi pensato?

Si, certo, quello che ci vede è un battesimo, lei lo monda, lei lo lava, accettandolo per quello che è e facendogli capire che il passato non ha più importanza perché lei sarà in grado di pulirlo.

La rinascita di Basim viene certificata nella scena successiva nel momento in cui non accetta le avance degli uomini che cercano di adescarlo.

Si esatto, a quel punto lui non li vuole più.

Fiore gemello è un film in cui sono spesso dettagli minimali a fare la differenza. Capita, dunque, che in un solo gesto si riassuma il significato di un’intera esistenza. Quella di Manfredi sta tutta nella scena in cui viene colpito da Anna con la statuina della Madonna, vera e propria nemesi di una vita priva di fede

Certo, per forza, quello è stato sempre un punto fermo, perché ti salva. Io ero molto preoccupata di mettere nel film quella scena, poi un giorno di tanti anni fa mia madre leggendo la sceneggiatura mi ha detto: “La  Madonna ti salva sempre”. Sulle prime, la cosa mi fece tanto ridere poi, però, ne ho capito in pieno il significato. Pur adorandola, per lui la statuina è priva di significato al contrario di quello che avrà per lei.

Pur nella drammaticità dei fatti scegli di raccontarli adottando una colorazione morbida e calda che riguarda soprattutto la figura di Anna, le cui tracce di purezza e di vicinanza a Dio sono visibili nella presenza costante della luce che le illumina il volto.

Anche la scelta di dare un tocco d’oro ai capelli va in questa direzione. Dietro questa decisione c’era il pensiero di una purezza ancora presente, nonostante i tentativi di strapparla a questa piccola anima sospesa. Per tale ragione, lei doveva avere un tocco di oro e devo dire che pur con i pochi mezzi a disposizione, insieme a Ferran Paredes Rubio (il direttore della fotografia, ndr), abbiamo fatto di tutto per raccontare il personaggio da questo punto di vista. Anche farle apparire delle pagliuzze d’oro negli occhi andava in questa direzione. 

Se la natura fa da cassa di risonanza allo stato d’animo dei personaggi, mi sembra che anche la scelta dei luoghi in cui essi si rifugiano rispecchiano la loro condizione. Se la “diserzione” di Anna trova asilo in posti che, in qualche modo, ricordano i segni della stabilità perduta, così il romitaggio di Basim è per lo più associato a siti fatiscenti e abbandonati, emblemi della sua esistenza “migrante”.

La ricerca dei luoghi è stata fatta per rispecchiare l’anima dei personaggi. Per quello che le risorse ci hanno consentito, abbiamo scelto location in grado di raccontare il più possibile Anna e Basim, facendo risaltare la loro grazia anche nei posti meno belli. Questo era il nostro intento, cercare la bellezza dove di norma non alberga: mi riferisco alla centrale distrutta e alla casa in cui si rifugiano i ragazzi, che peraltro è vera e non un set. Anche il cavalcavia, nella sua spoglia evidenza, rispecchia la volontà di contestualizzare la storia in una cornice di realtà. Non c’è niente di costruito anche perché non c’è lo potevamo permettere. Tutto doveva essere vero, come veri sono i i ragazzi.

Per restare all’elemento visuale, scegli di utilizzare lo schermo panoramico che ti permette di mostrare una porzione di spazio più ampia del normale.

Esatto. L’ho fatto perché volevo che Anna e Basim sembrassero piccolissimi all’interno di quei paesaggi.

In molti casi il rapporto tra lo spazio e personaggi enfatizza il sentimento di alienazione vissuto dai secondi. Mi riferisco, per esempio, alla sequenza ambientata nelle saline, in cui l’estraneità dei protagonisti rispetto al paesaggio viene resa con suggestioni da film di fantascienza.

Si, in quella scena loro due sembrano quasi dei marziani. Ho evitato le folle e le comunità, cercando di fare un lavoro claustrofobico al contrario: invece di metterli in posti angusti li ho collocati in scenari così estesi che per me lo erano ancora più. Perduti in un luogo dove la gente si nasconde, i protagonisti sono destinati a incontrare persone che, come loro, fanno di tutto per sparire dal mondo. Il fioraio interpretato da Giorgio Colangeli ne è un perfetto esempio: lui è un altro che si nasconde e di cui possiamo ricostruire il passato dal suo sguardo e dalla maniera in cui è vestito. Alla fine i miei personaggi sono tutti cattivi, non ci sono buoni e basta.

Mentre Basim rappresenta una tipologia precisa di persona, quella di Anna, per quello che abbiamo detto, doveva essere neutra, quasi astratta. A questo si deve la la scelta di un’attrice straniera come Anastasyia Bogach?

Guarda, forse possiamo fare il ragionamento contrario. Quando ho incontrata Anastasiya ho colto subito l’intelligenza viva e le doti di sopravvivenza – le stesse possedute da Anna – e solo dopo ho scoperto che era arrivata in Italia all’età di quattro anni e che, dunqu,e il viaggio c’è l’aveva dentro, esattamente come Kallil (Kone, ndr). Io cercavo questo e anche una certa ferinità. Loro sono “i miei due gatti di strada”, hanno grande intelligenza e intuizione.

A completare il cast ci sono Aniello Arena e Giorgio Colangeli. Le loro interpretazioni rendono onore all’importanza dei personaggi. Cosa ai chiesto loro e come avete lavorato?

Con Aniello abbiamo fatto numerosi incontri, puntando anche a una trasformazione fisica, visibile, tra le altre cose nel taglio dei capelli (lunghi, ndr) e nel colore della barba (rossa, ndr). Il complimento più grande è stato quello di sapere che molti non lo avevano riconosciuto. Con Giorgio Colangeli ci siamo divertiti molto perché parliamo di un uomo estremamente generoso. A lui ripetevo che il suo aspetto avrebbe dovuto raccontare la storia del personaggio, non certo uno stinco di santo e forse un legionario. Quando arriva la ragazza ha la tentazione di tornare come prima, ma la vita lo mette di fronte alla possibilità di redimersi. Buona parte della sua storia la si legge nei tatuaggi, nel fatto che riesca a comunicare con Basim in lingua africana, dai vestiti e dal codino. Abbiamo lavorato moltissimo su questi aspetti come su quelli che all’inizio dovevano farlo sembrare minaccioso. Il tutto all’interno di un film piccolo in cui non si potevano fare mesi di prove. Siamo riusciti a concentrare tutto nei pochissimi giorni che hanno proceduto le riprese, anche se con Aniello ci siamo sentiti tante volte anche prima.

L’uscita di Fiore gemello è stata preceduta da una serie di successi in diversi festival internazionali.

Il film ha debuttato a Toronto, uno dei cinque festival più importanti del mondo e quello che ha il mercato più grande. Noi eravamo in competizione a Discovery e abbiamo ricevuto la menzione speciale della critica internazionale. Da lì siamo andati in Corea e al London Film Festival, poi abbiamo vinto a Montpellier e a Madrid.

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  • Anno: 2019
  • Durata: 95
  • Distribuzione: Fandango
  • Genere: drammatico
  • Nazionalita: Italia
  • Regia: Laura Luchetti
  • Data di uscita: 06-June-2019