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CARBONIA FILM FESTIVAL

‘Le bambine’: intervista a Valentina e Nicole Bertani, e Tatiana Lepore

Nell'ambito del Carbonia Film Festival 2025, le sorelle Bertani e Tatiana Lepore, interprete e acting coach del film, raccontano la creazione, il casting e il lavoro con le giovani interpreti

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Le bambine

Valentina e Nicole Bertani hanno un background comune: sono cresciute guardando gli stessi film, leggendo gli stessi libri e prendendosi cura degli stessi animali domestici, essendo sorelle con soli 15 mesi di differenza. Quando, contro la loro volontà, hanno dovuto crescere, Valentina si è dedicata completamente alla regia, dirigendo commercials e video musicali prima di girare il documentario La timidezza delle chiome. Il film, uscito in sala nel 2023 con I Wonder Pictures, ha partecipato alla 79ª edizione della Mostra d’arte cinematografica di Venezia (Giornate degli Autori, Notti Veneziane), è stato in cinquina ai David di Donatello e ha vinto il premio speciale Valentina Pedicini ai Nastri d’Argento prima di essere distribuito nel Regno Unito dalla BBC e nelle sale statunitensi da Chapter Two Films.

Nicole ha studiato art direction e grafica tra Milano e Londra (Central Saint Martin). È direttore creativo freelance, grafica e regista: spazia dal cartaceo al digitale e collabora come freelance con gruppi editoriali (stampa e digital) e brand. Dopo molti lavori realizzati insieme in ruoli diversi, Valentina e Nicole hanno deciso di realizzare il loro primo lungometraggio di finzione in coregia. È nato così Le bambine, il primo film de Le sorelle Bertani e unico lungometraggio italiano in concorso internazionale alla 78ª edizione del Locarno Film Festival.

Il film è stato presentato al Carbonia Film Festival 2025, dove ha ricevuto una Menzione Speciale dai ragazzi e dalle ragazze del programma Carbonia Cinema Giovani, in partnership con UCCA, “per essere riuscito a raccontare la fase delicata del passaggio dall’infanzia all’adolescenza con gli occhi delle protagoniste, testimoni delle contraddizioni del mondo degli adulti. Un film coraggioso che sa osare nei temi e nella tecnica cinematografica, portando lo spettatore all’interno dell’universo delle bambine”. L’intervista a Valentina e Nicole Bertani, registe del film, e Tatiana Lepore, interprete e acting coach, è stata realizzata al Carbonia Film Festival 2025.

Le bambine

Foto scattate dalle bambine nel backstage con le Fujifilm QuickSnap monouso in pellicola, gentilmente fornite dalle registe.

Come nasce l’idea del film?

Nicole Bertani: Il film nasce da un’idea che ha avuto Valentina, cioè raccontare l’incontro che abbiamo avuto nel 1997 con quella che è ancora oggi la nostra migliore amica. Vale ha buttato giù dieci righe, e poi sono stata coinvolta anch’io: abbiamo iniziato a parlarne. Come dice sempre Vale, le mancava il controcampo della sua infanzia, quindi ha iniziato a chiamarmi, a chiedermi come ricordassi io certi avvenimenti, se le nostre memorie coincidessero… Da lì abbiamo iniziato a confrontarci tra noi due e così è nata la nostra collaborazione, che poi ha portato alla realizzazione di Le bambine.

Valentina Bertani: Sì, poi la nostra sceneggiatrice, Maria Sole Limodio, è stata coinvolta successivamente. Le abbiamo proposto di raccontare questa storia insieme a noi e lei ha voluto fare delle call non solo con noi, ma anche con la terza “bambina” del film, la nostra migliore amica. Abbiamo fatto lunghissime call in cui ci raccontavamo l’infanzia, e anche la nostra sceneggiatrice raccontava la sua: essendo di Salerno, aveva un background molto diverso dal nostro. Questo lavoro ci ha permesso di trasformare una storia personale in qualcosa di più universale, che potesse essere fruibile cinematograficamente.

Come siete riuscite a trovare le interpreti straordinarie che sono le bambine? Come le avete selezionate?

