“Don’t You (Forget About Me)” dei Simple Minds è la canzone che, più di ogni altra, evoca lo spirito di Breakfast Club (1985). Un pezzo diventato simbolo di un’epoca, grazie anche all’iconica scena finale: Judd Nelson, nei panni del bad boy John Bender, alza il pugno al cielo camminando da solo sul campo da football, orgoglioso di aver conquistato il cuore della popolare Claire, interpretata da Molly Ringwald. Un momento che è entrato nella storia del cinema, tanto che in Easy A (Easy Girl, 2010), il personaggio di Emma Stone confessa di sognare una vita da film degli anni ’80, fatta di gesti plateali e dichiarazioni sincere. Un pensiero condivisibile se si considera quanto Breakfast Club abbia davvero segnato l’immaginario di un’intera generazione.
Breakfast Club La nascita del teen movie

Scritto e diretto da John Hughes, autore che più di ogni altro ha saputo raccontare l’adolescenza americana degli anni ’80 (Sixteen Candles, Pretty in Pink, Ferris Bueller’s Day Off), Breakfast Club è considerato un cult generazionale, nonché uno dei più influenti coming-of-age movies. Girato quasi interamente all’interno della biblioteca di una scuola superiore, il film segue cinque studenti che, per motivi differenti, sono costretti a trascorrere insieme un sabato in detenzione scolastica. Il preside li tiene d’occhio e affida loro un tema dal titolo “Chi sono io?”, ma sarà il confronto tra loro a rivelare molto di più di qualsiasi compito assegnato.
Apparentemente distanti, i cinque iniziano il sabato scolastico con diffidenza e silenzi. Ma nel corso delle ore, tra scontri, risate e confessioni, cominciano a lasciar cadere le maschere. Si confrontano sui propri traumi, sulle pressioni familiari, sui ruoli sociali imposti. E scoprono che, al di là delle etichette, condividono molto più di quanto avrebbero mai immaginato. La biblioteca diventa così un laboratorio di consapevolezza e connessione, dove ognuno ha finalmente lo spazio per essere visto e ascoltato. Si tratta di uno dei primi film per adolescenti che affronta il tema del suicidio, il che per l’epoca fu una vera e propria rivoluzione.
Critica al sistema educativo e alla società degli adulti
Oltre al racconto adolescenziale, la pellicola mette in scena anche una forte critica al sistema scolastico americano degli anni ’80. Il preside, figura autoritaria e incapace di comprensione, rappresenta una generazione di adulti che esercita il proprio potere senza empatia. Hughes mette in luce l’ipocrisia di una società, spesso più preoccupata delle apparenze che dell’ascolto autentico dei propri figli. A testimoniarlo è la citazione in apertura del film tratta da “Changes” di David Bowie:
“… e questi bambini su cui sputi, mentre cercano di cambiare i loro mondi sono immuni dai tuoi consigli. Sono ben consapevoli di ciò che sta loro accadendo…”
È un film profondamente politico, che riflette le tensioni e le contraddizioni della Generazione X, i nati tra il 1965 e il 1980. Una generazione cresciuta all’ombra della Guerra Fredda, del conservatorismo reaganiano e della disillusione post-boom economico. Figli dei cosiddetti baby boomer, i protagonisti del film incarnano il senso di abbandono e incomprensione vissuto da molti adolescenti dell’epoca. La canzone è un simbolo della volontà di rompere con i modelli imposti e reinventarsi. Hughes mette in scena un conflitto generazionale profondo: adulti egoisti e distratti da una parte, ragazzi in cerca di senso e identità dall’altra. Un grido silenzioso, spesso ignorato.
Un cast che ha fatto la storia

Il successo del film si deve anche all’alchimia del suo cast, formato da giovani attori allora emergenti e poi entrati nell’immaginario collettivo come il leggendario Brat Pack, il gruppo di giovani interpreti simbolo del cinema teen anni ’80. Molly Ringwald, interpreta con delicatezza la complessa Claire. Judd Nelson dà vita a un Bender rabbioso ma profondamente umano, mentre Ally Sheedy regala una delle interpretazioni più enigmatiche nei panni di Allison, la “strana”. Anthony Michael Hall e Emilio Estevez completano il gruppo con due ruoli che rompono gli stereotipi del secchione e dell’atleta.
La forza del film sta nella sua semplicità: un solo ambiente, pochi personaggi, e dialoghi che scavano in profondità. È proprio nel confronto che emerge il vero cuore del film: la possibilità di essere ascoltati, di essere visti davvero. Di dire, senza paura, “questo sono io”.
Un’eredità che resiste
A quarant’anni dalla sua uscita, Breakfast Club resta un punto di riferimento nella rappresentazione dell’adolescenza. Nonostante il contesto sia profondamente anni ’80, i temi affrontati – l’ansia da prestazione, la pressione dei genitori, la necessità di appartenenza – sono ancora attuali. In un’epoca in cui l’identità e i ruoli sociali sono meno rigidi, il film continua a parlare a nuove generazioni di spettatori.
È un’opera che non ha paura di mostrare quanto possa essere doloroso crescere, ma che al tempo stesso celebra la forza del legame umano, la possibilità di capire l’altro oltre le apparenze. “Don’t You (Forget About Me)” non è solo un invito a ricordare quei personaggi, ma un monito a non dimenticare mai quanto, a quell’età, essere ascoltati può fare la differenza tra sentirsi soli o finalmente compresi.