Ride, presentato in concorso al 36° Torino Film Festival, rappresenta l’esordio alla regia di Valerio Mastandrea. Carolina rimasta vedova da ormai una settimana non riesce a piangere per il defunto marito. La vediamo seduta sul divano, assorta in cucina o in piedi alla finestra alla ricerca di quelle lacrime che tutti si aspettano da lei. Carolina si ritroverà a fare i conti con l’assenza.
Valerio Mastandrea analizza qui il tema del lutto, in particolare, al come reagire e su quali siano le convenzioni sociali da tenere in queste circostanze. Ride riflette su come il silenzio sia diventato elemento essenziale in un’epoca dove tutto è urlato, ostentato, mostrato e condiviso. Un film che si muove fra una dimensione pubblica e una privata con grande profondità e pacatezza, ragionando su come le nostre emozioni siano spesso avvezze in contrasto con quelle che mostriamo in pubblico. Assuefatti al male, vediamo e assistiamo alla morte come fosse la norma, come spettatori che hanno disimparato a provare dolore. Abitudinari della tragedia emotiva e dominati da un’inflazione della sofferenza, il regista si sofferma su quelli che sono i nostri istinti.
Il titolo ossimorico del film ricorda di non dimenticarci mai di quanto sia bello provare qualcosa senza la necessità di urlarlo a tutti, ma che rimanga semplicemente nostro e intimo. Perché non c’è un copione per il lutto, perché il dolore è un’emozione e non un prontuario di gesti da riproporre ogni qual volta si ripresenti. Il dolore deve essere libero, personale e senza doveri, abitudini o riti accettabili socialmente. Ride ci ricorda che non deve esistere un copione emotivo sul dolore. Tema sempre caro a Mastrandrea è proprio quello della libertà di comportarsi secondo la propria unicità. Il paradosso è che dietro la macchina da presa rischia di imporre ai suoi attori, soprattutto alla protagonista Chiara Martegiani, chiaramente suo alter ego, uno stile recitativo fatto di leggerezza, sofferenza e ironia, in perfetto equilibrio. Il film non pare, infatti, quello di un esordiente, piuttosto una lunga riflessione partita molti anni prima. Inevitabilmente sembra così un’opera matura, come del resto lo è il suo stesso autore, già con una precisa poetica visiva. Ride è un film imperfetto e molto fragile in quanto è mancante di una differenza e una distanza precisa fra autore e attore; spesso non si comprende dove inizia l’uno e finisca l’altro. Mastandrea si mette a nudo e decide di prendersi tutte le responsabilità, anche se rischia di perdersi e rimanere affascinato dalla sua stessa recitazione.
Ride rimane comunque un’opera interessante nel panorama attuale italiano: personale, delicata e rispettosa. Forse solo una personalità come Valerio Mastrandrea avrebbe potuto confezionare un film del genere. La cifra vincente del film si manifesta non tanto quando tenta di allargarsi a orizzonti più ampi, piuttosto nella dimensione piccola, intima e casalinga. Un film “dedicato a chi rimane”, realizzato con un rispetto molto raro da vedere.
Alessia Ronge