NB: Per quanto riguarda le bambine, abbiamo fatto una ricerca molto ampia: abbiamo visto più di 600 bimbe tramite self tape. Abbiamo fatto anche una open call, quindi abbiamo aperto il casting ai teatri e alle scuole più piccole.

VB: Le abbiamo cercate un po’ dappertutto perché sapevamo che non avremmo scelto bambine d’agenzia con esperienze pregresse, anche perché io venivo da un lavoro precedente, La timidezza delle chiome, nato da un incontro casuale con i due gemelli protagonisti [che hanno un ruolo anche in Le bambine]. A noi piace anche lavorare con persone senza esperienza attoriale, soprattutto se si tratta di bambini.

Tatiana Lepore: Con le bambine è stato fenomenale, per me che ero acting coach del film. Anche la nostra collaborazione è nata tramite ricerca: loro cercano davvero, io posso confermarlo. E lo stesso vale per il casting delle bambine: è stato un lavoro accurato, non come si fa di solito. In questo film non si è fatto quasi mai “come si fa di solito”, e questo, secondo me, è un valore aggiunto, perché rende le scelte autentiche e originali. Se cerchi una bambina in un’agenzia, ottieni un tipo di persona; se vai paese per paese, teatro per teatro, scuola per scuola, ottieni tutt’altro. E loro hanno fatto la seconda cosa.

VB: Insieme alle nostre casting director, Valentina Materiali e Alessia Tonellotto, abbiamo fatto una vera call to action sui social, chiedendo ai genitori di candidare le proprie figlie, compatibili con le descrizioni delle nostre protagoniste, nel caso in cui lo avessero desiderato. Tra le 600 si è candidata Mia Ferricelli, che è la nostra Linda. Nel primo self tape ci ha raccontato tutte le finestre di casa: sembrava un misto tra un ferramenta e un architetto improvvisato, spiegava come si aprono i vasistas.

NB: Non si vedeva neanche in faccia! Però ha voluto farlo in autonomia, senza l’aiuto dei genitori, e questo è stato il risultato.

VB: I genitori ci hanno detto: “Non sappiamo cosa abbia fatto Mia, ha registrato da sola”. Quella voglia di indipendenza, di emancipazione rispetto ai genitori pur avendo otto anni, ci aveva intrigato sin da subito. Quando abbiamo chiesto di rifare il self tape, Mia ha detto: “Non so perché mi abbiate chiesto di rifarlo, però va bene, se devo lo rifarò”. E lì abbiamo capito che era lei.

NB: Per quanto riguarda Agnese Scazza, la nostra Azzurra, è arrivata al casting dicendo: “Io sono Azzurra e non c’è un’altra Azzurra se non me stessa”, e così abbiamo capito subito che era lei. Petra [Petra Scheggia], invece, ha una storia divertente.

VB: Al Q&A del documentario sui gemelli [Benjamin e Joshua Israel, La timidezza delle chiome] al cinema Beltrade, ha rotto il ghiaccio facendo le domande più improbabili. In un pubblico di adulti, alzava continuamente la mano. Poi, fuori dalla sala, mi ha chiesto: “Io ho una curiosità… ti volevo chiedere: io adesso ho il saggio di scuola, però non è la stessa cosa, come si fa a fare un film da protagonista come hanno fatto loro?” – indicando i gemelli. Ho mandato una foto della bambina a Nicole e a Maria Sole Limodio dicendo: “Forse noi abbiamo la risposta per lei”. Così, tra 600 bambine, abbiamo scelto lei.

TL: Lei racconta sempre che, il primo anno dei provini, non era pronta. Come succede spesso in questa fascia d’età, la preparazione per un film richiede molta ricerca e tempo. Racconta: “La prima volta che ho fatto il provino non ero assolutamente pronta, non ho studiato, insomma ho fatto un po’ schifo, quindi giustamente non mi hanno scelta. Poi sono tornata l’anno dopo, ed ero pronta”.

VB: È vero. Abbiamo fatto due fasi di casting e nella prima Petra non ricordava le battute, non si era preparata né impegnata. Era piccolina, ma ci piaceva tantissimo come personalità e come estetica. A livello attoriale, però, era ancora acerba.

