Scene with my father della regista Biserka Šuran approda al Faito Doc Festival. Il film, in competizione nella sezione internazionale dei cortometraggi, vuole tracciare un percorso esistenziale, all’insegna dei ricordi e della volontà di dialogo tra due dimensioni temporali inevitabilmente connesse: presente e passato.
Scene with my father: il concetto di identità e di provenienza
Scene with my father indaga a fondo i concetti di identità e di provenienza. Il documentario ha due protagonisti: la regista nei panni della figlia, e suo padre. Si tratta di un confronto tra i due soggetti – sempre seduti uno a fianco dell’altro in una posizione di dialogo affettuoso – che è espressione di idee, pensieri, desideri e anche rimpianti.
Il film stesso sembra un viaggio realistico di tipo esistenziale davanti alla cinepresa, in cui i protagonisti s’interrogano vicendevolmente circa i quesiti e i vissuti più scomodi della loro vita, smuovendo ricordi particolarmente dolorosi perché personalmente sofferti.
È il caso del concetto di identità e provenienza: il padre della protagonista s’interroga su che cosa significhi per lui tale parola, a quale campo semantico, nella sua interiorità, faccia riferimento. E, poiché tali riflessioni partono dal proprio vissuto, sono obbligatoriamente diverse da quelle della figlia.
Per l’uomo, emigrato dall’ex Iugoslavia in Croazia, l’identità è una costruzione personale di sé, in riferimento al contesto concreto in cui si vive. Per la figlia, è tutt’altro. Biserka crede che l’identità sia qualcosa che si possa percepire, vedere, ascoltare. Non a caso è impegnata nell’arduo tentativo di filmare stati d’animo, resi ancora più complessi dalla vicinanza familiare con essi.
A metà strada, tra appartenenza e rifiuto
Per Biserka identità è anche dolore. Il vissuto della regista, che si è trasferita negli anni della formazione della sua personalità, non è sempre stato lineare.
La donna cerca di spiegare al padre quanto questo movimento di allontanamento dalla propria terra sia stato in parte traumatico, per quanto reso necessario dalle circostanze esterne sempre più minacciose, in un orizzonte di guerra.
Un clima di distensione e di confronto reale con la propria figura paterna è ciò che permette alla protagonista di esprimere quello che davvero sente e in che modo ha vissuto il suo passato. Si è sempre sentita a metà, senza essere sicura di appartenere al paese che l’ha vista nascere, e con la paura di risultare estranea in quello nel quale è arrivata.
Cinema come possibilità di riflessione e presa di cura
Scene with my father segue un viaggio di tipo esistenziale, si è detto, che dopo quarantasei minuti arriva al suo approdo finale. Se la figlia lascia domande quasi in sospeso che costellano il suo rapporto con il padre, quest’ultimo riesce a raccogliere le fila e dare a sua volta espressione a tutto ciò che negli anni è rimasto nella pericolosa penombra del “non detto”.
“Mi fai parlare dal cuore”, ammette l’uomo. Per poi suggerire alla figlia un’altra lettura della realtà, consapevole che Biserka ne farà tesoro: lei non è una metà, ma un intero. Al di sopra di concetti culturalmente costruiti come quello di identità e provenienza, conta il proprio valore interiore. E quello si costruisce da sé.
Scene with my father può essere dunque descritto come un film necessario, sebbene quest’aggettivo non sempre si riveli davvero pregnante in svariati contesti. Nel momento in cui, però, una pellicola riesce a ricordare o a insegnare che la propria unica ricchezza è quella interiore, non c’è altro aggettivo che possa definirlo meglio.