The Master, un film del 2012 scritto e diretto da Paul Thomas Anderson. Protagonisti sono Joaquin Phoenix, Philip Seymour Hoffman e Amy Adams. Il film è stato presentato in concorso alla 69ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. La trama del film è stata parzialmente ispirata dal personaggio di Lafayette Ron Hubbard, fondatore di Scientology, ma anche da scene inutilizzate della prima stesura de Il petroliere, da storie che l’attore Jason Robards aveva raccontato ad Anderson riguardo ai suoi giorni in marina durante la guerra, e dalla vita di John Steinbeck.
Anni Cinquanta. Freddie Quell (Joaquin Phoenix) vive sulla propria pelle le conseguenze del secondo conflitto mondiale, vagabondando per le strade senza alcuna certezza o valori in cui credere. Nel suo errare, si imbatte un giorno in Lancaster Dodd (Philip Seymour Hoffman), un veterano di guerra fondatore e leader carismatico di un gruppo pseudo-religioso basato su metodi piuttosto innovativi. Ammaliato da quell’universo che sembra offrire risposte alle sue domande, Freddie ne diventa uno degli adepti subendo il fascino della figura di Lancaster, divenuto per lui uno spirito guida da ossequiare e seguire.
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Un ex marines, Freddie Quenn (Joaquine Phoenix), reduce dalla seconda guerra mondiale tenta, non senza fatica, di reintegrarsi nella società. Prova alcuni lavori, tra cui, quello di fotografo in un centro commerciale e successivamente quello di contadino; il suo migliore alleato è l’alcol, colpevole di acuire i suoi problemi mentali. Costantemente in fuga, Freddie, come un vagabondo, ubriaco si rifugia in una grande barca dove verrà accolto da Lancaster Dodd (Philip Seymour Hoffman). “Sono uno scrittore, dottore, fisico nucleare, filosofo teoretico, ma soprattutto un uomo”: così si presenta Dodd a Freddie, come un aspirante santone, un uomo che, attraverso i suoi proseliti ed esperimenti di ipnosi, tenta di persuadere gli altri dell’infallibilità dei suoi metodi, in grado di far superare turbe psichiche, disturbi mentali, e, in certi casi, anche malattie gravi come la leucemia. Totalmente allo sbando e affetto da un’incontenibile aggressività, Freddie è per Dodd una perfetta cavia per i suoi esperimenti, mentre Dodd è per Freddie una guida spirituale, un pater che gli indica la strada da percorrere. Due personaggi antitetici, legati indissolubilmente dall’amore e dalla convinzione di potersi migliorare reciprocamente.
Inevitabile trovare delle similarità tra il soggetto di The Master e la storia di di L. Ron Hubbard, il fondatore di Scientology. Lancaster Dodd è infatti il promotore di una “causa”, come la chiama lui stesso, e fondatore di una prima forma di setta religiosa che pian piano riunisce nuovi adepti. Ma per chi si aspettava una sorta di biografia non ufficiale del famoso Hubbard resterà deluso. The Master non espone né descrive, è invece piuttosto privo di una coerenza narrativa e anche i dialoghi appaiono confusi; i due protagonisti, infatti, conversano tra di loro consapevoli del legame intimo che li unisce e le parole che usano risultano sensate solo ai diretti interessati.
Il disorientamento provocato nello spettatore è palese come lo è il rischio che il film non venga compreso. Alla conferenza stampa del film, in anteprima alla 69° Mostra del cinema di Venezia e parte del concorso ufficiale, è lo stesso regista a chiarire questo punto: “La storia poteva essere ambientata in qualsiasi angolo della terra, ma di certo il fatto che abbia come sfondo l’America mi ha aiutato nello sviluppo del soggetto. A differenza di quanto dicono in molti, questo film non si concentra sulla storia di Scientology, ma piuttosto vuole analizzare il tipo di relazione che c’è tra i due protagonisti, lasciando fuori sia la setta, sia qualsiasi analisi sociologica sugli Stati Uniti. L’unica cosa che posso dire in merito a Scientology e che di sicuro l’inizio del movimento ha ispirato in qualche modo il mio lavoro, ma ad oggi non ha nulla a che fare con quel che è diventato, anche perché non conosco le dinamiche interne al gruppo“.
Non ammette critiche, invece, la qualità tecnica della regia, prodotto di un controllo maniacale di ogni dettaglio da parte di Anderson per arrivare alla perfezione dell’immagine, e la scelta dei 70 mm è fondamentale in questo senso. “Ho cercato un diametro particolare per raccontare questa storia e sin dalle prime riprese il risultato dato dai 70mm è stato positivo. Ha dato un valore aggiunto all’opera credo, un frammento epico”. Alla qualità estetica delle immagini si aggiunge la scelta di una perfetta colonna sonora, composta da suoni distorti e musiche composte da Jonny Greenwood dei Radiohead. Indimenticabile poi la recitazione di Joaquin Phoenix, perfetto nei panni di un vagabondo, senza passato né futuro, violento ed ermetico, opposto al carattere bonario, almeno all’apparenza, del suo mentore Dodd, Philip Seymour Hoffman.