TL: Era troppo piccola per la sua stessa voglia di spaccare tutto, di essere anarchica e di non rispettare le regole.

VB: Io devo dire che Petra ha avuto un percorso di crescita personale incredibile, suppongo anche grazie al nostro film. All’inizio non riusciva a stare ferma: faceva la ruota mentre parlavamo, la verticale, distraeva le altre bambine. Poi, grazie alla recitazione e alle battute da ricordare, ha imparato dei metodi insieme a Tatiana che l’hanno aiutata a diventare equilibrata e concentrata.

NB: Tra l’altro, è un’esperienza che Petra porta anche sul palco durante i Q&A. Racconta sempre: “Prima non ero pronta, poi mi son preparata, ho studiato e ce l’ho fatta”. Porta la sua esperienza al pubblico, vuole raccontare di essersela guadagnata.

Le bambine

Foto scattate dalle bambine nel backstage con le Fujifilm QuickSnap monouso in pellicola, gentilmente fornite dalle registe.

I personaggi adulti – il maritozzo, la vicina di casa – sono rappresentati in modo stilizzato e quasi caricaturale. Questo riflette il punto di vista delle bambine o è una scelta vostra da adulte?

VB: La realtà è raccontata dal punto di vista delle bambine. Nel nostro film abbiamo cercato di non mostrarle mai come le vedrebbero gli adulti, ma di metterci alla loro pari. In realtà non è stato difficile, perché non siamo proprio le persone più mature che conosca…

NB: Sì, siamo mature, ma ci piace giocare. Quindi anche il set diventa un’occasione di gioco: nonostante la nostra età, restiamo in qualche modo bambine.

TL: Molti attori conservano la capacità di essere bambini anche in età adulta, è un grande inno alla recitazione. Per quanto riguarda l’aspetto caricaturale, chiunque di noi si comporta in modo esagerato in certe situazioni paradossali. Le registe hanno avuto il coraggio di mettere il focus su situazioni paradossali, ma non gratuitamente, perché queste situazioni sono coerenti con la storia. Per fare questo servivano attori in grado di compiere quel salto, di giocare e di essere bambini anche in età adulta.

VB: Sì, e poi il modo in cui sono scritte le battute degli adulti è proprio come se fossero ascoltate dalle bambine. La vicina, ad esempio, è molto ridondante, ripete sempre le stesse cose ed è noiosa; il maritozzo mangia sempre; l’amico uno, l’amico due l’amico tre hanno tutti lo stesso outfit, sono sempre vestiti uguali.

NB: Proprio perché agli occhi delle bambine sono tutti uguali, non ci sono molte differenze tra loro. Linda lo dice in una delle sue battute: “Mamma ha tanti amici, ma per me sono tutti uguali”. Per questo abbiamo deciso di usare lo stesso costume per tutti e tre gli attori.

VB: Anche se è un dettaglio che passa un po’ subliminale al pubblico. Ad esempio, il papà ha la camicia identificativa con la “P”. Ci sono molte altre piccole cose subliminali, come quando Marta cerca la via per tornare a casa fuori dalla discoteca e dice alle altre: “Ecco, l’ho visto. Quello è il ciarro!” – dove “il ciarro” fa riferimento alla marca El Charro, e mentre camminano, le stelle nel cielo compongono la scritta al posto della costellazione. Quindi non sono solo i personaggi, ma anche il mondo a essere guardato dal punto di vista delle bambine.

NB: Quel mondo anni ‘90 era saturo, pieno di loghi, e quindi anche i riferimenti visivi erano molto presenti.

Come avete lavorato per ricostruire il 1997? L’abbigliamento, gli arredi e gli accessori nell’insieme rendono molto bene quel periodo. Come siete riuscite a trasmettere alle interpreti bambine un mondo che a loro è sconosciuto?

