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Nessuna medaglia per la classe operaia: rivisitando ‘The Loneliness of the Long Distance Runner’

Una corsa per la gloria di nessuno nel film simbolo del British Free Cinema

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The Loneliness of the Long Distance Runner (1962) di Tony Richardson rimane una delle opere più significative del breve ma feroce Free Cinema britannico: un film che spoglia il sogno del dopoguerra del suo velo di cortesia e lo sostituisce con fango, sputi e uno sguardo spietato alla classe sociale e al controllo.

Adattato dal racconto di Alan Sillitoe, il film di Richardson racconta di un ragazzo che corre non per vincere, ma per perdere, o meglio, per vincere qualcosa di più grande rifiutandosi di giocare.

Un ragazzo, un riformatorio, un miglio di libertà

Nel profondo, la storia è dolorosamente semplice ma profondamente sovversiva. Colin Smith, interpretato con risentimento latente da Tom Courtenay, è un ragazzo della classe operaia di Nottingham che, per un piccolo furto, finisce nel Borstal, un tetro centro di detenzione minorile nella campagna inglese. Il gelido Governatore dell’istituto (Michael Redgrave) nota il talento di Colin per la corsa di lunga distanza e coglie l’occasione per ostentare le sue politiche di “riforma” all’alta società britannica.

Smith, mezzo morto di fame e tutto cinismo, si allena da solo attraverso i campi grigi, con la mente che ripercorre la sua vita di fatica, la morte del padre, l’aspra ribellione della madre e i fugaci momenti di libertà strappati con i suoi compagni. La gara finale, che Colin corre con tutta la grazia di un animale selvaggio, regala uno dei momenti culminanti più silenziosamente ribelli del cinema britannico: un ragazzo che taglia il proprio traguardo anziché il loro.

the loneliness of the long distance runner

I Giovani Arrabbiati Britannici prendono il testimone

Per comprendere l’impatto di questo film, è necessario collocarlo esattamente nel suo tempo: la Gran Bretagna dei primi anni ’60. Era l’epoca in cui i cosiddetti Giovani Arrabbiati della letteratura e del teatro invasero il cinema. John Osborne, Lindsay Anderson, Karel Reisz: tutti accomunati dal gusto di portare alla luce le verità represse della Gran Bretagna. Ambientano le loro storie non in salotti, ma in vicoli, pub, case popolari.

The Loneliness of the Long Distance Runner appartiene alla tradizione del kitchen sink che affermava, senza mezzi termini, che non c’è spazio per grandi eroismi in vite vissute a pane raffermo e sigarette prese in prestito. Il film è una presa in giro dei patriarchi panciuti e privilegiati: i governatori con le loro tenute di campagna, i presidi in tweed, i “bravi ragazzi” destinati a un futuro da “mansueti” nella City. Colin Smith, nonostante le sue asperità e le vocali tronche, porta con sé un’anima di sfida più tagliente di qualsiasi arguzia raffinata di Oxford.

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Astuzia, poliziotti e il gioco di classe

Ciò che rende Colin una figura così devastante è che, a prima vista, è esattamente ciò che l’alta società si aspetta che sia: ottuso, rozzo, una pedina facile per i loro esperimenti sociali. Ma Smith è tutt’altro che noioso. È astuto, e l’astuzia è l’unica moneta di scambio di cui si fida. In questo senso, condivide una subdola affinità con i suoi cosiddetti oppressori: i poliziotti che lo ingannano e lo costringono a confessare, il Governatore che lo sfrutta per la gloria della scuola.

Il film pulsa della consapevolezza che la sopravvivenza, per un ragazzo della classe operaia, richiede la stessa astuzia dei nobili cacciatori di volpi – solo che Colin corre attraverso il filo spinato invece che attraverso siepi ben curate.

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Meglio morire prima di vivere

E nonostante tutto, si aggrappa a un’idea che sembra desolante ma che sembra stranamente viva: meglio essere morti prima di essere vivi che essere morti dopo essere stati vivi. Questa frase provocatoria del racconto di Sillitoe è cucita nel midollo del film. Vincere la corsa per il Governatore significa, per Colin, morire dopo essere vissuto – diventare un cavallo da esposizione messo in mostra a beneficio di persone che non si sono mai sporcate le mani o le scarpe.

Perdere, in modo spettacolare e di proposito, significa rimanere vivi, anche se quella vita è brutale e limitata. Il bello della regia di Richardson è che non ci permette mai di confondere l’amarezza di Smith con il nichilismo. La corsa, la corsa senza fine, è la sua cruda dichiarazione che la libertà – anche per dieci minuti su una strada ghiacciata – vale la pena di sfidare l’intero sistema di classi britannico.

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Una sfida che respira ancora

The Loneliness of the Long Distance Runner non è solo uno spaccato di realismo sociale congelato nel tempo. È una ribellione impressa sulla celluloide – lo sputo urgente di una generazione che si rifiuta di inchinarsi.

Mezzo secolo dopo, il sorriso finale di Smith al traguardo è ancora profondo: un ragazzo, infangato e senza fiato, che sfida il mondo a raggiungerlo. E a fallire.

The Loneliness of the Long Distance Runner

  • Anno: 1962
  • Durata: 104'
  • Distribuzione: Continental Distributing
  • Genere: British drama
  • Nazionalita: Regno Unito
  • Regia: Tony Richardson
  • Data di uscita: 21-September-1962