Con The Landscape and the Fury, la regista svizzera Nicole Vögele firma un documentario, in programma al PERSO, di oltre due ore che indaga il confine tra Bosnia ed Erzegovina e Croazia. Non è un semplice reportage, né un film di denuncia tradizionale: si tratta piuttosto di un saggio visivo, che utilizza la forza del paesaggio per parlare di memoria, guerra e migrazione.
La lentezza contemplativa, la fotografia ipnotica e l’uso magistrale del silenzio trasformano il film in un’esperienza densa, in grado di sfidare lo spettatore e costringerlo a sostare su ciò che di solito scivola via: la ferita del territorio, le presenze marginali, i confini che l’Europa preferisce non guardare.
Il contesto: un confine che non smette di sanguinare
L’ambientazione non è casuale: Velika Kladuša e i boschi circostanti sono terre segnate dalla guerra degli anni Novanta. Le mine inesplose, i ruderi e le tracce belliche convivono oggi con la nuova “guerra invisibile” della migrazione.
Vögele sceglie di filmare questo spazio come un campo di tensione. Da un lato gli abitanti locali, ancora segnati da memorie traumatiche; dall’altro i migranti contemporanei, che cercano di attraversare i boschi per raggiungere l’Unione Europea, spesso respinti e costretti a riprovare. Attorno a loro, i deminatori che bonificano il terreno e le autorità che impongono limiti.
Il film mostra così un confine stratificato, in cui il passato e il presente si intrecciano senza soluzione di continuità.
Struttura e ritmo: il tempo delle stagioni
Il documentario è suddiviso in capitoli stagionali. L’autunno, l’inverno, la primavera e l’estate diventano scansioni naturali di un racconto che non procede linearmente, ma si ripete e si rigenera. Il tempo non è quello dell’azione, ma quello della sedimentazione.
Un ritmo contemplativo
Vögele indugia sui dettagli, lascia respirare il paesaggio, restituisce lentezza. È una scelta rischiosa, che può scoraggiare chi cerca ritmo narrativo. Tuttavia, per chi accetta la sospensione, il film diventa un’esperienza immersiva, un invito a osservare e ascoltare più che a “capire” immediatamente.
Il paesaggio come protagonista
Il vero attore principale è il paesaggio. Boschi, colline, ruderi e nebbie non fanno da sfondo: parlano, testimoniano, custodiscono la memoria. Il territorio diventa coscienza visiva, spazio in cui il tempo si stratifica.
Dettagli e simboli
Oggetti abbandonati, scarpe, fotografie o resti di edifici emergono come frammenti di un passato che resiste. La natura, che lentamente ricopre le ferite, non riesce a cancellarle del tutto.

La fotografia alterna panoramiche grandiose a dettagli ravvicinati, creando una tensione costante tra la vastità del paesaggio e la fragilità delle tracce umane.
Suono e silenzio: un linguaggio invisibile
Il silenzio domina il film, diventando un elemento narrativo a sé. Non è assenza, ma presenza latente: il vento, i passi, i rumori ambientali sostituiscono la parola, dando voce a ciò che resta taciuto.
Il sound design costruisce un paesaggio acustico minuzioso, in cui i rumori naturali diventano protagonisti. La musica compare raramente, come epifania: le tracce elettroniche di Alva Noto sottolineano solo momenti cruciali, lasciando che sia la realtà a parlare.
Temi centrali: memoria, migrazione, frontiera
Il film insiste sulla memoria come traccia: la guerra degli anni Novanta non è un capitolo chiuso, ma una presenza che affiora in oggetti, paesaggi, volti. La memoria non è racconto lineare, ma sedimentazione.

I migranti che attraversano il territorio vivono una nuova forma di conflitto. Il loro percorso, chiamato “the Game”, è fatto di respingimenti, tentativi, sofferenza. Le loro esperienze risuonano come eco delle fughe di trent’anni fa, stabilendo una continuità inquietante tra le guerre del passato e quelle odierne.
Il confine tra Croazia e Bosnia non è solo linea politica, ma spazio di tensione esistenziale. Se per la geografia è un limite, per il paesaggio e le stagioni è un concetto irrilevante: la natura attraversa le frontiere, dissolvendo la rigidità della politica.
Punti di forza e limiti
Cosa funziona
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La fotografia poetica e il paesaggio come protagonista assoluto.
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L’approccio rispettoso e mai invadente nei confronti dei soggetti umani.
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La capacità di fondere passato e presente, memoria e attualità.
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L’uso del silenzio come strumento narrativo.
Le criticità
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La durata imponente e il ritmo contemplativo possono risultare ostici.
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L’assenza di contesto esplicito lascia alcuni spettatori disorientati.
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Il rischio di lirismo eccessivo, che talvolta allontana dal dato concreto.
Conclusione: un film necessario
The Landscape and the Fury è un’opera che richiede pazienza, attenzione, disponibilità alla lentezza. Non si offre come documentario didascalico, ma come esperienza visiva e sonora che interroga lo spettatore.
Il film ha il merito di far emergere ciò che normalmente resta invisibile: le ferite del passato, i corpi in movimento, i confini che dividono. È un’opera che non denuncia gridando, ma mostrando; non accusa direttamente, ma lascia che siano le immagini e i silenzi a parlare.
In un panorama cinematografico spesso dominato dall’urgenza del racconto e dall’accelerazione, l’opera di Nicole Vögele rappresenta una sfida: un invito a fermarsi, a osservare, a riconoscere la complessità.
È un film che non tutti sapranno accogliere, ma che per chi vi si abbandona diventa un’esperienza rara, capace di coniugare estetica e politica, poesia e realtà.