Ospite al Benevento Cinema e Televisione c’è Enrico Varriale, giornalista che da Il Mattino di Napoli alla Rai, ha attraversato anni di profondi cambiamenti nel calcio e negli altri sport, dalla televisione generalista ai canali all news fino alla pay tv.
E oltre a cambiare, la televisione ha cambiato le regole di alcuni sport che hanno dovuto adeguarsi ai tempi televisivi e hanno ridotto il tempo in cui una partita poteva protrarsi (il caso del tennis e della pallavolo, che una volta erano “l’incubo dei palinsesti televisivi”).
Primo spunto di dibattito è quello sul cambiamento drastico nel giornalismo sportivo televisivo per un cronista della Rai, che dall’essere l’unico canale nazionale a parlare di calcio, oggi deve intrattenere un pubblico sempre più esigente e costantemente aggiornato dai canali competitor del servizio pubblico. Il non essere più esclusivista per chi fa programmi di sport in Rai, oggi in concorrenza con le competitività economica della pay tv, che serve lo spettatore cliente in maniera totalizzante, richede un surplus di fantasia nella conduzioni dei programmi.
L’interazione con il pubblico tramite i social network in studio, e cita Il Processo del Lunedì che conduce da due stagioni e La giostra dei gol su Rai Italia, per il pubblico italofono all’estero, “è un condizionamento positivo”, anche se l’invadenza dei social sta nelle polemiche: la Coppa Italia è un generatore di polemiche elevato, visto che si tratta di squadre italiane, mentre per gare di respiro internazionale serpeggia meno. “Sono una grande conquista perché tutti possano dire la loro, ma non è che chi scrive tweet sia un Premio Nobel.”
Leggendarie le sue liti in diretta con Walter Zenga, su come sono cambiati i rapporti tra le telvisioni e le società sportive, i giocatori e le domande scomode a fine partita, Varriale resta sempre molto sanguigno nelle sue domande a fine partita. Capita spesso che i giornalisti delle pay tv siano più morbidi poiché la pay tv è gestita nell’ottica di avere una clientela che paga un abbonamento e un po’di condizionamento c’è sempre, e in un certo senso si dà allo spettatore, tifoso di quella squadra per le cui partite paga un abbonamento televisivo, quello che vuole. “Bisogna trovare un giusto equilibrio, tenendo conto che i giocatori e gli allenatori hanno appena finito una partita, perché si tratta sempre di esseri umani” (anche se fa parte del loro ruolo gestire i rapporti con i media).
Sul mestiere di giornalista Varriale si sente un privilegiato, come lo è tutta la sua categoria: è un bel mestiere quello di fare domande ai protagonisti di una partita, sono le domande, anche scomode che vorrebbe fare il pubblico da casa, e quelle domane si devono fare, senza essere troppo proni alle esigenze aziendali o editoriali, perché altrimenti tradisce la missione del giornalista.
Gli piace la nuova Nazionale di Gian Piero Ventura, fatta di una nuova generazione di giovani calciatori che possono determinare una svolta. E’ una nazionale che, secondo Varriale, raggiungerà la sua maturazione dopo i mondiali del 2018, ma può comunque crescere grazie alla presenza di un grande centravanti e due fantasisti come Belotti, Insigne e Bernardeschi. E sulla difesa, “è straordinario il blocco juventino ma un ricambio ci vuole”. Sulle qualificazioni per i mondiali “non escludo che si possa fare l’impresa a Madrid e battere la Spagna in casa loro, ma dovrà essere una partita molto fisica e con un grande pressing. Protagonista lo sarà sicuramente, ma non so se sarà vincente”
Vincere un mondiale non è soltanto questione di giocatori forti: nel 2006 a Berlino si sono realizzate alcune dinamiche che hanno fatto sì che la squadra arrivasse, nonostante il terremoto che il calcio italiano attraversava in quel momento, al quarto titolo. Le stesse condizioni si erano verificate nell’82 in Spagna, con una partenza in sordina, che faceva presagire l’eliminazione, arrivò poi quella chimica che portò alla storica vittoria del Bernabeu. Ci sono state Nazionali, secondo Varriale, più forti di quella di quella di Lippi del 2006 o di quelli di Bearzot dell’82: per esempio quella di Vicini del ’90 (che per Varriale resta la più forte, e al cui ricordo è molto legato perchè fu la prima che seguì da giornalista), che perse in semifinale con l’Argentina.
Questa nazionale non è quella dell’82 o quella del ’90 ma è una nazionale di giovani giocatori, finalmente.
In Germania, dopo la sconfitta in semifinale con l’Italia nei mondiali del 2006, la vera grande idea innovativa per un calcio giovane è stata la creazione di centri federali gestiti direttamente dalla federazione calcio nazionale, che hanno preso il posto delle scuole private di calcio, e dove le selezioni sono più rigide. Questo ha portato la Germania e il Belgio, che ha seguito la strada tedesca e ha avuto ottimi risultati nonostante il numero esiguo della popolazione, ad avere un vivaio talmente ricco che i giocatori dell’Under 21 sono stati mandati a giocare la Confederation Cup , lasciando i titolari a casa.
Anche l’integrazione passa per il calcio: ci sono talenti straordinari provenienti da altri paesi che in Italia riescono a trovare la loro strada, oltre che un riscatto sociale.
Siamo alla vigilia di un campionato che, fermo restando il divario che c’è con la Juventus, per la prima volta dai tempi di Maradona sembrano esserci le condizioni affinché il Napoli possa competere fino alla fine. Il calcio del Napoli è divertente e piace, lo dimostrano i dati delle pay tv che hanno rivelato che le partite più seguite dagli spettatori neutrali sono state proprio quelle del Napoli. Ed è proprio il Napoli, secondo Varriale, a restituire al calcio italiano quell’appeal che negli anni Ottanta era alle stelle. E sottolinea che se quest’anno, forse, la Juventus si concentra di più sulla Coppa Campioni (persa a Cardiff contro il Real Madrid lo scorso giugno), può lasciare spazio alla corsa scudetto e fare in modo che si allarghi la schiera di competitori tra cui Milan, Inter, Napoli e Roma.
Ma la bellezza del campionato italiano non è soltanto nelle majors: la città che ospita la rassegna, Benevento, sta vivendo una delle più belle favole calcistiche di sempre. Appena promossa nella massima serie, viene da una dura lotta per il passaggio dalla serie C alla serie B, dove era approdata l’anno scorso, dopo anni di illusioni e puntuali delusioni a fine campionato. Questo porta il calcio campano ad avere due squadre in Serie A (non accadeva dagli anni Ottanta, con l’Avellino), rendendolo più avvincente. Il merito di questo sogno è quello di una società che ci ha creduto sempre e che ora guarda all’esperienza del Chievo, per porre le basi per una lunga permanenza in A; e soprattutto dell’allenatore Baroni, che da giocatore aveva segnato il gol scudetto del Napoli alla Lazio nel 1989, e che quest’anno aveva già impostato la squadra per i play off, nel momento in cui aveva visto che si stava allontanando dalla parte alta della classifica.
Si preannuncia un campionato ricco di novità, prima fra tutte la moviola in campo (Var , video assistant referee) ma soprattutto, secondo Enrico Varriale “sarà un campionato combattuto e sarà anche bello raccontarlo”.