“L’operazione al cuore ripresa in questo film è stata realizzata dal Dr. Martinez Bordiu nella Scuola Nazionale di Malattie del Torace e nel Laboratorio di Ricerche di Madrid che ringraziamo per la loro collaborazione senza la quale non sarebbe stato possibile realizzare questo film”.
Nel caso in cui doveste imbattervi nella visione de I due volti della paura (1972) dell’argentino Tullio Demicheli, questa didascalia posta in apertura della oltre ora e venti di visione spiega tranquillamente quanto incredibilmente realistica possa risultare l’impressionante sequenza d’intervento cardiologico posta nell’ultima parte dell’insieme.
Intervento cardiologico cui si sottopose proprio la moglie del regista, il quale decise di inserirla come momento maggiormente cruento della sua co-produzione tra Spagna e Italia ambientata nella clinica del professor Roberto Carli incarnato dal mitico George Hilton e di proprietà della ricchissima consorte Elena, ovvero la ex Bond girl Luciana Paluzzi.
Consorte che rivolge segretamente attenzioni amorose nei confronti di Miguel alias Antonio del Real, il quale, assistente del marito come pure la Paula dalle fattezze della Anita Strindberg rientrante tra i volti simbolo della cinematografia di genere tricolore, viene ritrovato cadavere segnando l’inizio di una girandola di sospetti concentrata soprattutto attorno a Carli, che, appunto, potrebbe aver agito spinto dalla gelosia.
Perché, con l’uso della musica e delle soggettive che ammiccano chiaramente allo stile del Dario Argento appena esploso ai tempi del concepimento del lungometraggio, è un giallo classico mescolato al thriller erotico e non privo di liquido rosso quello che prende progressivamente forma; destinato a coinvolgere anche Fernando Rey nei panni dell’ispettore Nardi.
Un giallo che, accompagnato nella sezione extra da diciotto minuti in cui il critico Claudio Bartolini fa luce sul filone portato al successo da L’uccello dalle piume di cristallo (1970), viene riscoperto su supporto dvd da CG Entertainment all’interno della sua collana CineKult, alla quale – cambiando del tutto genere – si deve anche il recupero per l’home video digitale di Giubbe rosse (1975), primo lavoro che il cineasta romano Aristide Massaccesi firmò con il proprio pseudonimo prediletto Joe D’Amato.
Assolutamente da non confondere con l’omonima pellicola diretta trentacinque anni prima dal maestro della Settima arte Cecil B. DeMille, un movimentato western d’ambientazione nevosa che prende il via dalla figura del bandito Cariboo cui concede anima e corpo Guido Mannari, evaso dal carcere e con alle calcagna sia il roccioso Bill Cormak interpretato da Fabio Testi, sottufficiale delle Giubbe rosse, sia gli ex complici, intenti ad arrivare ad un bottino da lui nascosto.
Il Cormak che, tra l’altro, si è nel frattempo accoppiato con la donna del delinquente ed ha avuto da lei il piccolo Jimmy, con i connotati del Renato Cestié che sarebbe stato oltre dieci anni più tardi il Massimo Conti del popolare telefilm I ragazzi della 3C e che non manca di essere rapito dall’uomo per poter attirarne il padre in una trappola mortale ed ottenere vendetta.
Mentre Lionel Stander, la diva dei fotoromanzi Wendy D’Olive e il Robert Hundar che fu all’anagrafe Claudio Undari arricchiscono ulteriormente il buon cast comprendente anche il danese Lars Bloch, dispensatore di ben quarantatré minuti di interessanti aneddoti relativi alla sua carriera nella sezione del disco riservata ai contenuti speciali, insieme ad una breve intervista a Massaccesi.
Il Massaccesi che lascia tranquillamente intuire tramite questa sua atipica operazione lodevoli doti da porre al servizio alla celluloide d’azione e della cui più conosciuta filmografia “bollente”, invece, CG Entertainment rispolvera Papaya dei Caraibi (1978) per porlo nella sua collana CineSexy, dedicata al cinema erotico.
Con un’evirazione a morsi immediatamente in apertura, trattasi del primo dei film tropicali che l’autore di Buio omega (1979) e Le notti erotiche dei morti viventi (1980) mise in piedi nel periodo in cui sfornò, tra gli altri, Orgasmo nero (1980) e Porno holocaust (1981).
Evirazione messa in atto ai danni di un’occasionale partner, su un’isola caraibica, dalla bellissima mulatta Papaya nel cui ruolo troviamo la Melissa Chimenti del polselliano Rivelazioni di uno psichiatra sul mondo perverso del sesso (1973), facente parte di un gruppo di ribelli locali interessati ad impedire la costruzione di una centrale nucleare a Santo Domingo.
La Papaya che, al fine di ottenere maggiori informazioni riguardanti proprio il progetto, arriva anche a sedurre il geologo Vincent impersonato dal Maurice Poli di Cani arrabbiati (1974); senza immaginare che a creare nuovi ed imprevedibili sviluppi non tardi a pensarci la passione che scoppia tra i due e la giornalista occidentale Sara, le cui magnifiche forme sono quelle della finlandese Sirpa Lane prematuramente scomparsa a soli quarantasette anni e che viene oggi ricordata soprattutto per La bestia (1975) di Walerian Borowczyk.
In un miscuglio di contaminazioni grandguignolesche ed amplessi ai limiti dell’hard su cui, inoltre, è possibile apprendere curiosità relative alla lavorazione grazie ai sedici minuti di conversazione con Poli e al documentario Totally uncut: The horror experience, della durata di quasi un’ora e venti, presenti nell’edizione.
Francesco Lomuscio