Vuoi per il fatto che è il primo mezzo di comunicazione tramite cui si pensa di chiedere aiuto in caso di pericolo, vuoi perché soltanto in tempi recenti ha cominciato a consentire di verificare i connotati dell’interlocutore con cui si intrattiene una conversazione, il telefono è stato non poche volte un fondamentale strumento da sfruttare nell’ambito di vicende da schermo a base di tensione.
Ne sono remote testimonianze uno degli episodi che costituirono I tre volti della paura (1963) di Mario Bava e l’inquietante stalkeraggio attuato nei confronti di una babysitter in Quando chiama uno sconosciuto (1979) di Fred Walton, sicuro anticipatore dello Scream (1996) con cui Wes Craven introdusse un misterioso serial killer fornito di cellulare per tormentare le proprie future vittime.
Un lungometraggio, quest’ultimo, che non può fare a meno di apparire tra i probabili ispiratori di Bedevil – Non installarla (2016), diretto dai fratelli di etnia Hmong – originari del Laos – Abel e Burlee Vang e volto a fornire una ulteriore evoluzione degli orrori cinematografici legati al telefono.
Perché è una reinvenzione del Boogeyman – o, se preferite, dell’Uomo nero – aggiornata all’epoca ultratecnologica d’inizio XXI secolo dominata dai social media quella che intendono concretizzare attraverso la oltre ora e mezza di visione incentrata su cinque adolescenti che, una volta installata una app simile a Siri, finiscono perseguitati dalla stessa, capace di farne emergere le peggiori fobie.
Non a caso, a differenza dei vari Halloween e Venerdì 13, quello che i due registi intendono quale mix tra Lei (2013) di Spike Jonze e il romanzo kinghiano It sfrutta un’ambientazione da teen horror non per tirare in ballo stermina-giovani che, come Michael Myers e Jason Voorhees, sono caratterizzati da una precisa iconografia, bensì una malefica presenza che non ha forma, ma manifesta tante fattezze quante sono le paure ancestrali coltivate nel proprio intimo dai protagonisti.
E, rimanendo nell’ambito di probabili influenze craveniane, se l’incipit del citato già classico che ci ha fatto conoscere Ghostface è palesemente richiamato dalla sequenza in cui la Alice interpretata da Saxon Sharbino prova per la prima volta l’applicazione, è facile pensare a Freddy Krueger sia quando abbiamo il Cody dal volto di Mitchell Edwards inseguito da una figura artigliata all’interno di un garage deserto, sia nel confronto finale con il male.
Senza contare il fatto che, tra apparizioni spettrali e balzi improvvisi atti a favorire uno spettacolo mirato a privilegiare l’atmosfera per evitare l’effetto gore esplicito, è la storia del Pulse (2006) scritto e prodotto proprio dal papà della serie Nightmare e rifacimento dell’omonima pellicola orientale ad essere ricordata durante quello che Koch Media rende disponibile in un blu-ray limited edition nella sua collana Midnight Factory; con finale alternativo, trailer e sedici minuti di dietro le quinte nella sezione extra.
Limited edition corredata di booklet e racchiusa in custodia amaray inserita in slipcase cartonato, come pure l’inedito Deathgasm (2015), esordio dietro la macchina da presa per il Jason Lei Howden creatore di effetti speciali al servizio della Weta Digital (The Avengers e la trilogia Lo Hobbit nel suo ricco curriculum).
Esordio che, in un certo senso, sembra guardare al mitico Morte a 33 giri (1986) di Charles Martin Smith, riguardante un idolo rock evocato attraverso il suo ultimo disco inedito ascoltato al contrario da un nerdissimo fan.
Del resto, in questo caso abbiamo Milo Cawthorne nei panni del giovane Brodie, emarginato amante del thrash metal che, finito a vivere in casa di uno zio bigotto, prima incontra Zakk alias James Blake, appassionato della stessa tipologia di musica, poi, messa in piedi insieme a lui la band che da il titolo al film, entra in possesso di uno spartito che pare garantisca il Potere Supremo a chi lo suona.
Spartito le cui note, eseguite, evocano, in realtà, l’antica entità maligna Aeloth l’Oscuro, che finisce per mutare in zombeschi e aggressivi demoni le persone del posto; dando il via ad un tripudio di sangue ed interiora sparse non privo di occhi strappati a mani nude, teste spaccate verticalmente in due da asce, motoseghe conficcate dove non batte il sole ed evirazioni.
Demoni non poco vicini a quelli visti in cult della truculenza su celluloide del calibro de La casa (1982) di Sam Raimi e Splatters – Gli schizzacervelli (1992) di Peter Jackson, rientrante proprio tra le dichiarate fonti d’ispirazione del regista insieme ai trashissimi prodotti Troma e a Il ritorno dei morti viventi (1985) di Dan O’Bannon.
Infatti, mentre una misteriosa setta subentra per rendere ancora più complicata la situazione ed a supportare lo sgangherato complesso provvede anche la bella Medina incarnata da Kimberley Crossman, è un respiro generale decisamente lontano dalle moderne, noiose ghost story proto-mockumentary e vicino, fortunatamente, a quello che caratterizzò molti coinvolgenti splatter sfornati tra la metà degli anni Ottanta e i primi Novanta a dominare l’operazione.
Quindi, con heavy metal a manetta a fare da colonna sonora e creature affrontate addirittura ricorrendo a falli di plastica e palline anali (!!!), la risultante è un tanto folle quanto divertente spettacolo volutamente portato all’eccesso per strappare macabre risate… qui accompagnato da contenuti speciali che, al di là del trailer e di un video musicale, dispensano cinque minuti di sguardo al lavoro svolto sugli elaborati fx, quattro di interviste al cast e cinque a Howden.