Werner Herzog è stato il regista dei mondi visivi e narrativi più estremi. La natura selvaggia, ostile e primordiale è spesso protagonista delle sue opere, come una specie di riflesso dell’animo umano, un paesaggio interiore della mente. I suoi protagonisti sono persone fuori degli schemi, fuori dal mondo, spesso sognatori lanciati in imprese al limite della follia. Dividendosi tra fiction e documentari, fondendoli con il suo stile inconfondibile, Werner Herzog ha girato opere memorabili come Aguirre, furore di Dio (1972), L’enigma di Kaspar Hauser (1974), Fitzcarraldo (1982), L’ignoto spazio profondo (2005), Fata Morgana (1971), Apocalisse nel deserto (1992), Grizzly Man (2005).
Alla 82a Mostra del Cinema di Venezia, Werner Herzog ha ricevuto il Leone d’oro alla carriera, presentando il suo ultimo lavoro, Ghost Elephants. Lo abbiamo incontrato in un’affollatissima masterclass in cui ci ha parlato della sua idea di cinema.

Werner Herzog
Dove trova maggiore ispirazione per il suo cinema?
Nella lettura. Se non si legge non si avrà mai una vera profondità. Nei libri si trovano storie, ispirazioni fondamentali. Ho scritto qualche libro anch’io, sul cinema, come Werner Herzog: A Guide for the Perplexed, che contiene oltre 500 pagine di conversazioni con Paul Cronin sulle riprese dei miei film, gli ostacoli, i problemi, su cosa un regista deve tenere d’occhio. E anche Conquest of the Useless, che è molto di più, uno dei miei sogni febbrili.
Come sceglie cosa filmare?
Se fai film, devi avere un’energia criminale, sempre al limite. Se non ce l’hai, non iniziare a fare film. Questo è un punto chiave. Non sopporto le storie prefabbricate. Vai in un posto che non hai mai visto prima, un’isola o la giungla peruviana o la campagna cubana. Scegli un territorio nuovo e inventa una storia, che sia per un documentario, una poesia o un lungometraggio di finzione. Inizia all’istante, non si hanno due anni e mezzo di tempo per girare 600 ore di pellicola. I miei ultimi film sono piuttosto brevi. Porto sempre con me una piccola videocamera, per il montaggio basta anche un computer. E tutti intorno a me devono dare il massimo, in maniera incessante. Bisogna avere coraggio e una visione.
Cosa la attira ancora del cinema?
Esplorare nuove forme, ricercare nuovi orizzonti dell’immagine, una nuova grammatica.
Che consigli darebbe a un giovane regista?
Di fare squadra con gente della stessa generazione. A Hollywood vediamo molto spesso giovani registi che cercano produttori esecutivi famosi, magari con tanto di Oscar: ma è tutta gente anziana, sfinita. Non hanno più niente da dire. Trovate i vostri coetanei. E spostatevi dove ci sono le vere storie. È lì che appartieni come filmmaker. È questo che affina i tuoi sensi. E viaggiare a piedi. Perché il mondo si rivela a chi viaggia a piedi. Questo vi renderà più regista che frequentare una scuola di cinema.
La natura è sempre stata un elemento molto presente nel suo cinema, quanto lo è nella sua vita quotidiana?
Non c’è mai una noiosità quotidiana nella mia vita. Dedicarsi al cinema comporta sempre sfide diverse. Come si sposta una nave su una montagna? Come si ipnotizza un intero cast di attori e si gira un film con loro? Come si va in Antartide a girare? Ogni giorno di lavoro è nuovo e senza precedenti per me. Un giorno di normale quotidianità è quando sono a casa. Ho un posto piccolo, molto bello, dove vivo con mia moglie. Stiamo insieme da quasi trent’anni. Mi piace cucinare, qualche volta, mi piace nuotare e leggere. Abbiamo due gattini. Quando soffro, uno dei gatti lo percepisce, si sistema sul mio petto, mi guarda e fa le fusa per ore. È una cosa meravigliosa avere un gatto che sembra capirti. Non sappiamo cosa pensino e cosa succeda dentro di loro, ma è bello connettersi con gli animali. Un’altra cosa importante è avere bambini nel quartiere. Abbiamo vissuto a San Francisco per alcuni anni. Era un enorme palazzo di appartamenti su una collina vicino al centro. Circa quattrocento appartamenti, tutti per pensionati o giovani coppie benestanti. Per un anno e mezzo mi sono chiesto: ma dove sono i bambini? Non ne vedevo mai. Un giorno ho chiesto ai due portinai e mi dissero che non c’era un solo bambino. Decidemmo che dovevamo trasferirci da un posto così.

