‘Gen V’: la seconda stagione tra lutto, segreti e nuove forme di potere
La seconda stagione dello spin-off di The Boys si tinge di tinte oscure e introduce un nuovo preside manipolatore che trasforma la Godolkin in un campo di battaglia emotivo e politico.
C’è chi all’università ha trovato l’amore, chi ha scoperto il cinema d’autore, chi si è ubriacato. Poi c’è chi, come gli studenti della Godolkin University, deve fare i conti con rettori psicopatici, complotti militari e compagni di corso che possono ridurti in polvere con un colpo di tosse. La seconda stagione di Gen V, bella novità del catalogo Prime Video di settembre, conferma che questo spin-off non è un passatempo leggero tra una stagione e l’altra di The Boys. È un pezzo fondamentale dell’universo narrativo, ed è spietato nel raccontare cosa significa crescere quando tutto intorno a te è corrotto. Se la prima stagione aveva conquistato per la sua freschezza e la critica sociale pungente, la nuova approfondisce temi più complessi, mantenendo intatta l’irriverenza che ha reso celebre l’universo di The Boys.
Non più un teen drama, ma una guerra aperta
La seconda stagione riparte dagli eventi conclusivi del primo capitolo. Gli studenti della Godolkin University, che nella prima serie avevano vissuto rivolte, tradimenti e difficili conflitti, adesso devono fare i conti con le conseguenze delle proprie azioni e con perdite che lasciano segni profondi. Una su tutte, quella di Andre Anderson, morto fuori scena, durante un tentativo di fuga dal centro di detenzione Elmira, sacrificandosi con il suo potere. Questo evento diventa un punto di rottura emotivo fondamentale nella nuova stagione.
Marie è uno dei personaggi più segnati da questa vicenda. Si scopre che è riuscita a liberarsi, ma lo shock per la perdita di un amico, le tensioni con gli altri e il senso di colpa, diventano parti centrali della sua evoluzione. Emma, Jordan, Sam, Cate tornano, invece, alla Godolkin University, e scoprono un ambiente ormai cambiato, dove la pressione istituzionale è diventata sempre più opprimente. A questo si aggiunge l’arrivo del nuovo preside, Dean Cipher, che porta con sé nuove idee, programmi più severi, e un progetto segreto che affonda le sue radici nella storia dell’università. Cipher non è solo una figura accademica, ma un simbolo dei sistemi che vogliono plasmare, controllare e sfruttare.
C’è un momento preciso in cui ci accorgiamo che Gen V non è più “solo” lo spin-off giovane e irriverente di The Boys. Accade nella seconda stagione, quando la Godolkin University si rivela per quello che è davvero: un laboratorio di potere, di manipolazione, di ambizioni politiche mascherate da formazione accademica. É diventata un’arena, in cui il confine tra disciplina e autoritarismo è sempre più sottile. Firmare questa svolta il nuovo preside, l’ambiguo e magnetico Dean Cipher (Hamish Linklater), che con il suo sorriso freddo introduce regole ferree e un misterioso programma segreto.
Il fantasma di Andre
La nuova stagione riesce ad affrontare con coraggio anche il vuoto lasciato da Andre Anderson (Chance Perdomo), personaggio centrale nella prima stagione. Con la morte prematura del suo interprete, Chance Perdomo, gli sceneggiatori hanno scelto di non cancellare il personaggio e hanno trasformato la sua assenza in una ferita che plasma il gruppo. Non è un artificio narrativo ma una cicatrice viva. Conferisce autenticità alla storia: la perdita diventa non solo un espediente drammaturgico ma parte del tessuto emotivo.
La scrittura della seconda stagione è più matura e intensa della prima. E se da un lato la serie perde parte della sua carica satirica, dall’altro compensa con una narrazione più profonda e personaggi più sfaccettati. Il cattivo Cipher emerge come una figura inquietante, mentre le dinamiche tra i protagonisti esplorano temi di resistenza e identità in un contesto di crescente oppressione. La seconda stagione di Gen V trova una sua voce più definita.
Mentre la prima stagione era più adolescenziale, la seconda si muove verso un territorio più maturo, più cupo, più politico. Il Progetto Odessa, nucleo narrativo della nuova stagione, non è solo un segreto militare, ma un dispositivo simbolico: cosa accade quando la gioventù, con tutta la sua vulnerabilità, viene piegata agli interessi di un sistema che vede nei “supes” non persone, ma armi? È questa la domanda che attraversa gli episodi, sporcando di inquietudine anche i momenti più spettacolari.
Luci e ombre
La forza della serie sta nei suoi personaggi che sembrano scolpiti nello spazio come statue vive. Crescono, si incrinano, mostrano tutta la loro fragilità senza perdere l’ironia che li contraddistingue. E anche se qualche episodio ha un ritmo più lento, il bilanciamento tra satira, intrattenimento e introspezione rimane ben calibrato e vincente.
I movimenti della camera, spesso audaci, accompagnano i sentimenti dei protagonisti, oscillando tra l’angoscia e la sublime ironia che pervade ogni scena. La luce diventa una pennellata emotiva: ombre e riflessi che tracciano dolore, rabbia e desiderio. Ed è proprio grazie a questo che la serie si eleva diventando un vero e proprio esperimento di scrittura visiva, dove il ritmo frenetico della trama non impedisce mai al pubblico di respirare l’anima dei personaggi.
Nonostante un inizio più lento e un tono più serio, la stagione riesce a mantenere alta la tensione, con episodi che culminano in momenti di grande impatto emotivo.