NB: Siamo partite da una ricerca enorme, infinita. Abbiamo creato un moodboard che poi abbiamo condiviso con tutti i reparti. La particolarità è che era completamente analogico, cartaceo, poi digitalizzato; non c’è nulla che non sia coerente con il periodo storico. Abbiamo fatto ricerca sui costumi partendo dalle riviste dell’epoca come Tutto Musica e riviste per bambini.

VB: Per gli outfit delle bambine abbiamo lavorato proprio sugli anni ’90, concentrandoci su abiti nuovi per l’epoca, dal ‘95 al’ 97. Per gli adulti, invece, abbiamo fatto qualche salto all’indietro, ipotizzando che potessero avere capi acquistati in precedenza: per questo risultano più ibridi.

TL: Per quanto riguarda il passaggio di tutte queste informazioni alle bambine, è stato molto fluido. Trasformarsi in qualcosa che non conosci ma che puoi immaginare è molto più semplice per un bambino che per un adulto. Per loro i colori, i vestiti, le stelline, le pettinature erano la parte più facile, più bella, più entusiasmante.

NB: Sì, e poi sul set abbiamo giocato molto. Durante le riprese abbiamo dato loro delle macchinette fotografiche analogiche: hanno scattato loro stesse il backstage in pellicola. All’inizio chiedevano: “Come si fa?” “Dov’è l’immagine?” “Dov’è lo scatto?
È stato divertente, anche nella fase di coaching: portavamo loro le riviste dell’epoca da sfogliare, è stato buffo.

VB: Per gli outfit abbiamo usato anche veri capi che erano nostri da bambine. Per esempio, l’abito di Marta alla festa, vestita da bomboniera…

NB: …è il mio abito della comunione, tanto odiato, rispolverato dall’armadio della nonna, che lo teneva come una reliquia sacra. Eva invece indossa i pantaloni di Fiorucci anni Sessanta di nostra madre, ripescati dagli armadi. Abbiamo inserito tantissimi capi originali come i bomber.

VB: Come la maglietta de Le Scimmie, un locale storico di Milano, famosissimo negli anni ’90.

NB: Negli anni ‘90 si collezionava di tutto – vestiti, riviste, accessori. Abbiamo trovato anche dei veri e propri accumulatori su Vinted: molti costumi arrivano da lì, da quegli armadi.

VB: Per la scenografia abbiamo lavorato con una scenografa veramente competente e talentosa, Luisa Iemma, che ci ha aiutate a costruire quell’immaginario. Mentre per i costumi potevamo attingere ai nostri armadi, per le scenografie serviva una precisione maggiore: bisognava proprio studiare l’epoca, reperire i pezzi giusti, e dare personalità differenti alle case. La vicina, per esempio, non poteva avere una casa uguale a quella delle bambine, Marta e Azzurra, così come Eva e Linda non potevano avere una casa simile alle altre, perché sono personalità diverse, con background diversi.

La nonna invece è un altro mondo ancora: vive in Svizzera, quindi ha un gusto completamente diverso, e poi, essendo più anziana, ha più epoche alle spalle. Sulla casa in Svizzera c’è un aneddoto divertente: l’ho trovata su un annuncio immobiliare! Stavamo cercando dove poter girare, sono entrata in un’agenzia in Svizzera, ho visto questa casa in vendita e abbiamo detto alla location manager che volevamo fare un sopralluogo… e così è andata.

NB: Abbiamo lavorato anche con le palette colore: ogni bimba aveva i suoi colori di riferimento, un po’ come le supereroine degni anni ‘90 – Sailor Moon, Occhi di gatto – con le loro divise. C’era la rosa, la blu, la verde… E lo stesso vale per gli adulti. La vicina ha sempre dettagli ricamati, fiorellini, e veste la figlia allo stesso modo. La mamma, invece, nella prima parte del film in cui lei lavora ancora come infermiera, indossa colori molto soft, pastello. Quando cambia lavoro e decide di diventare artista [doll maker] i suoi abiti richiamano i suoi sentimenti: più righe, più stampe. C’è proprio uno switch estetico.

Le bambine

Foto scattate dalle bambine nel backstage con le Fujifilm QuickSnap monouso in pellicola, gentilmente fornite dalle registe.