Bucking Fastard
Mediamente, quanto girato realizza per un suo film?
Quando sento che qualcuno ha 650 ore di girato, il mio cuore affonda immediatamente. Significa non sapere cosa si sta facendo. Per esempio, nel mio ultimo lungometraggio, che ho appena finito di girare e montare, Bucking Fastard, ho fatto pochissimi ciak, quasi nessuno di copertura. Riprendo solo ciò di cui ho bisogno. Sono sempre stato abituato a girare molto poco perché vengo dall’era della celluloide. La pellicola 35mm era molto costosa. Ogni singolo secondo ti costava fino a 5 dollari di materiale grezzo, tra stampe di laboratorio e cose così. Bisogna fare attenzione al proprio tempo. Il più folle di tutti gli esempi è un lungometraggio che ho girato di recente, in Giappone, in una lingua che non parlo, Family Romance, LLC (2019). Il team era composto da un uomo solo, io. Mia moglie è venuta in una delle due settimane di riprese e mio figlio mi ha aiutato con il suono. Ma io stesso ero il direttore della fotografia e ho pagato tutto di tasca mia. Il mio dipartimento trasporti era la metropolitana di Tokyo. Per quanto riguarda il settore costumi, ho chiesto a tutti i miei attori d’inviarmi foto di dieci dei loro vestiti preferiti. E dicevo loro: per favore, domani venite con il vestito numero due. Il film è stato realizzato con, letteralmente, zero soldi. E, poiché giravo senza permessi in aree di vigilanza rafforzata, come il treno proiettile ad alta velocità, ho provato la scena con gli attori, poi siamo scesi e abbiamo aspettato, con la mia piccola telecamera, fino all’arrivo del treno. Era una scena molto difficile che potevamo girare solo una volta, avevamo 60 secondi. Il treno si ferma e poi parte. Dopo 30 secondi, i primi agenti di sicurezza vengono di corsa verso di me, ma non mi hanno attaccato, perché ho abbassato la mia telecamerina. C’è un trucco: non stabilire mai un contatto visivo. Devi camminare. Devi essere audace. Se sei da solo, verrai arrestato. Ma se siete sei o sette, la polizia aspetterà a fare il primo passo. Sono cose che non si imparano nelle scuole di cinema.
Nel suo cinema ci sono solo storie o anche messaggi che vuole trasmettere?
Se mi concentrassi sul messaggio, sarei un messaggero, ma non lo sono, sono un narratore. Cerco, però, di trovare qualcosa di più profondo, qualcosa di trascendente, nelle mie storie, qualcosa che esprima poesia. Ghost Elephants non mostra semplicemente elefanti, ma mostra un sogno di elefanti. Elefanti sott’acqua, così incredibilmente strani e belli, difficili da dimenticare. È questo ciò che il pubblico ricorda per sempre. Potrebbero non ricordare molto del film, ma quelle scene sì.

Ghost Elephants
Alla Mostra del Cinema di Venezia è stato premiato da Francis Ford Coppola e ha raccontato che, cinquant’anni anni fa, proprio a casa sua, progettava un film sulla storia degli Aztechi che conquistarono il Messico, senza riuscire a realizzarlo. È ancora lì?
Quando Francis Ford Coppola m’invitò a soggiornare a casa sua, stavo scrivendo Fitzcarraldo. Non avevo i soldi per un hotel e lui mi offrì casa sua per scrivere. Anni dopo, scrissi una sceneggiatura sulla conquista del Messico vista dalla prospettiva degli Aztechi. Francis ne era affascinato, ma era un progetto molto molto costoso, si rivelò che non poteva essere finanziato. Va bene, mi dissi, non passerò notti insonni per questo. Invece di aspettare vent’anni per spingere questo progetto, avvicinare finanziatori e cercare di convincere un’industria che non risponde a qualcuno che non abbia avuto un gigantesco successo finanziario prima, sono andato avanti. Invece di elemosinare soldi per vent’anni, ho realizzato 28 film e scritto sette libri, diretto cinque opere teatrali e recitato in altri cinque film. Poi, se il mio prossimo film incassasse 350 milioni di dollari negli Stati Uniti, avrò gli Studios a fare la fila fino a quando non concederò loro qualcosa di grande da fare. Non mi è mai successo e non credo che mai accadrà nella mia vita.
Oggi è più facile o più difficile, rispetto al passato, realizzare un film?
Rispetto ai costi del 35 millimetri in pellicola con cui ho iniziato, oggi si può realizzare un lungometraggio documentario come Ghost Elephants, professionalmente, per meno di 10.000 euro. E si può fare un lungometraggio con attori per il cinema con meno di 50.000 dollari. Family Romance, LLC l’ho diretto da solo letteralmente senza soldi. Solo qualche volo per il Giappone. Avevo 320 minuti di girato in totale. E ne ho fatto un lungometraggio. Se avete del materiale davvero valido, una vera visione, il film verrà venduto, ne avrete una percentuale e vi ringrazieranno. Il cinema indipendente è un mito. Non esiste. Si dipende dal denaro, dai sistemi di produzione, di distribuzione, dai permessi. Ma esiste l’autosufficienza. Bisogna fare soldi in qualche modo, magari non rapinare una banca, perché di solito ti beccano, ma lavorare dove c’è la vita vera: in un mattatoio, in un manicomio, come buttafuori in un sex club. Questo ti rende un regista. Io ho fatto di tutto agli inizi della mia carriera.

