Tra i numerosi film diretti da registe donne, in ambito internazionale, selezionati al Festival di Cannes 2018, un posto particolare merita Manto, secondo lungometraggio dell’affascinante attrice e filmaker indiana Nandita Das, nota al grande pubblico per numerosi film bollywoodiani e, soprattutto, per le sue interpretazioni nei film di Deepa Mehta Fire e Earth, che raccontano e denunciano la condizione delle donne in India. Qui la regista si occupa invece – ma è chiara la valenza simbolica e il monito all’attualità – di esplorare la vita e il segno artistico e umano tracciato da un grande poeta e scrittore indiano dalla penna pungente e ‘scandalosa’, Saadat Hasan Manto, attraverso le alterne vicende dell’India degli anni Quaranta.
Mentre Manto viveva con la moglie a Bombay una’esistenza piena, inserito in un gruppo di pari, intellettuali progressisti e amici, poco dopo la proclamazione dell’indipendenza e dell’omicidio del Matahma Gandhi, a causa dei disordini e della caccia alle streghe originata dalla cosiddetta partition fra India e Pakistan, l’artista sarà costretto a trasferirsi a Lahore, in Pakistan, luogo della dispersione e del caos, dove la sua vita subirà una progressiva e inarrestabile discesa agli inferi. Accusato spesso di oltraggio al pudore per le sue novelle incentrate sulla prostituzione, anche minorile, e su personaggi della strada, che usano il linguaggio della vita vera, Manto subirà numerosi processi, l’ultimo dei quali lo costringerà a pagare una cauzione esorbitante per non andare in carcere. Nonostante l’amore incondizionato della moglie e la gioia delle figlie, Manto mal sopporta l’esilio auto-inferto, la vita in casa d’altri (sia pur dei cognati) e soprattutto la costrizione e la censura delle sue opere, nonché la necessità di lavorare alla dipendenze di gente gretta per guadagnare denaro per la sua famiglia. L’alcool diventerà la sua medicina preferita per sopportare una vita ormai priva di libertà e possibili vie di fuga. La magnifica interpretazione dell’attore Nawazuddin Siddiqui (The Lunchbox) nei panni di Manto, conferisce un’aura particolarmente interessante a un biopic piuttosto classico, con un’ambientazione storica e di costume molto curata e un cast scelto con grande perizia. Ben orchestrata l’amicizia, quasi fraterna, di Manto con un attore in ascesa, poi rincontrato all’apice della carriera, a distanza di anni, in una situazione quasi di distacco, di lontananza per le vite troppo diverse vissute dai due.
I racconti dello scrittore composti nella lingua urdu dell’India settentrionale, negli anni ’30 e ’40, opere brevi, violente e scioccanti per l’epoca, sono rievocati nel film – letti pubblicamente in occasione dell’uscita dei libri e delle conferenze dello scrittore – e inseriti ad arte nella sua biografia in modo da sembrare parte integrante della sua vita inquieta. Manto e le sue opere hanno combattuto sei processi con accusa di oscenità, tre in India britannica e tre in Pakistan.