C’è una dimensione magica molto presente: la “telepatia” tra Linda e sua madre l’ho interpretata come il simbolo del fatto che Linda, anche se è molto giovane, si sente responsabile per sua madre.

NB: Esatto, è corretto, è un po’ un ruolo invertito. Alle mamme e alle neomamme capita di percepire dei segnali dai loro figli; allo stesso modo, Linda, che accudisce sua madre, sente come una sensazione dentro di sé quando sua madre ha bisogno di lei.

VB: E viene anche dall’esperienza personale. La nostra migliore amica, quando eravamo bambine, riusciva a sentire sempre quando sua madre arrivava, mentre nessuno di noi sentiva l’auto, compresa nostra madre, che si accorgeva che era arrivata la mamma della nostra amica, quella interpretata da Eva, perché la bambina si metteva in uno stato di allerta, di ascolto. Non abbiamo mai capito come facesse, diceva: “Non lo so, io l’ho sentita”. E poi arrivava davvero.

Poi, le zanzare – che danno il titolo internazionale al film (Mosquitoes) – cosa rappresentano? Solo una realtà oggettiva o anche un simbolo?

NB: Entrambe. Sono sicuramente una realtà oggettiva del Mantovano e della città in cui siamo cresciute, ma anche nel Ferrarese, dove è ambientata la storia. Allo stesso tempo hanno un significato simbolico perché le zanzare sono come le bambine: fastidiose, pungenti, sono ovunque e le vorresti quasi schiacciare.

VB: C’è anche un parallelismo con la puntura, con l’ago, con il sangue. E poi c’è l’aspetto di essere sempre presenti e fastidiose: per la vicina, sicuramente, sono proprio delle zanzare.

Eva è magnetica e allo stesso tempo profondamente fragile, forse il personaggio emotivamente più complesso di tutto il film. Come avete lavorato su questa ambivalenza senza mai cadere nella retorica della vittima?

VB: Beh, la nostra Eva nella vita reale era un personaggio molto affascinante, una persona che ci era proibito frequentare: non potevamo andare a casa di Eva e Linda. Per noi questo ha assunto un fascino proibito, è diventato qualcosa che dovevamo assolutamente fare. Era una persona giovane, quasi infantile nel modo di esprimersi, complessa e sicuramente strana, quindi bella. Ci volevamo tanto bene.

TL: Per me Eva rappresenta una delle cose più preziose di questo film, nella scrittura del personaggio e nella sua impostazione. Secondo me sono riuscite a fare ciò che chiedi perché c’è un’assenza di giudizio: la storia, pur essendo raccontata dal punto di vista delle bambine, è filtrata da persone adulte. Loro [Valentina e Nicole Bertani] si raccontano come se fossero immature, ma in realtà sono volutamente e consapevolmente bambine, talmente mature che hanno “fatto il giro”. Questa scelta è preziosa perché permette di osservare il punto di vista del bambino: cosa fa, come agisce, senza giudicare. Io lo dico da attrice: è una cosa veramente preziosa riuscire a prendere il bambino come modello e agire astenendosi dal giudizio. Eva, secondo me, si può amare solo guardandola senza giudicarla. È strana e bella perché è strana, come dicono le bambine nella sceneggiatura.

VB: Anche perché i personaggi adulti giudicano così tanto, e le bambine sono un po’ disgustate da questo modo di guardare il mondo con giudizio.

NB: Eva e Carlino, invece, sono gli unici personaggi adulti del nostro mondo narrativo ad avere un nome, perché sono quelli che riescono davvero a comunicare con le bambine, ad avere un legame vero, un linguaggio comune, senza giudizio. Eva è uno di questi, Carlino è l’altro – e poi ci sono i gemelli, che sono gli unici altri ad avere un nome.

TL: “Puoi essere bella solo se sei strana”, dice Linda. Parla di loro, di Eva, e anche di se stessa. Quando Azzurra dice: “Eva è bella”, Linda risponde: “Sì, anche io sono bella, anche loro sono belli. Puoi essere bello solo se sei strano”. Dirlo senza retorica, secondo me, è una sfida altissima. Il senso è chiarissimo: stiamo parlando anche dei gemelli, che hanno una disabilità intellettiva, e di quella paura che possono suscitare, come in Azzurra all’inizio.

