Beh, che dire. Chi scrive può affermare di aver realizzato davvero un piccolo, grande sogno. Chi avrebbe mai pensato che un giorno, mentre da piccini guardavamo i film del maestro in seconda serata, avremmo potuto ammirare dal vivo quelle musiche che contribuivano a rendere quei film così spaventosi, intensi e suggestivi. Ebbene eccoci qui, è successo. All’Auditorium Parco della Musica nella Sala Santa Cecilia in Roma, John Carpenter si è esibito con la sua band in un concerto tirato e rapido dove ha riproposto alcune della sue più famose colonne sonore, mescolate con alcuni pezzi tratti dal suo album solista Lost Themes (2015).
Il concerto, ovviamente tutto strumentale, inizia, nell’attesa generale, intorno alle 21:15, entra la band e per ultimo entra lui, entra John Carpenter, capelli bianchi raccolti e di nero vestito, che subito saluta il pubblico e rompe gli indugi con l’immediato main theme di Escape from New York. Alle spalle della band partono le immagini del film, intravediamo la sagoma smargiassa dello Jena Plissken interpretato da Kurt Russell e degli altri personaggi, mentre la musica tirata e ottimamente suonata le commentano come meglio non si potrebbe. La giovane band, che dal vivo fa il grosso, è energica, ben amalgamata e accompagna il mattatore alle tastiere che suona e ancheggia coma una vera rockstar. Subito dopo, senza troppe cerimonie, è la volta di una altro classico ed eccoci catapultati nel ghetto californiano del distretto 13 con Assault On Precinct 13, opera seconda del maestro e seconda anche nella scaletta della serata romana. Le note plumbee e cadenzate del tema si susseguono con incedere martellante e il pubblico risponde con grida di soddisfazione per quella che è probabilmente una delle colonne sonore più storiche del vecchio John, mentre l’antieroe Napoleone Wilson che fa capolino da dietro sul maxi schermo rende tutto estremamente familiare. Dopo questo inzio folgorante è il tempo di proporre la sua nuova musica ed ecco le suggestive Vortex e Mistery tratte dall’album Lost Themes, piacevoli strumentali che volano via rapidamente con la band che dimostra impegno, feeling e voglia di divertirsi, ma con il pubblico sempre in attesa della prossima, agognata colonna sonora. Che non tarda ad arrivare. Dopo una breve introduzione del regista compositore che afferma di essersi quasi sempre interessato nella sua carriera a storie spaventose, film horror e racconti di fantasmi, ecco un altro importante, inevitabile tassello del setlist: The Fog. Durante questo pezzo sembra quasi che il fitto banco di nebbia del film ci stia per piombare addosso e con essa anche lo spirito vendicativo di Blake e per un attimo la Sala Santa Cecilia si tramuta nella spettrale San Antonio Bay. Un pezzo sinistro e atmosferico che ipnotizza e suggestiona, dimostrando quanto Carpenter sia in realtà un sottovalutato compositore. “Obbedite- sposatevi e procreate- non pensate- spendete- guardate la tv”; è la volta di un altro gioiello, They Live. Munitevi di occhiali scuri, il mondo che ci circonda potrebbe non essere come lo vediamo tutti i giorni. They Live: Coming To L.A., accompagnato dalle immagini del film, viaggia su binari soffusi, intensi e il suo lento incedere, con Carpenter e la band che guardano fissi un pubblico rapito ed attento attraverso gli immancabili occhiali scuri, focalizza l’attenzione di tutti. E ricordate: Money is your God.
Carpenter annuncia una cover, scritta per lui dal maestro Ennio Morricone – Il più grande compositore di colonne sonore nel mondo – si affretta a dire John. Parte dunque il tetro e lentissimo main theme di The Thing, una delle opere più riuscite del maestro, un capolavoro autentico che si serve di una musica quasi impercettibile che non cede mai alla melodia, il cui scopo è quello di sottolineare il clima di sospetto, orrore e smarrimento trattati nel plot. Un pezzo sicuramente non fra i più memorabili, per quanto concerne le colonne sonore proposte, ed anche il nostro Morricone ha saputo far di meglio, ma che se lo si ascolta in chiave cinematografica, probabilmente l’unico modo giusto di ascoltarlo, risulterà funzionale ed omogeneo. Il pezzo che segue è Distant Dream, sempre da Lost Themes, senza dubbio uno dei più rockeggianti e ben strutturati dell’album, non privo di interessanti armonie e con un’incalzante sezione ritmica. Arriva, poi, come un treno la rockeggiante e storica colonna sonora di Big Trouble in Litte China, il pubblico si scalda immediatamente e sembra di sentire i consigli del vecchio Pork-Chop-Express di Jack Burton, ovviamente ben presente sul maxi schermo. Il pezzo è uno dei più ritmati e con il suo massiccio incedere fa emozionare i presenti che immediatamente rinvangano gli anni ottanta con John che danza a tempo con aria sempre più divertita e partecipe. E’ la volta di Wraith e subito dopo della bella Night, accoppiata tratta dall’album solista, che fanno da preludio atmosferico all epico main theme di Halloween, il film che più di tutti ha segnato un’epoca e reso Carpenter una vera celebrità. L’inquietante riff di tastiera emoziona e inquieta sempre con la stessa potenza e Micheal Myers sembra pronto a spuntare in ogni momento. Il pezzo viene suonato con grande grinta, quasi enfatizzato dalla band che ormai appare decisamente imbenzinata e il pubblico si scatena in una standing ovation come mai prima. Segue nell’immediato e chiude il set la dura In The Mouth Of Madness, altro pezzo che al primo accenno manda in visibilio il pubblico pagante, un muro sonoro che non fa sconti e richiama alla mente le atmosfere a metà tra finzione, realtà e di nuovo finzione in cui l’assicuratore John Trent, personaggio protagonista del film, si ritrova immerso. Sutter Cane ringrazia.
Sembra la troppo precoce fine, Carpenter e la band ringraziano e lasciano il palco, ma è la solita finta, incitati dal pubblico, fanno prima a rientrare che ad uscire ed è di nuovo musica con un nutrito bis di ben quattro pezzi.
Parte quindi Prince of Darkness(End Title) e sullo schermo appare la faccia inquietante del barbone indemoniato interpretato da Alice Cooper. Si continua con la generosa Virtual Survivor, unico pezzo tratto da Lost Thems II, e la ben strutturata Purgatory, pezzo che parte lentissimamente ma cresce nella seconda parte con la batteria che offre un buon tappeto ritmico. Siamo agli sgoccioli, la vera fine è giunta, il pubblico lo percepisce e fa partire gli ultimi scroscianti applausi, quando sullo schermo si accendono i fari di una macchina d’epoca, rossa, posseduta, malvagia, si, è la volta di Christine il pezzo con il quale John e la sua band si congedano definitivamente. Le immagini proiettate sullo schermo fanno da sfondo al main theme di un altro film ormai cult che fila dritto come la vecchia auto dall’istinto omicida, fin quando tutto non si conclude, nonostante potrebbe benissimo ripartire daccapo, meglio e più di prima. John Carpenter, a questo punto, saluta il suo pubblico, un pubblico che, conscio della storicità dell’evento, va ad accalcarsi di corsa sotto il palco, nella speranza forse di uno scatto con uno dei registi horror più geniali di sempre, ma il nostro, sempre schivo e riservato, questa volta abbandona il palco senza possibilità d’appello, lasciandosi dietro una folla venerante e sparendo fra le tenebre senza far più ritorno.
Manuele Bisturi Berardi