Werner Herzog sul set di Family Romance, LLC
Quali sono per lei gli elementi chiave di una narrazione? Quando lavora su una sceneggiatura, crea un film, ci sono dei principi che la guidano?
Per fare una storia grande, interessante, affascinante, non c’è una regola. Altrimenti l’industria cinematografica avrebbe sempre successo. La ricetta non funziona, non funziona quasi mai. Come regista, fondamentalmente devi essere un narratore. Devi capire subito se una storia può catturare. Mi sono imbattuto nella vicenda di Grizzly Man e ho capito immediatamente che era una cosa grandiosa. Mi ci sono buttato a capofitto. Devi mettere alla prova le tue capacità di narrazione. Vai all’asilo e racconta storie a bambini di quattro anni che hanno una capacità d’attenzione di 20 secondi e sono sempre su di giri, si strappano i capelli a vicenda e urlano. Racconta loro una storia, con intensità e bellezza, che tutti ascoltino. Se ci riesci, allora sei un narratore.
In genere, quanto spazio lascia all’improvvisazione, nella regia o nella recitazione, nei suoi film?
Nei miei film, alcune parti sono molto ben organizzate, altre cose improvvisate. Non si può pianificare perfettamente tutto, ma, certo, bisogna avere un’idea generale precisa. Ci sono cose che accadono sul set e sembrano così naturali che non puoi ignorarle.
Guardando i suoi film, lei sembra un regista che non conosce il senso della paura.
Le paure bisogna vincerle. Penso aiuti anche fare sport che richiedono contatto fisico, come la boxe o il kickboxing o giocare a calcio, a rugby oppure salire su una rampa e fare il salto con gli sci. Penso che le persone fisicamente coraggiose lo siano anche mentalmente. Per quanto mi riguarda, la paura non esiste più nel mio dizionario. Come regista, è una qualità naturale che ti viene richiesta. Bisogna essere coraggiosi. E non solo fisicamente: bisogna essere coraggiosi anche per iniziare uno stile cinematografico che nessuno ha mai visto prima. Magari verrete ridicolizzati. Lasciate che ne ridano. Fatene un altro e sarà ancora meglio. Al terzo film si inginocchieranno. Può succedere, può non succedere. Ma per fare i registi bisogna avere qualità da soldati: coraggio, senso del dovere, perseveranza.

Werner Herzog sul set di Fitzcarraldo
C’è un tema che non ha ancora trattato e su cui ha sempre desiderato fare un documentario?
Al momento penso di averli trattati tutti. I documentari sono più facili da produrre perché costano meno. E puoi farli più velocemente. Non ho progetti in merito adesso.
Tornando al tema libri e lettura, quali sono gli scrittori che ama di più?
Uno dei miei titoli preferiti è Il falco pellegrino, un libro scritto negli anni ’60 da uno scrittore britannico quasi completamente sconosciuto, J. A. Baker. Osservò i falchi pellegrini in un’epoca in cui nel Regno Unito ne erano rimaste solo 14 coppie. Osserva questo piccolo angolo di mondo con una tale empatia, ma anche con un’intensità e un amore così incredibili, che quasi si trasforma in un falco. Un regista deve avere questa stessa passione per una storia, per le persone, un argomento. Ma non direi che J. A. Baker sia il mio scrittore preferito. Ho centinaia di scrittori preferiti. Ma, a chi vuole fare film, consiglio di leggere questo libro. E di leggere le Georgiche di Virgilio, per esempio, di leggere poesie. Quando inizio a scrivere una sceneggiatura, per i primi giorni leggo poesie, da tutto il mondo. E mi siedo e all’improvviso è sera e inizio a scrivere.
Prima ci ha parlato anche di diversi libri scritti da lei.
Non credo che i miei testi scritti avranno una vita più lunga dei miei film. Continuiamo a parlare del mio cinema qui, ma sono anche uno scrittore, allo stesso modo in cui sono un regista. Quando sei un regista, devi dedicarti alla scrittura e alla narrazione. Non importa cosa stai facendo, a volte raccogli solo una mezza frase che hai sentito da qualche parte. Una parola che ti risuona. All’improvviso queste cose trovano il loro posto e poi ci avventuriamo in una storia.
Come e quando decide quali saranno le musiche da utilizzare per un film?
Non c’è una regola, ma devi impegnarti molto con la musica se vuoi fare film, anche mescolando stili completamente diversi.
Su cosa sta lavorando ultimamente?
Lavoro molto, ho fatto due film, due nuovi libri, tutti in uscita quest’anno, anche in traduzione italiana, Il futuro della verità. Di recente sono state pubblicate le mie memorie, Ognuno per sé e Dio contro tutti. E poi faccio tanti workshop di cinema.

Werner Herzog