Nelle sequenze finali del film, a un certo punto c’è un cambio di formato. Qual è la sua funzione narrativa?

VB: Il cambio di formato è anticipato da alcuni oggetti che “escono dai bordi”, dalle bande. Non so se ci hai fatto caso: il Tamagotchi, le stelline, i fasci di luce in discoteca, sulla piramide… Tutti questi elementi anticipano quel momento che noi chiameremo [per evitare spoiler] un’espansione della conoscenza. Sono dei piccoli flash forward. Il formato 1:1 è un formato limitato: rappresenta lo sguardo delle bambine, che non è ancora uno sguardo pienamente consapevole sulla realtà.

NB: Non possono avere una visione totale, chiaramente, perché sono bambine.

VB: Esatto. Quello che succede dopo è, per noi, un’espansione di coscienza: come se, a un certo punto, lo sguardo si allargasse e comprendesse qualcosa di più grande, che va oltre le bande e i limiti che le bambine – ma anche noi adulti – hanno. È come se il coming of age fosse raccontato a tappe. Sulla piramide, per esempio, una delle bambine viene portata su dai gabber, forzatamente: è una crescita in cui non sei tu a salire in alto, ma qualcuno ti trascina su. Questo gesto rappresenta la crescita, i fasci di luce che si espandono oltre i bordi lo rafforzano: “Ok, sono diventata più grande, è qualcosa che avrei preferito non sapere, ma che ora so”.

Guardando Le bambine vengono in mente alcuni registi che hanno reinventato il microcosmo dei film di formazione, come Larry Clark, Harmony Korine o, più recentemente, Sean Baker. In Italia però questo è un filone quasi inesplorato: vi riconoscete in questa linea cinematografica?

VB: Sì, tantissimo. Ci piace moltissimo, sono autori che amiamo e con cui siamo cresciute. Assolutamente. Il fatto che sia un territorio inesplorato non significa che non sia esplorabile: speriamo di aver acceso una pila in un tunnel che magari era rimasto buio. Magari anche per indicare il percorso a qualche regista giovane che avrà voglia di esplorare questo linguaggio.

Nel film le bambine sono sempre accompagnate da un cane: era un dettaglio di fantasia o c’era davvero un cane nella vostra infanzia?

NB: È vero, nessuno chiede mai niente di questo cane! Ottima domanda. Il cane reale si chiamava Carlotta, ed era un alano nero enorme. I nostri genitori, tra l’altro, ce lo affidavano in modo completamente irresponsabile, perché a otto o nove anni è il cane che porta te, non il contrario.

VB: Infatti io sono stata trascinata lungo la strada… ha visto un gatto e mi ha tirata via col guinzaglio, ho ancora i segni!

NB: Era assolutamente parte della nostra famiglia. Però nel film abbiamo deciso di cambiare razza.

VB: Sì, ci sembrava così strano – e già visto – mettere in scena un alano danese in scena. Sarebbe sembrato forzato e surreale, mentre in realtà era tutto vero.

NB: E infatti questo è un film dove le cose che sembrano più assurde, tinte o forzate, sono in realtà quelle autobiografiche.

VB: Anche Carlino, il babysitter queer: noi avevamo davvero un babysitter dichiaratamente gay nel 1997.

NB: O nostra madre, che era davvero una creatrice di bambole.

VB: Ma anche la macchina sportiva di Eva – nel film è già esagerata, ma quella vera era una Lamborghini Diablo gialla.

NB: Invece, gli elementi che sembrano più “realistici” a volte sono quelli di finzione, fanno parte della sceneggiatura.

Le bambine

Foto scattate dalle bambine nel backstage con le Fujifilm QuickSnap monouso in pellicola, gentilmente fornite dalle registe.

Le bambine

  • Anno: 2025
  • Durata: 105'
  • Distribuzione: Adler Entertainment
  • Genere: Drammatico
  • Nazionalita: Italia, Svizzera, Francia
  • Regia: Valentina Bertani, Nicole Bertani