Bellas Mariposas, un film del 2012 scritto e diretto da Salvatore Mereu, tratto dall’omonimo racconto di Sergio Atzeni, edito da Sellerio nel 1996.
Sinossi
Caterina (Sara Podda), undici anni, vuole fare la cantante e fuggire dal brutto quartiere nel quale lei e la sua famiglia sono costretti a vivere. Il padre è un fannullone, traditore e “pezzemmerda”, non ha a cuore né i figli, né la moglie, ma solo il porno e se stesso. La madre, d’altro canto, non può seguire tutti, nonostante faccia del suo meglio. Cate ha quattro fratelli e due sorelle, non prende a modello nessuno di loro, e sicuramente non sua sorella maggiore, incinta a 13 anni; ha una grande amica, Luna, con la quale condivide le sue giornate.
Salvatore Mereu è un regista sardo, di grande preparazione e determinazione, che ha raccolto, con una filmografia di tre cortometraggi e cinque lungometraggi, premi e riconoscimenti importanti (a Venezia, Berlino e il David di Donatello nel 2004 per Ballo a tre passi), oltre a vasti consensi di critica. Il pubblico lo conosce meno a causa del solito problema della distribuzione di film a potenziale scarsa commerciabilità. La sua ultima opera Bellas Mariposas, tratto da un racconto di Sergio Atzeni, in lingua sarda, senza punteggiatura, è il prodotto di una splendida sfida del Mereu sceneggiatore, che lo ha tradotto in un racconto fluviale e visionario di una lunga giornata estiva di Cate, tredicenne osservatrice e sognatrice insieme, che vive in uno dei palazzoni del quartiere popolare di Sant’Elia, alla periferia di Cagliari. Vivace comunicatrice, la ragazzina si rivolge alla macchina da presa come se ci parlasse direttamente dei suoi sogni di fuga, del desiderio di fare la cantante e della sua realtà nella famiglia numerosa, con un padre nullafacente e sessuomane, una madre laboriosa e paziente e un fratello vanesio, sciocco e violento che minaccia di morte un suo compagno di cui è innamorata, raccontando il quotidiano non solo verbalmente ma nei più impensabili, quanto discreti, particolari. È un film che si è preso il lusso di essere girato in ordine cronologico (“perché le piccole attrici potessero crescere col film, giorno per giorno”, dice Mereu) e questo per paradosso dà forza a una struttura narrativa che, al contrario, dopo il montaggio, di cronologico ha ben poco: vediamo quasi sempre prima ciò che accade dopo e viceversa. C’è una certa commedia all’italiana, c’è la lezione alleggerita di Ciprì e Maresco, c’è il tentativo di recuperare una certa ariosità da nouvelle vague metropolitana (le scene su e giù per la città) e soprattutto – nei momenti migliori del film – la felicità dei personaggi non diventa favola. Ottimo esempio di cinema regionale profondamente calato nelle proprie origini territoriali, ma non per questo succube di compromessi o tattiche di mercato.
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