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28 Trieste Film Festival: Anishoara di Ana-Felicia Scutelnicu

Una ispiratissima Ana-Felicia Scutelnicu ci introduce a questa sua elegia moldava in chiaroscuro attraverso un prologo di gusto fiabesco, mitologico: piccolo e penetrante esercizio di storytelling, affidato al volto scavato di un uomo. E a seguire le quattro stagioni, racchiuse in quattro segmenti narrativi con sullo sfondo Orheiul Vechi, uno degli angoli più caratteristici della Moldova grazie al canyon e ai monasteri rupestri che ne segnano inconfondibilmente il paesaggio. Anishoara è pertanto tra i più affascinanti lungometraggi, visti quest’anno al Trieste Film Festival.

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Pur potendo usufruire di una collocazione nel programma un po’ sacrificata, essendo la proiezione al Teatro Miela e per giunta a ridosso della cerimonia di premiazione, che si sarebbe svolta di lì a poco nella più spaziosa sala Tripcovich, un film come Anishoara ha saputo comunque stregare il pubblico del Trieste Film Festival, ricevendo da alcune decine di spettatori un vibrante e caloroso applauso. Tutto ciò nonostante l’autrice non fosse presente, essendo rimasta a Berlino. Questa genuina e spontanea dimostrazione di apprezzamento per il suo lavoro ci fa doppiamente piacere, perché Ana-Felicia Scutelnicu è una cineasta di grande talento che seguiamo volentieri già da un po’ e che avevamo scoperto proprio qui, a Trieste.

Diversi anni fa era stato il cortometraggio Între ziduri – fra i muri a colpire la nostra attenzione, ricevendo peraltro l’ambito Premio del Pubblico al 19° Trieste Film Festival. Andava così delineandosi una poetica molto personale, sofferta, da ricollegare in qualche misura allo spaesamento indotto dal vivere e lavorare in Germania, avendo però conservato un profondo rapporto affettivo con la propria terra d’origine, la Moldova. Un’anima divisa in due, potremmo anche dire. E l’importanza di questo cordone ombelicale sarebbe risultata con evidenza persino maggiore nel sorprendente Panihida, film del 2012 che al Festival di Roma, in una sezione ricchissima di proposte come CinemaXXI, riuscì anche a vincere il premio destinato al miglior corto o mediometraggio: vi si scorgeva già, con una cura formale senz’altro cresciuta, il deflagrare della forte tensione dialettica tra passato e modernità, tra il reiterarsi delle antiche usanze di una società fondamentalmente agricola, tradizionalista, ed il comparire di elementi nuovi, stranianti.
In Anishoara ritroviamo innanzitutto il volto delizioso di Anişoara “Ana” Morari, già emerso con grazia ancestrale dal precedente Panihida. Ma soprattutto ritroviamo, con toni persino più graffianti e struggenti, quel clima da “piccolo mondo antico” in rovina, per cui le campagne moldave tornano a essere il palcoscenico di un insanabile conflitto tra stili di vita tradizionali e perniciose contaminazioni. Ovvero l’arrembante Lato Oscuro di un sempre più precario idillio bucolico. La giovane protagonista, che anche nel film si chiama Anişoara, pare racchiudere nel sorriso aperto e in quella botticelliana capigliatura bionda il segreto di un’innocenza in pericolo. Un mondo di pulsioni nuove si apre di fronte a lei, nel valzer delle stagioni che la travolge. Ed anche per quanto riguarda la passione amorosa l’impressione, purtroppo, è che dall’illusione si possa scivolare con estrema facilità nella delusione…

Una ispiratissima Ana-Felicia Scutelnicu ci introduce nel clima di questa sua elegia moldava in chiaroscuro attraverso un prologo di gusto fiabesco, mitologico: piccolo e penetrante esercizio di storytelling, affidato al volto scavato di un anonimo narratore. E a seguire le quattro stagioni, racchiuse in altrettanti segmenti narrativi con sullo sfondo Orheiul Vechi, uno degli angoli più caratteristici della Moldova grazie al canyon e ai monasteri rupestri che ne segnano inconfondibilmente il paesaggio. Ma non è un intento prettamente turistico quello della regista. Se le immagini maggiormente legate alle coltivazioni agricole e al ritmo delle stagioni possono ricordare il cinema di Franco Piavoli, la sua acuta sensibilità per quanto concerne determinati ambienti e atmosfere, è sufficiente che all’osservazione muta del dialogo Uomo/Natura si sostituiscano scarne tracce narrative, in cui le stesse pulsioni sessuali hanno un ruolo, affinché si affaccino nuove e potenti suggestioni; non così distanti, volendo, da certi percorsi iniziatici, come ad esempio quello tracciato dal maestro Kim Ki-duk in Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera. Seppur diluita nel mood trasognato e rarefatto del film, è proprio una rocambolesca iniziazione alla vita adulta con tutte le sue scoperte, il continuo giocare a nascondino con l’eros, le piccole e grandi amarezze legate alla crescita, ciò cui va spavaldamente incontro l’incantevole ma determinata Anişoara, fino al momento in cui potrà finalmente mettere in pratica quel suo intimo, catartico desiderio di fuga e di autonomia.

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